Suscita crescente interesse, tra gli addetti ai lavori, la discussione sul
  disegno di legge S.1188 - Norme in materia di pluralismo informatico e sulla adozione e 
diffusione del software libero nella pubblica amministrazione. Ho scritto "tra
  gli addetti ai lavori", perché la stampa di informazione ignora, come al
  solito, i problemi reali della diffusione delle tecnologie e continua a
  dedicare pagine su pagine alla riproduzione dei comunicati stampa delle grandi
  aziende, o al solito vaporware sulle meraviglie improbabili e inutili
  del prossimo futuro. Tipo la televisione che parla col frigorifero: che
  avranno mai da dirsi? Comunque il proprietario potrà ascoltare i loro
  discorsi e anche vedere la faccia che fanno attraverso il telefonino di
  settima generazione.
I fatti che ci riguardano si riassumono in poche
  battute: il senatore Cortiana presenta un disegno di legge sull'adozione del
  software libero nella pubblica amministrazione, scritto da qualche tecnico
  della "comunità" dell'open source senza tanta dimestichezza col
  diritto. Insorge la Microsoft e presenta un documento in cui cerca, col tono
  del primo della classe, di smontare le argomentazioni dei sostenitori del
  software libero. Questi replicano in ordine sparso, con una serie di documenti
  a cui è difficile tener dietro e che nell'insieme non gioveranno alla
  comprensione delle questioni in gioco da parte dei parlamentari che dovranno
  discutere il provvedimento (vedi gli ultimi documenti nell'indice
  di questa sezione).
Quanta distanza da quanto accade,
  contemporaneamente, nel lontano Perù. Anche lì è stato presentato un
  disegno di legge, abbastanza simile a quello italiano, e anche lì il
  proconsole di Redmond ha inviato la sua garbata e preoccupata letterina. Ma la
  replica, punto per punto, secca, argomentata in ogni dettaglio, è arrivata
  direttamente dal deputato che ha firmato la proposta: un documento che vale
  più di tutti i proclami e i manifesti diffusi nel mondo dalla variopinta
  brigata dell'open source, perché esprime con la logica e la forza del diritto
  gli argomenti che rendono inevitabile la scelta del software aperto per ogni
  governo che persegua gli interessi dello stato.
Il dibattito "Microsoft
  contro software libero" (o viceversa) rischia di impantanarsi intorno ad alcune questioni non
  secondarie, che potrebbero portare al fallimento l'iniziativa di 
liberarci dalla schiavitù elettronica e far cessare la soggezione
informatica dello Stato italiano alla Microsoft, per riprendere gli slogan
  lanciati due anni fa all'inizio della campagna per l'open source ospitata su
  queste pagine.
  Ma il documento di Microsoft coglie puntualmente un aspetto negativo del disegno
  di legge S.1188: non si può intervenire con disposizioni legislative che
  alterano la concorrenza, imponendo l'adozione di una categoria di prodotti a
  scapito di un'altra. Un provvedimento di questo segno, per di più, cadrebbe
  sotto i colpi dell'Unione europea, anche se a livello comunitario si diffonde sempre di più la consapevolezza dei vantaggi dell'open source (a questo
  proposito si veda il recentissimo documento dell'IDA alla URL http://europa.eu.int/ISPO/ida/jsps/index.jsp?fuseAction=showDocument&parent=news&documentID=550)
E' 
  invece possibile - e utile - stabilire i requisiti del software che deve
  essere acquistato dalla pubblica amministrazione: disponibilità dei sorgenti,
  modificabilità, riusabilità e via elencando. Oggi queste caratteristiche
  sono proprie solo del software libero, ma nulla impedisce che altre aziende,
  Microsoft in testa, si possano adeguare a regole dettate per le esigenze
  dell'utente pubblico e indispensabili per assicurare in primo luogo la
  sicurezza dei dati delle amministrazioni. Una legge ben congegnata potrebbe
  stimolare la produzione di software nazionale (con evidenti ricadute positive
  sull'occupazione), senza prestare il fianco a critiche non infondate e
  comunque molto pericolose.
Un punto deve essere ribadito con forza: il
  software libero nella scuola è utilissimo per avviare i ragazzi alla
  comprensione reale dell'informatica, facendoli crescere come "utenti
  consapevoli" invece che come "clienti stupidi" in un mercato
  sempre più invaso da applicazioni assolutamente inutili, che un'astuta
  pubblicità riesce a far passare come indispensabili. Su questo punto non
  aggiungo altro, perché Livraghi ha trattato da par suo l'argomento in Libertà, trasparenza e
  compatibilità: non è solo un problema di software.
L'obiettivo che si
  dovrebbe perseguire, anche nell'ambito degli ormai numerosi programmi di
  "alfabetizzazione informatica", è la crescita di una comunità che
  si serva delle tecnologie come strumenti reali di sviluppo e di conoscenza. Il
  che non vuol dire che tutti devono diventare programmatori o comunque esperti
  di computer, ma che devono essere formati verso l'uso intelligente delle
  applicazioni offerte dal progresso. Ma in questo senso occorre anche un'azione
  coordinata delle diverse realtà - studiosi e aziende - che sostengono la
  diffusione del software libero. Procedendo in ordine sparso, come dimostrano i
  documenti delle ultime settimane, non si può competere con chi ha inventato
  il mercato del software e ne ha fatto un sostanziale monopolio. E' inutile
  presentare e far approvare una legge, se poi le amministrazioni non hanno la
  possibilità di paragonare direttamente le offerte dei produttori di software
  libero  con quelle dell'industria del software "proprietario".
La
  vera partita non si gioca nelle aule parlamentari, ma sul piano commerciale:
  se un prodotto è realmente superiore a un altro, e se c'è la capacità di
  prospettarne i vantaggi in modo efficace, è il cliente che può decidere il
  suo successo. In conclusione, la partita è aperta. In gioco c'è il nostro
  futuro di cittadini della società dell'informazione, di fronte
  all'alternativa tra l'essere semplici clienti delle multinazionali (non solo
  nel mercato del software) o protagonisti delle nostre scelte.