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Pubblica amministrazione

La PA digitale nel parere del Consiglio di Stato

di Carmelo Giurdanella e Elio Guarnaccia* - 28.02.05

Vedi anche gli articoli Ammnistrazione digitale: leggiamo il Codice

Raramente un pareredella Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato è stato posto sotto i riflettori come quello oggi in commento. Certamente si tratta di un documento di notevole rilevanza, anche mediatica, in virtù delle dure bacchettate alla disciplina contenuta nello schema di codice sul documento informatico e sulle firme elettroniche, amplificate dalla applicabilità di tale disciplina anche ai rapporti tra privati e quindi incidente in maniera profonda sul regime giuridico delle transazioni telematiche e, più in generale, del commercio elettronico.
“Bacchettate”, tuttavia, molto discutibili (vedi La solita confusione sulla firma digitale di Manlio Cammarata in questo stesso numero).

Ma il parere in oggetto non è solo questo, anzi. In esso vi sono moltissimi spunti di riflessione su questioni di rilievo prettamente pubblicistico, rilevanti non solo con riferimento allo schema di codice a cui si riferiscono, ma al più generale processo di modernizzazione e digitalizzazione della attività amministrativa. Proviamo a riassumere quanto affermato dal Consiglio di Stato su alcune questioni che ci paiono particolarmente rilevanti.

Sull’opera di riassetto della innovazione digitale nella PA

Come è ormai noto, lo schema di codice tenta di affrontare per la prima volta, in modo organico, la tematica dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (cd. ICT) nelle pubbliche amministrazioni (vedi Ammnistrazione digitale: leggiamo il Codice - 1). Ora, secondo il CdS, la caratteristica primaria di questo riassetto dovrebbe essere proprio la sua “esaustività e sistematicità”.
Tuttavia, lo schema, a detta dei giudici, si concentra solo sul DPR 445/2000 e le sue successive modifiche, lasciando fuori dall’intervento altri impianti normativi, allo stesso modo importanti, che qui avrebbero pieno diritto di residenza. In particolare, ciò vale per l’altrettanto noto schema di DLgs sul Sistema pubblico di connettività, che lo stesso ministro per l’innovazione definisce uno degli assi portanti della riforma facente capo all’art. 10 della legge 229/03.

Si legge nel parere: “se un intervento come la creazione dell’SPC non può prescindere dal riassetto normativo e codificazione della normativa primaria regolante la materia, vale a maggior ragione, il reciproco, perché un codice non può non contenere, al suo interno, una innovazione così recente e cruciale come quella di cui al richiamato schema”.
Ma non è tutto. I giudici di Palazzo Spada ritengono che il codice vada integrato anche con la disciplina dell’Indice nazionale delle anagrafi (INA), con il DPR sull’utilizzo della posta elettronica certificata, in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, e in generale, delle varie altre normative sulla materia che non vi risultano comprese.

Tra queste, di particolare interesse per il processo amministrativo è la segnalazione, nel parere in commento, del mancato recepimento dell’art. 19 della stessa L. 229/03, che afferma: 1. I dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi al giudice amministrativo e contabile sono resi accessibili a chi vi abbia interesse mediante pubblicazione sul sistema informativo interno e sul sito istituzionale della rete Internet delle autorità emananti. 2. Le sentenze e le altre decisioni del giudice amministrativo e contabile, rese pubbliche mediante deposito in segreteria, sono contestualmente inserite nel sistema informativo interno e sul sito istituzionale della rete Internet, osservando le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali.

Si tratta di una norma, poco nota ai più, relativa alla accessibilità informatica dei dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi al giudice amministrativo e dei relativi provvedimenti, che trova la sua diretta applicazione nel sito ufficiale della giustizia amministrativa (www.giustizia-amministrativa.it), e che probabilmente ha costituito anche il fondamento normativo del suo rinnovamento strutturale attualmente in corso (per un quadro generale sull’ICT nel processo amministrativo, sia consentito rinviare ancora a C. Giurdanella, Depositi «elettronici» al Tar Catania: spunti per un processo amministrativo telematico, su Giustizia Amministrativa).

Viene criticato, inoltre, proprio l’unico sopra accennato intervento sulla normativa previgente. Il DPR 445/2000, infatti, era già frutto di un riordino – operato secondo il superato sistema della semplificazione per testi unici – per cui oggi l’intervento di riassetto rischierebbe di causare una nuova, inutile frammentazione.

Sul rapporto tra Stato e Regioni

Preoccupazioni vengono espresse anche con riferimento al rapporto tra Stato e Regioni.
Secondo il Consiglio di Stato, il riassetto in commento pur nella opportuna centralizzazione di alcuni profili della disciplina, deve tenere in maggiore considerazione le esigenze di raccordo con le reti regionali e locali.

In particolare, ci sembra rilevante l’espresso auspicio di tale raccordo con riferimento alla disciplina generale del procedimento amministrativo come disciplina valevole anche per le Regioni, che tuttavia consenta, in conformità al disposto costituzionale di cui all’art. 117, comma 2, lett. r), a Regionali ed Enti locali di sviluppare i propri sistemi informativi pubblici in piena autonomia. In tal modo anche il Consiglio di Stato, in definitiva, pare riconoscere notevole forza ed ampiezza al suddetto potere statale di coordinamento informatico (vedi, per questi profili, Ammnistrazione digitale: leggiamo il Codice -2).

Sulla stessa lunghezza d’onda, il richiamo relativo alla disciplina dei siti istituzionali della amministrazioni centrali, delle Regioni e degli enti locali (vedi Ammnistrazione digitale: leggiamo il Codice - 4). I giudici di Palazzo Spada, infatti, affermano, anche ai sensi del suddetto art. 117, comma 2, lettera r), l’opportunità di affidare ad un organismo centrale, con funzioni consultive e di coordinamento, l’esame preventivo dei progetti diretti alla realizzazione e modificazione di tali siti, a garanzia di conformità di essi alle prescrizioni di cui all’art. 56, commi 1 e 2.

Nella stessa prospettiva, il parere prospetta altresì l’opportunità di istituire un sito unitario che rechi l’elenco generale aggiornato periodicamente dei siti di tutte le amministrazioni pubbliche italiane. In effetti il sito auspicato esiste già, anche se può essere reso più efficace: www.italia.gov.it.

In quest’ottica di forte raccordo tra Stato e Regioni, il Consiglio, condividendo le indicazioni contenute nel parere della conferenza unificata del 13 gennaio 2005, ha peraltro auspicato l’istituzione della “agenzia nazionale federata per l’e-government”(così come prevista dal documento della conferenza unificata, “L’e-goverment per un federalismo efficiente. Una visione condivisa, una realizzazione cooperativa", del 24 luglio 2003).

Sul rapporto tra digitalizzazione della PA e procedimento amministrativo

Di particolare interesse è, senza dubbio, il problema dei rapporti tra procedimento amministrativo e disciplina della “digitalizzazione”. Secondo i giudici romani, il codice risolverebbe sommariamente il problema, in quanto si limita a “duplicare” alcune parti della disciplina del procedimento (vedi Ammnistrazione digitale: leggiamo il Codice - 3), dando a questi istituti “doppioni” un taglio informatico. Lo schema di codice non chiarirebbe poi, se e quali fasi del procedimento amministrativo possano svolgersi con modalità informatiche e telematiche.

L’obiettivo della delega era invece quello di operare un riordino della disciplina del procedimento amministrativo, provando a ripensarlo “a livello informatico”, ciò che peraltro - come accennato sopra - era stato già fatto nel 2000 con il testo unico sulla documentazione amministrativa: in quella sede, infatti, erano state raccolte in un’unica fonte normativa le disposizioni relative alla tradizionale documentazione amministrativa cartacea (certificati, autocertificazioni, dichiarazioni, etc.), e quelle relative alla documentazione informatica (documento elettronico, firma digitale, etc.), favorendo così la progressione da un modello di documentazione ad un altro, con l’ausilio dello strumento informatico (sullo schema del TUDA, si veda Cons. Stato, Ad. Gen., 18 settembre 2000, n. 147).

Con ciò ribadendo, qualora ce ne fosse ancora bisogno, il ruolo meramente strumentale della digitalizzazione rispetto alla più generale esigenza di miglioramento del servizio pubblico, e non, viceversa, la necessità di piegare il servizio pubblico all’ICT, come il tentativo di frammentazione del TUDA farebbe temere.
In altri termini, si legge nel parere, va tenuta ben presente la strumentalità del cambiamento portato dalle tecnologie dell’informazione rispetto al più generale cambiamento necessario, e in parte già in atto, nella fonction publique del nostro Paese.

Ciò viene ribadito nel parere con riferimento specifico alla disciplina dell’accesso telematico ai documenti amministrativi, che dovrà essere compiutamente definita non mediante autonomi regolamenti ai sensi dell’art. 55, comma 1, del nuovo codice, “bensì mediante regolamenti che novellino la vigente disciplina regolamentare della materia, adottata in attuazione della legge n. 241 del 1990”.
Si veda, a tal proposito, proprio la legge 15/05, di riforma della disciplina generale del procedimento (legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”, in G. U. n. 42, del 21 febbraio 2005).

La riforma, in via del tutto autonoma rispetto all’intervento di riordino oggetto del parere, da un lato introduce un principio, solo generale e programmatico, sull’uso della telematica nelle amministrazioni pubbliche (art. 3 bis), dall’altro già riforma alcuni istituti “vecchi”, prevedendo per essi l’utilizzo dello strumento informatico.
Si veda, come esempio, la conferenza di servizi ex artt. 14 e segg. legge 241/90, ora informatizzata dalla suddetta novella, a fronte del quale, oltre che una “norma doppione”, pare ben poca cosa l’art. 37, comma 3, schema di codice, che si limita a prevedere: “la conferenza di servizi può essere convocata e svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, previo accordo tra le amministrazioni coinvolte e secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle amministrazioni medesime.”

Il Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie, dunque, per quanto concerne più specificamente il procedimento amministrativo, sarebbe dovuto intervenire, collocando alcune delle disposizioni ora comprese nel codice in altri contesti normativi organici o generali, in particolare nella legge generale sul procedimento da ultimo riformata.

Conclusioni

I suesposti rilievi ci sembrano tutti degni di particolare attenzione. In particolare, ci pare importante la riaffermazione dell’informatica come strumento al servizio dei cittadini, delle imprese e delle pubbliche amministrazioni, per questo da inserire direttamente nella disciplina dei relativi procedimenti amministrativi, “conservando - si legge nel parere in commento - una maggiore visione d’insieme delle varie politiche perseguite senza asservirle tutte a quella della pur fondamentale «digitalizzazione» dell’amministrazione”.

Una integrazione che, peraltro, appare alla Sezione consultiva, “una condizione di credibilità della riforma nei confronti dei (non pochi) cittadini più restii ad accettarla, e in ultima analisi un elemento per la riuscita della stessa”.
Malgrado queste riserve, il Consiglio di Stato ha espresso un parere favorevole, e ciò per aver riconosciuto e sottolineato più volte l’enorme portata innovativa e di stimolo all’innovazione del provvedimento normativo in esame, tanto da non poter rischiare la scadenza del termine per la sua emanazione, fissato dalla legge delega nell’ormai imminente 9 marzo 2005.

Anche per questo, il codice vedrà la luce nei termini previsti ma, su suggerimento dello stesso Consiglio, ne verrà quasi certamente rinviata l’entrata in vigore di 180 o 240 giorni. Ciò consentirà di approntare tutte le modificazioni necessarie, anche con uno o più decreti legislativi correttivi, consentiti dall’art. 10, comma 3, della norma di delega, nonché di predisporre la raccolta di norme regolamentari, necessarie per l’operatività del codice, che potranno così entrare in vigore quasi contemporaneamente ad esso.
 

* Avvocati, studio legale Giurdanella, Catania

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