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 Le regole dell'internet

Internet e pedofilia: ancora proposte assurde
di Manlio Cammarata - 18.03.03

La notizia è di pochi giorni fa, ma è già stata dimenticata, vorrei dire "rimossa" dai mezzi di informazione: l'ennesima operazione di polizia contro i siti dei pedofili, con più di mille persone indagate. E questa volta un giovane ci ha rimesso la pelle, lanciandosi dalla finestra all'arrivo dei carabinieri. Lascio ad Andrea Monti il commento su questa  vicenda (Non si proteggono i minori creando nuovi mostri), condividendolo dalla prima all'ultima riga.
Osserva Monti che almeno tra le forze di polizia "alcuni soggetti più competenti cominciano a rendersi conto che azioni del genere sono sbagliate e inutili". E' vero, ma siamo ancora alle discussioni nei convegni, perché sul piano legislativo si continuano a vedere proposte di ben altro segno.

Ma prima di entrare nel merito di queste proposte vorrei affrontare la questione da un altro punto di vista, il punto di vista del cultore del diritto che crede più alle sentenze dei tribunali che alle informazioni giornalistiche e ai comunicati stampa. E pongo una domanda precisa.
La domanda è questa: da anni abbiamo notizie di perquisizioni, denunce e arresti di un gran numero di persone per reati connessi alla pedofilia, ma quanti di questi indagati sono stati effettivamente rinviati a giudizio, quanti sono in attesa della sentenza, quanti sono stati condannati? Perché la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva è un principio irrinunciabile della nostra civiltà giuridica, ed è tanto più importante quanto più un'accusa trasforma un cittadino in un "mostro" agli occhi della collettività. Fino, appunto, a indurre al suicidio un ragazzo che forse non aveva altra colpa che una curiosità distorta, effetto di qualche possibile disagio psicologico.

Le cifre che vengono diffuse in queste occasioni, in particolare da organizzazioni di "volontari" e giustizieri di incerta collocazione, sono a prima vista agghiaccianti e gettano una luce sinistra sull'internet, per chi non la conosce. In realtà si tratta di gocce nel mare, anche se ne basta una sola per avvelenare diverse esistenze.
Ma non voglio ripetere cose che, da me e da molti altri, sono scritte da anni su InterLex (alla fine di questa pagina c'è un parziale elenco di articoli). Qui dobbiamo occuparci, ancora una volta, di due indecenti proposte legislative, ennesime di una lunga serie, che si spera facciano la fine delle precedenti, dimenticate negli archivi. In realtà si tratta di una sola proposta, presentata alla Camera dall'opposizione e fotocopiata, con qualche aggiunta, dalla maggioranza.

Si tratta dei progetti di legge 3122 e 3235, che per l'ennesima volta cercano di addossare agli internet provider il ruolo di censori della Rete, con la previsione di pene pesantissime, in un quadro giuridico da far drizzare i capelli in testa anche ai calvi. Seguiamo il primo testo (3122).
All'art. 1 si fa obbligo ai provider di installare sistemi di filtraggio dei contenuti per la protezione dei minori; chi non lo fa è punito con l'arresto da due a quattro anni. Dalla previsione dell'arresto si dovrebbe dedurre che si tratta di una contravvenzione e non di un delitto (per il quale la legge prevede la reclusione), ma l'art. 25 del codice penale sancisce che l'arresto può arrivare fino a tre anni. Siamo di fronte a una nuova categoria di reato?

L'art. 2 prevede l'obbligo della conservazione dei log per dieci anni, anche qui con la strana sanzione dell'arresto fino a quattro anni in caso di inosservanza della disposizione. Che ne pensa il Garante per la protezione dei dati personali?
L'art. 3 introduce una nuova quanto inutile figura di illecito: la "connivenza nel reato". Abbiamo già nel codice penale i reati di concorso e favoreggiamento, che sono più che sufficienti nelle ipotesi in cui un provider prenda parte alla commissione del reato di pedofilia (concorso) o, dopo che è stato commesso, aiuti il colpevole a eludere le indagini (favoreggiamento).

Nel secondo progetto legislativo (3235) questa norma passa all'art. 5 , perché nel terzo si introduce l'ennesima previsione normativa destinata a colpire l'internet e i suoi operatori.
Si tratta dell'art. 528-bis del codice penale, che prevede per il provider la reclusione da quattro a otto anni "qualora non si doti di sistemi che inibiscono ai minori la visione di materiale pedopornografico, osceno, di incitamento al razzismo e alla xenofobia nonché di materiale che, in qualsiasi modo risulti nocivo per l'armonioso sviluppo psicofisico del minore".

Per quanto riguarda la misura della pena, è il caso di ricordare che per l'omicidio colposo si va da sei mesi a cinque anni, mentre l'art. 528 c.p. punisce con la reclusione fino a tre anni le pubblicazioni e gli spettacoli osceni. Ma un'apposita legge, la 335/75, ha escluso la responsabilità degli edicolanti e dei librai per le pubblicazioni vietate ai giovanissimi, a condizione che non siano esposte "parti palesemente oscene" o che non siano vendute ai minori di sedici anni. La distribuzione via internet - nonostante la legge 62/01 abbia equiparato le pubblicazioni telematiche alla stampa - sarebbe invece punita con una pena per più severa.

Tutto questo dimenticando che abbiamo già la legge 269/98, che con l'art. 3 ha introdotto l'art. 600-ter nel codice penale, sul reato di distribuzione di materiale pedopornografico "anche per via telematica", punito con pene fino a cinque anni di reclusione, oltre alle (discusse) previsioni di reato per la semplice detenzione di tali contenuti

In sostanza il quadro è lo stesso che abbiamo visto in altri progetti di legge presentati sulla materia: si addossano agli internet provider responsabilità che non possono avere, anche a norma della direttiva 2000/31/CE, ora in fase di recepimento. Essa infatti prevede all'art. 12 che il fornitore di servizi di "mero trasporto" non possa essere considerato responsabile per i contenuti, a meno che non compia qualche intervento sugli stessi. Ipotizza invece un obbligo di rimozione delle informazioni che gli siano segnalate come illecite. Il decreto di recepimento dovrebbe ragionevolmente indicare i requisiti di queste segnalazioni, perché non si può immaginare che il provider possa dare corso a tutte le "denunce", da chiunque provengano, né che assuma un avvocato a tempo pieno per decidere di volta in volta se una segnalazione sia efficace per giustificare l'intervento censorio, o se questo non possa invece procurargli altri guai.

Ma un avvocato potrebbe non bastare, perché l'ipotizzato articolo 528-bis imporrebbe anche l'assunzione di uno psicologo e di un sociologo. Senza considerare che sarebbe necessario definire una serie di criteri tecnici per attestare l'efficacia del software di controllo. Ma l'aspetto più grave è che, obbligando il provider a intervenire con i sistemi di selezione dei contenuti, lo si renderebbe responsabile dei contenuti stessi a tutti gli effetti, ai sensi del citato articolo 12 della direttiva 2000/31/CE.

Al di là delle esagerazioni punitive, resta il problema dell'efficacia dei sistemi di controllo. Perché dovrebbe essere chiaro che qualsiasi sistema di protezione, anche se efficace in prima battuta, è destinato a essere aggirato col passare del tempo. Inoltre (è un vecchio discorso, ma si deve ripeterlo) la presenza di automatismi, che comunque non possono essere efficaci al cento per cento, può avere l'effetto di deresponsabilizzare i genitori e gli educatori, i soli che possono svolgere un'efficace azione di tutela dei minori contro i contenuti pericolosi. In sostanza con queste proposte si trasferisce la responsabilità della protezione dei minori dalle famiglie ai fornitori di servizi internet: l'assurdità è più che evidente.

E per adesso tralasciamo le considerazioni sugli aspetti  "tecnici" di questi disegni di legge, sulla sproporzione delle pene, sul guazzabuglio tra delitti e contravvenzioni e via elencando. D'altra parte l'ignoranza dei più elementari principi del diritto penale sembra una costante dei promotori di leggi contro la pedofilia: in un'altra proposta (S. 57) presentata all'inizio della legislatura, c'è l'impossibile previsione (sempre a carico dei provider!) di "favoreggiamento e concorso" nel reato di pedofilia. Impossibile perché l'una ipotesi esclude l'altra: o un soggetto partecipa alla commissione del reato (concorso) o non vi partecipa, ma aiuta il colpevole a sfuggire alla giustizia (favoreggiamento).

Forse per evitare di incorrere di nuovo in questo clamoroso errore, gli estensori della nuova proposta hanno inventato la nuova, strampalata ipotesi del reato di "connivenza". E pensare che l'Italia era detta, un tempo, "patria del diritto".