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 Le regole dell'internet

Il coro dei bugiardi alla seconda crociata
di Giancarlo Livraghi* - 05.10.2000

Sembrava sopito, dopo la mostruosa montatura di due anni fa, il clamore su "internet e pedofilia". In realtà la manipolazione delle notizie non si era mai spenta. Continuavano insinuazioni "striscianti". Ogni volta che si parlava di violenza contro i bambini o gli adolescenti, si cercava un modo per citare la rete, anche quando non c'entrava per nulla. In televisione si sentiva parlare di violenze perpetrate nelle famiglie, e assurdamente si mostrava un computer o una pagina web. Ma questo stillicidio di falsificazioni sembrava un po' rallentare.

Invece... è ripartito un immenso fracasso, in cui imperversano di nuovo le ipocrisie, gli esibizionismi e le manipolazioni.

Siamo a una nuova crociata infame. Che somiglia a quelle crociate del medioevo che non arrivavano mai in Terrasanta ma si perdevano lungo il percorso in pogrom e altri massacri di chi aveva idee diverse dai promotori dell'impresa.

La nuova vicenda è cominciata fra il 18 e il 20 agosto 2000. A pochi giorni di distanza ci sono stati due orribili delitti. Due bambine crudelmente assassinate. Queste notizie hanno scatenato una comprensibile onda emozionale; e una altrettanto prevedibile, ma non per questo perdonabile, ondata di speculazioni e ipocrisie. Proclami politici, manipolazioni dell'informazione, minacce repressive, un'improvvisa fiammata di chiacchiere e di clamore sul tema grave e profondo delle violenze contro i bambini o gli adolescenti. Un male purtroppo diffuso, nascosto in angoli bui della nostra società, un po' dovunque: nelle scuole, nelle chiese... e soprattutto nelle famiglie. Un problema che richiederebbe attenzione continua, educazione sociale, impegno costante perché le vittime (come spesso succede) non si chiudano nella paura e nel silenzio. Invece... ancora una volta ci si avventa sull'internet, che ovviamente non ha nulla a che fare con i delitti che hanno scatenato il fracasso, né con le cause profonde del male (vedi Internet, il bambino e l'acqua sporca, settembre 1998).

Due anni fa c'era stata un'eco immensa intorno a una "gigantesca indagine" che avrebbe "sgominato la pedofilia in Italia" e che si concluse con l'incriminazione di tre persone accusate di collezionare fotografie. Come sarebbe consolante, se fosse vero: se i persecutori di bambini e minorenni in Italia fossero solo tre, se non facessero altro che collezionare immagini di discutibile valore "artistico", e se fossero stati tutti messi in condizione di non nuocere. Ma purtroppo questa, nonostante il rimbombo che aveva avuto su tutti i mezzi di informazione, era una spudorata bugia. Una vanteria insensata di persone ambiziose che volevano approfittare dell'occasione per mettersi in mostra.

Ora siamo daccapo. Verso la metà di settembre sono comparse di nuovo sui giornali notizie dello stesso genere. Una "grande inchiesta" ha portato (si dice) all'incriminazione di 36 persone che (si dice) fanno traffico di fotografie. Ma non erano stati "sgominati" due anni fa? Comunque 36 è un numero molto piccolo, e va considerato il fatto che (come si è dimostrato in casi precedenti) è probabile che molte delle persone indagate risultino innocenti e non coinvolte nel "traffico" di materiale sospetto.

Ciò che non dicono i laudatores di queste operazioni (regolarmente annunciate nel momento in cui servono a "far notizia") è che le "forze dell'ordine" sono attivamente presenti online da parecchi anni; che ci sono agenti della polizia, dei carabinieri, della guardia di finanza e della polizia postale con una lunga e profonda esperienza della rete; e che una delle loro attività preferite è andare a caccia di chi tenta di accalappiare in rete qualche ragazzino ingenuo (che spesso è un poliziotto travestito) o di chi partecipa ad aree di discussione su temi "delicati" o indulge nello scambio di materiale più o meno "osceno", specialmente se si tratta di bambini o adolescenti. Per non parlare di organizzazioni volontarie e aggregazioni spontanee di "cacciatori di pedofili" in rete. Data la continua sorveglianza, è sorprendente che ci sia ancora in giro qualcuno che ha questi comportamenti on line e non è ancora caduto nelle mani della giustizia. Mentre tanti malfattori (in territori assai meno trasparenti) continuano indisturbati nelle loro perverse attività, di cui nessuno sembra occuparsi se non quando c'è un orripilante assassinio, o si ha notizia di qualche altro episodio grave, che fa nascere una violentissima, ma purtroppo effimera, ondata di interesse; e più o meno confuse campagne di repressione, che ottengono scarsissimi risultati nell'individuare i veri colpevoli mentre quasi sempre sconvolgono la vita di molte persone che non hanno mai commesso alcun abuso.

C'è stata una sola eccezione al clamoroso silenzio dei "grandi mezzi" di informazione su questo opprimente problema. Una lettera di una lettrice è stata pubblicata da Barbara Palombelli su  Repubblica del 16 settembre. Merita di essere letta con attenzione. Il caso è gravissimo: un insegnante, che si dichiara del tutto innocente (e probabilmente lo è) rischia di perdere il lavoro, di apparire come un mostro agli occhi della scuola, degli alunni, delle loro famiglie e di tutta la comunità in cui vive - semplicemente perché è stato coinvolto per errore in un'indagine su presunti accessi a siti di "pornografia" on line che contengono immagini di "minorenni". Vorrei, ancora una volta, sottolineare che questa allucinante vicenda è tutt'altro che un caso isolato. E che gli unici a trarre vantaggio dalle assurde "cacce alle streghe" sono i veri colpevoli di abusi e violenze contro i bambini e gli adolescenti. O forse i siti di sesso hard di varia specie, che dal clamore diffuso potrebbero ottenere un aumento di traffico (cosa sconsigliabile, perché sono le peggiori fonti di spamming e di truffe).

Ma non è finita. Nei giorni successivi si è abbattuta su tutti i mezzi di informazione un'ondata ancora più forte di notizie scandalistiche. Si è parlato di un'altra indagine (o è la stessa?) che riguarda un traffico di
immagini, più o meno perverse, con sede in Russia. Sembra che l'organizzatore russo non solo sia a piede libero ma continui nella sua attività, probabilmente compiaciuto della "pubblicità" ottenuta grazie alla smisurata e prematura diffusione di notizie sui suoi commerci. Si è parlato insistentemente di "migliaia" di persone coinvolte in Italia. Solo molto più tardi, e un po' in sordina, è emersa una piccola verità: le persone incriminate (la cui colpevolezza resta da dimostrare) sono trenta. O anche meno. Il Corriere della Sera del 3 ottobre dice che sono sei.

Si è scatenato tutto il peggio delle sceneggiate all'italiana. Speculazioni politiche, dibattiti a non finire, strumentalizzazioni di ogni specie. Si è arrivati perfino a un conflitto nella Rai - che ha portato alle dimissioni del direttore del Tg1 e all'incriminazione di quattro giornalisti.

Un esempio fra mille... in una delle trasmissioni dedicate a questo argomento, Bruno Vespa sosteneva una curiosa tesi. Gli utenti dell'internet, diceva, sono pochi. Le persone che fanno commercio in rete di fotografie "pedofile" sono migliaia. Ergo chi usa l'internet è un "pedofilo". La cosa impressionante è che nessuno, né in quella trasmissione né in altre occasioni, ha fatto notare l'assurdità di quelle affermazioni. Anzi... cose simili sono ripetute ad nauseam un po' dovunque. In televisione, sui giornali, nei dibattiti politici, nei comizi....

Che cosa c'è di sbagliato in tutto questo? Molte cose. Cerchiamo di riassumere qualcuna delle più importanti.

Il traffico di fotografie, film e altri materiali "osceni" che coinvolgono adolescenti o bambini è solo uno dei tanti aspetti della cosiddetta "pedofilia". Persone esperte sull'argomento dicono che l'80 per cento delle violenze di questa specie avviene nelle famiglie, o comunque all'interno di piccole comunità - molto lontano dalle luci della ribalta. Concentrare tutta l'attenzione sul commercio di immagini significa falsare il problema e mandare nel "dimenticatoio" le violenze più gravi e diffuse - fino a quando qualche altro orribile delitto creerà una momentanea fiammata di clamorosa indignazione e di inutili chiacchiere.

La discutibile "arte" di fotografare bambini o adolescenti in situazioni "sessuali" di varia specie esiste da più di cent'anni. Quando nel 1898 morì Charles Lutwidge Dodgson (un illustre matematico più noto con lo pseudonimo di Lewis Carroll, l'autore di Alice nel paese delle meraviglie) lasciò una disposizione testamentaria che ordinava la distruzione del suo archivio di fotografie di bambine svestite (e chissà quante persone meno famose, anche nella pudibonda Inghilterra vittoriana, indulgevano in simili abitudini). Trenta o quarant'anni fa le organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani denunciavano il commercio di immagini non solo "pornografiche", ma di inaudita sadica violenza. Tutto questo accadeva molto prima che esistesse l'internet; ma poco o nulla è stato fatto per reprimere quei traffici, benché fossero ben noti alle polizie di tutto il mondo.

Se oggi qualche trafficante di quel genere di immagini va in rete, lo fa "a suo rischio e pericolo" - e dev'essere abbastanza sprovveduto: perché così aumenta enormemente le possibilità di essere individuato e incriminato. In altre parole, l'internet non è una causa del male: è uno strumento per aggredirlo.

La diffusione di "clamorose" notizie sulle indagini non è solo una violazione del "segreto istruttorio" ma un favore ai colpevoli. Un'indagine ben condotta potrebbe forse, partendo dalla rete, individuare anche quella parte preponderante del traffico che si svolge per canali meno controllabili. Ma è ovvio che se la notizia si diffonde i peggiori responsabili di ignobili commerci avranno tutto il tempo di nascondersi e far sparire le prove.

La situazione descritta in una lettera a Repubblica è tutt'altro che un caso isolato. Sono migliaia le persone sottoposte a incredibili persecuzioni e che poi si rivelano innocenti. Ma tale è la paura e l'imbarazzo che pochissimi hanno il coraggio di denunciare le sopraffazioni cui sono sottoposti. Le vittime silenziose si trovano in una situazione perversamente simile a quella di molte vittime di violenze sessuali che temono la vergogna della loro condizione - o sono prigioniere dell'omertà di chi pensa che "i panni sporchi si lavano in famiglia".

Insomma la barbarie non si vince aggiungendo altra barbarie. Chi diffonde notizie false e manipolate, chi "criminalizza" la rete invece di perseguire i veri colpevoli, è un alleato dei criminali e un nemico della società civile.

Per concludere... si pone la rituale domanda: cui prodest? La risposta è terribilmente semplice. E non occorre fare "dietrologia", perché le intenzioni sono dichiarate.

Le "forze dell'ordine" dispongono già di molti efficaci strumenti di intercettazione, che se servono per indagini contro i criminali possono essere usate anche per scopi molto meno giustificabili. Ma non si accontentano. Vogliono un ancora maggior potere di controllo sulla vita di tutti noi - in barba alle cosiddette (e mal concepite) leggi sulla privacy. Non è un segreto che ci sono progetti europei e italiani che consentirebbero una possibilità invasiva pari o superiore al famigerato Echelon - o al nuovo sistema di spionaggio che ha l'esplicito e preoccupante nome di Carnivore. Una delle vie più facili per ottenere risorse antropofaghe, di cui possono essere vittima tutti i cittadini, è approfittare di un'ondata emozionale su un argomento come la violenza contro i "minori".

I "grandi poteri" - politici, economici e dell'informazione - hanno sempre visto con fastidio quella libertà di opinione e di scambio che si è resa possibile con l'internet. Anche per loro lo schiamazzo sulla "pedofilia" è un'occasione favorevole per instaurare sistemi di controllo che si traducono in una parola semplice quanto perversa. Censura. Del tutto inutile per la caccia ai criminali; ma comoda per chi vuol togliere di mezzo opinioni "fuori dal coro" o informazioni non filtrate e condizionate. E ovviamente non si tratta solo di "pornografia" o di sesso; che sono da secoli e millenni il pretesto per tutt'altro genere di repressione.

Insomma il fatto è mostruosamente chiaro. Le abbiette montature e speculazioni cui stiamo assistendo non servono in alcun modo a risolvere il grave problema delle violenze (sessuali o non) contro i "minorenni" - e anche contro adulti tutt'altro che consenzienti. Hanno un solo effetto: ridurre la già scarsa riservatezza dei fatti personali e imbavagliare le opinioni o informazioni sgradite.