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 Telecomunicazioni

La riforma del passato nella legge sull'Autorità
di Manlio Cammarata (05.08.97)

Dopo un anno di dibattito è stata approvata la prima parte della riforma del sistema delle telecomunicazioni e dell'informazione. Ma le polemiche, che durano da più di vent'anni, non sono finite, perché la legge 31 luglio 1997 n. 249 "Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo" è solo il primo passo di un percorso del quale è difficile vedere la conclusione. Anche perché l'insieme dei due testi presentati dal ministro Maccanico (è ancora all'esame del Senato il secondo disegno di legge, il 1138) non sembra sufficiente a disegnare un quadro di riferimento sistematico per lo sviluppo della società dell'informazione in Italia.
Sembra, anzi, che l'intenzione del legislatore sia di affidare alla nascente Autorità non solo i compiti di regolamentazione e di controllo, ma anche di definizione della politica di sviluppo del sistema delle telecomunicazioni e dell'informazione. Materia che, per la sua importanza strategica nell'evoluzione dell'assetto socio-economico del paese, dovrebbe essere affrontata con ben maggiore consapevolezza dalle assemblee parlamentari.

Questa è l'impressione che si può avere in una prima lettura "a caldo" (anche per motivi meteorologici...) del testo della legge, che soffre di una specie di deformazione congenita e, purtroppo ineliminabile nell'attuale contesto politico: dovrebbe essere una legge di principi, che definisca almeno a medio termine le linee guida dello sviluppo del sistema. Invece è una somma di provvedimenti urgenti e parziali, e tuttavia necessari per avviare a soluzione alcuni degli annosi problemi del nostro sistema radiotelevisivo (la cosiddetta "anomalia italiana" nel settore dell'informazione).

Limitandoci, per ora, a una rapida analisi del testo approvato, vediamo che i compiti della nuova Autorità riguardano, per la parte dei contenuti, quasi esclusivamente la televisione. Tutto il resto è trattato di sfuggita, se non ignorato, e non mancano passaggi che potrebbero avere conseguenze negative in futuro. In particolare per l'editoria digitale resta la confusione fra infrastrutture e contenuti. Si legge infatti (articolo1, comma 6, lettera a), n. 5) che la commissione per le infrastrutture e le reti cura la tenuta del registro degli operatori di comunicazione al quale si devono iscrivere in virtù della presente legge i soggetti destinatari di concessione ovvero di autorizzazione in base alla vigente normativa da parte dell'Autorità o delle amministrazioni competenti, le imprese concessionarie di pubblicità da trasmettere mediante impianti radiofonici o televisivi o da diffondere su giornali quotidiani o periodici, le imprese di produzione e distribuzione dei programmi radiofonici e televisivi, nonché le imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici o riviste e le agenzie di stampa di carattere nazionale, nonché le imprese fornitrici di servizi telematici e di telecomunicazioni ivi compresa l'editoria elettronica e digitale...
Con l'aggiunta dell'aggettivo "digitale" resta l'incongruenza che avevo già rilevato nel testo approvato in prima lettura dal Senato (vedi
Editoria elettronica, un pasticcio legislativo): l'avverbio "ivi" comprende l'editoria elettronica (vale a dire la produzione di contenuti, analoga all'attività delle "imprese editrici di periodici o riviste e e agenzie di stampa") tra i fornitori di servizi telematici e di telecomunicazioni. Può sembrare un dettaglio di scarso rilievo, ma non lo è se solo si considera la questione delle responsabilità per la diffusione in rete di contenuti illeciti: è essenziale distinguere il fornitore del servizio telematico (assimilabile al gestore di un'edicola) dal fornitore dell'informazione (assimilabile al giornalista o il direttore responsabile di un periodico). Per non parlare del problema, ancora aperto, della applicabilità delle norme sulla stampa all'informazione telematica: una possibile interpretazione del testo citato porterebbe a includere questa rivista non nel settore in cui saranno elencati giornali e periodici, ma tra gli Internet provider o - al limite - tra i gestori di linee telefoniche "vietate ai minori"!

Se non è in discussione l'opportunità di costituire una sola autorità per le infrastrutture e i contenuti, assegnati rispettivamente a due diverse commissioni, non si capisce perché la commissione competente sulle infrastrutture debba censire e registrare anche i fornitori di contenuti, che ricadono nell'ambito di competenza dell'altra commissione: nasceranno non poche questioni quando si tratterà di regolamentare l'attività delle diverse categorie di operatori, tanto più che nel registro-calderone dovranno confluire sia le aziende che oggi sono iscritte negli elenchi del Garante dell'editoria, sia quelle che oggi sono censite dal Ministero delle comunicazioni in forza del decreto legislativo 103/95. Che, fra l'altro, non è abrogato dalla nuova legge e non potrà essere abrogato dai regolamenti dell'Autorità (i cui atti non potranno avere forza di legge e quindi abrogare leggi precedenti): la confusione per gli Internet provider è dunque destinata ad aumentare.

Ma questo è solo un dettaglio. Il testo della 249/97 ignora di fatto le imponenti questioni della "convergenza digitale" e dell'evoluzione verso la multimedialità di tutto il settore dell'informazione.
E' di pochi mesi fa la notizia di un'ordinanza del tribunale di Napoli, che accetta l'iscrizione nel registro della stampa di una testata telematica solo perché sarà pubblicata anche su carta: quanto dovremo aspettare perché il legislatore si accorga che Internet è ormai un mezzo di informazione più importante della carta stampata e che, comunque, tutta l'informazione, televisione compresa, si sta fondendo in un unico calderone digitale?

A proposito di Internet: la parola non compare nemmeno una volta nel testo della 249/97, né la rete è citata con una delle circonlocuzioni tanto care al nostro potere legislativo. E su quasi dodicimila parole che compongono il documento, il termine "multimedialità" compare solo tre volte, l'aggettivo "digitale" sette (sei delle quali riferite alla televisione), mentre "televisione", "televisivo" e simili compaiono circa cento volte. Insomma, chi aspettava una legge che tracciasse le linee guida dello sviluppo della multimedialità, dovrà aspettare ancora chissà quanto tempo. Molti dettagli lo dimostrano: per esempio, la commissione per i servizi e i prodotti deve vigilare sulla tutela dei minori, ma solo e specificamente nel settore televisivo (articolo 1, comma 4, lettera b), numero 6). Tutto il problema dei contenuti critici di Internet, in prospettiva più preoccupanti che nella TV, è ignorato dalla legge.

Insomma, la 249 pone solo le basi per la riforma del sistema televisivo, cioè riforma il passato, ma non risolve i problemi del presente. E non si preoccupa del futuro: ancora oggi, quattro anni dopo il primo documento ufficiale americano sulle autostrade dell'informazione, manca un progetto italiano per il settore che più di ogni altro può assicurare "crescita, competitività, occupazione".

Così, tra qualche anno, commenteremo una legge che cercherà di porre rimedio ai guasti del settore multimediale, come oggi la 249 cerca di rimediare a quelli del sistema radiotelevisivo. Quando la smetteremo di fare progetti per il passato?

(Una più dettagliata analisi della legge sarà pubblicata sul numero 177 di MCmicrocomputer, in edicola ai primi di ottobre)