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Pubblica amministrazione e open socurce

Amministrazione digitale: cosa resta della funzione documentaria

di Maria Guercio* - 02.12.04

 

Come è già stato ricordato in altri interventi, lo schema di decreto legislativo con il quale si propone l'approvazione del codice dell'amministrazione digitale si presenta con l'obiettivo ambizioso di riscrivere l'intera materia della informatizzazione del settore pubblico a distanza di soli quattro anni dalla precedente normativa e in una fase ancora in via di prima applicazione. Gli aspetti che meriterebbero di essere discussi sono molteplici. Mi limiterò a sottolineare quelle proposte che nel campo specifico della gestione dei documenti introducono i cambiamenti più rilevanti, non tutti sviluppati con chiarezza e senza ambiguità.

Tra le ragioni di perplessità, sul piano generale, c'è sicuramente il ritorno a un sistema frammentario di norme rispetto al tentativo compiuto con il testo unico sul documento amministrativo di ricondurre la sempre più complessa materia a un quadro capace di rispettare la dimensione unitaria del sistema documentario. Le trasformazioni determinate dal processo di innovazione tecnologica e organizzativa, che la normativa del 2000 ha cercato di sostenere e accompagnare, garantendo al contempo continuità con i principi fondanti della funzione documentaria ed evoluzione, rischiano di non trovare nel nuovo codice uguale coerenza. E' del resto il principio stesso di separare in nome di tecnologie comunque strumentali e mutevoli funzioni generali come quelle documentarie e per la stessa ragione accorpare attività distinte per il solo fatto di trattare "informazioni" di diverso significato e ruolo a suscitare perplessità e a determinare qualche confusione.

La natura unitaria della gestione documentaria è stata una delle migliori caratteristiche della tradizione nazionale cui si sono ispirati altri Paesi in Europa e in Nordamerica oggi alle prese con la frammentazione delle tecnologie e, ancor più, delle responsabilità amministrative. Basterebbe dare una rapida lettura allo standard approvato dal governo federale degli Stati Uniti per la gestione informatica dei documenti per ritrovare non solo i criteri generali ma anche la stessa terminologia utilizzata nel modello italiano e ampiamente ripresa dagli estensori delle linee guida citate.

Nuoce ad esempio alla completezza e alla stessa efficacia del nuovo codice l'assenza di riferimenti al ciclo completo della gestione dei sistemi documentari cui il testo unico invece aveva giustamente fatto riferimento includendo sintetiche ed efficaci indicazioni sulla gestione degli archivi di deposito e storici (articoli 67-69 DPR 445/2000). Non solo il carattere generale di quei principi ben si adatta a un codice, ma l'attenzione generale alle fasi, alle responsabilità e agli strumenti del trattamento documentario successivo alla formazione potrebbe costituire le basi di quella funzione conservativa delle memorie digitali che il nuovo testo normativo si affanna a inseguire con scarsa efficacia proprio perché non affronta quella funzione - se non nella forma, naturalmente doverosa ma del tutto insufficiente, di generici richiami alla responsabilità del Ministero per i beni e le attività culturali e di qualche astratta petizione di principio.

Riservandomi di affrontare in un secondo momento alcuni aspetti specifici del provvedimento, mi limiterò in questa occasione a qualche considerazione ulteriore sui nodi principali che il testo tralascia di considerare o affronta in modo volutamente generico rispetto al DPR precedente e all'opposto su qualche pericolosa indicazione di dettaglio che avrebbe potuto essere più felicemente mantenuta al solo livello regolamentare.
E' il caso, ad esempio, della definizione di "originale non unico" (articolo 1, aa) - a dir poco incomprensibile sul piano giuridico e documentario - presente in precedenza solo nelle regole tecniche e qui riproposta a livello di codice con finalità non del tutto chiare e sicuramente non riducibili a ragioni di coerenza del documento normativo. Se l'obiettivo del legislatore nel proporre in questa sede tale definizione era legato alla necessità di consentire la semplificazione nel trattamento di qualche specifica tipologia documentaria, sarebbe stato più utile identificarla in modo esplicito piuttosto che far riferimento a termini inusuali e irrilevanti nella prassi amministrativa e documentaria.

Un ulteriore problema definitorio lo troviamo anche nella mancanza di coerenza con cui si utilizzano alcuni termini pur centrali del codice: gestione informatica dei documenti, protocollo informatico, protocollo informatizzato (questi ultimi due non meglio definiti e presumibilmente riconducibili semplicemente alla natura informatica del registro di protocollo che tuttavia costituisce solo uno strumento all'interno della gestione informatica dei documenti.

Ben più grave è tuttavia la perdita di riferimenti organizzativi e di responsabilità dovuta al venir meno dell'obbligo di dar vita a una struttura ben definita per la gestione dei documenti, che nel codice si riduce a una ambigua indicazione di non meglio identificati "servizi" da usufruire da parte delle aree organizzative omogenee (articolo 41). Alcune criticità presenti nel precedente testo unico in ragione di una indicazione molto rigida e di difficile applicazione nelle amministrazioni di dimensioni ridotte avrebbero dovuto e potuto trovare soluzioni migliori in grado di tener conto del fatto che quel po' che si è mosso nel settore pubblico in questi anni in materia di informatizzazione ha riguardato esclusivamente e significativamente proprio la creazione di sistemi documentari informatici progettati e mantenuti grazie all'assunzione di specifiche e dedicate responsabilità operative in ambito documentario.

D'altra parte, tutti gli alti responsabili dei programmi di informatizzazione nazionale ed europea sostengono da tempo (alcuni tuttavia solo formalmente) la necessità di sviluppare competenze e far crescere le capacità di innovazione, ovvero sostenere processi avanzati di formazione professionale all'interno delle amministrazioni, ma non sembrano rendersi conto che questi cambiamenti hanno bisogno di persone fisiche autorevoli, responsabili, preparate, determinate nell'individuare e perseguire con coerenza progetti di innovazione complessi e impegnativi come quelli che riguardano la produzione documentaria. Non è una fissazione degli archivisti quella di sottolineare che il successo del processo di innovazione in atto dipende dalla capacità di adottare criteri di qualità nell'attuale fase di transizione proprio in riferimento agli strumenti documentari, incluso lo sviluppo software adeguati (che solo tecnici archivisti esperti e responsabili possono essere capaci di adottare con intelligenza e flessibilità imponendo, tra l'altro, soluzioni avanzate a un mercato di settore per ora alquanto modesto nei servizi resi disponibili alle amministrazioni e alle imprese).

Un'ultima osservazione merita infine il problema del documento informatico e delle garanzie sulla verifica della provenienza in relazione a tipologie di comunicazione/documentazione che il codice individua (istanze, comunicazioni, documenti giuridicamente rilevanti, ecc.) al fine di dosare (ma chi sarà mai capace di farlo all'interno di amministrazioni che hanno perso da tempo i riferimenti conoscitivi e le competenze in materia documentaria?) l'uso della firma digitale al fine probabile di semplificare le procedure. La sezione IV dedicata alla trasmissione informatica dei documenti (articoli 49-52) non è priva di incongruenze e contraddizioni, a cominciare dal fatto che si confondono - in forma sembrerebbe non del tutto casuale - la trasmissione e la formazione dei documenti allorché si fa riferimento alla necessità di garantire la verifica della provenienza mediante soluzioni alternative che mettono sullo stesso piano firma digitale, protocollo informatizzato (ma non si era parlato - seppure senza definirlo - di protocollo informatico?), posta elettronica certificata.

Rimane al lettore il dubbio che qui si parli solo di trasmissione (e non di formazione) di documenti la cui provenienza sia verificabile - in assenza di firma digitale - mediante la tenuta presso chi spedisce dell'originale cartaceo debitamente sottoscritto in forma autografa, come del resto avviene oggi per garantire l'accertamento della provenienza di documenti trasmessi via fax tra pubbliche amministrazioni. Simili osservazioni riguardano anche l'articolo 66 relativo alle istanze e dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica che pur riprende una serie di norme presenti nel DPR 445/2000 ma in quel contesto più chiaramente formulate.

In sostanza, il tema è importante (come dimostra l'insistenza in materia documentaria da parte del legislatore negli ultimi anni): merita perciò una maggiore attenzione con particolare riferimento alle esigenze di coerenza tecnica dei principi e delle regole e di efficacia nelle fasi applicative. Per chi lavora nelle amministrazioni in una fase caratterizzata da molteplici difficoltà, dalla mancanza di risorse finanziarie, dalla scarsità di personale e da una consolidata disorganizzazione documentaria non c'è nulla di più frustrante che dover fare i conti con una normativa ambiziosa finalizzata a promuovere il cambiamento, ma insufficiente nel fornire indicazioni univoche e concrete, nell'indicare requisiti organizzativi e tecnici adeguati, nello sciogliere le ambiguità e le incertezze prodotte da un uso sempre più frequente di tecnologie avanzate, di cui la cattiva gestione e la mancanza di competenze e responsabilità impediscono una piena e corretta fruizione.
 

* Università degli studi di Urbino, docente di archivistica informatica 

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