Come è già stato ricordato in altri interventi, lo schema
di decreto legislativo con il quale si propone l'approvazione del codice dell'amministrazione
digitale si presenta con l'obiettivo ambizioso di riscrivere l'intera
materia della informatizzazione del settore pubblico a distanza di soli quattro
anni dalla precedente normativa e in una fase ancora in via di prima
applicazione. Gli aspetti che meriterebbero di essere discussi sono molteplici.
Mi limiterò a sottolineare quelle proposte che nel campo specifico della
gestione dei documenti introducono i cambiamenti più rilevanti, non tutti
sviluppati con chiarezza e senza ambiguità.
Tra le ragioni di perplessità, sul piano generale, c'è
sicuramente il ritorno a un sistema frammentario di norme rispetto al
tentativo compiuto con il testo unico sul documento amministrativo di ricondurre
la sempre più complessa materia a un quadro capace di rispettare la dimensione
unitaria del sistema documentario. Le trasformazioni determinate dal processo di
innovazione tecnologica e organizzativa, che la normativa del 2000 ha cercato di
sostenere e accompagnare, garantendo al contempo continuità con i principi
fondanti della funzione documentaria ed evoluzione, rischiano di non trovare nel
nuovo codice uguale coerenza. E' del resto il principio stesso di separare in
nome di tecnologie comunque strumentali e mutevoli funzioni generali come quelle
documentarie e per la stessa ragione accorpare attività distinte per il solo
fatto di trattare "informazioni" di diverso significato e ruolo a suscitare
perplessità e a determinare qualche confusione.
La natura unitaria della gestione documentaria è stata una
delle migliori caratteristiche della tradizione nazionale cui si sono ispirati
altri Paesi in Europa e in Nordamerica oggi alle prese con la frammentazione
delle tecnologie e, ancor più, delle responsabilità amministrative. Basterebbe
dare una rapida lettura allo standard approvato dal governo federale degli Stati
Uniti per la gestione informatica dei documenti per ritrovare non solo i criteri
generali ma anche la stessa terminologia utilizzata nel modello italiano e
ampiamente ripresa dagli estensori delle linee guida citate.
Nuoce ad esempio alla completezza e alla stessa efficacia del
nuovo codice l'assenza di riferimenti al ciclo completo della gestione dei
sistemi documentari cui il testo unico invece aveva giustamente fatto
riferimento includendo sintetiche ed efficaci indicazioni sulla gestione degli
archivi di deposito e storici (articoli 67-69
DPR 445/2000). Non solo il carattere generale di quei principi ben si adatta a
un codice, ma l'attenzione generale alle fasi, alle responsabilità e agli
strumenti del trattamento documentario successivo alla formazione potrebbe
costituire le basi di quella funzione conservativa delle memorie digitali che il
nuovo testo normativo si affanna a inseguire con scarsa efficacia proprio
perché non affronta quella funzione - se non nella forma, naturalmente
doverosa ma del tutto insufficiente, di generici richiami alla responsabilità
del Ministero per i beni e le attività culturali e di qualche astratta
petizione di principio.
Riservandomi di affrontare in un secondo momento alcuni
aspetti specifici del provvedimento, mi limiterò in questa occasione a qualche
considerazione ulteriore sui nodi principali che il testo tralascia di
considerare o affronta in modo volutamente generico rispetto al DPR precedente e
all'opposto su qualche pericolosa indicazione di dettaglio che avrebbe potuto
essere più felicemente mantenuta al solo livello regolamentare.
E' il caso, ad esempio, della definizione di "originale non unico" (articolo 1, aa) - a dir poco incomprensibile
sul piano giuridico e documentario - presente in precedenza solo nelle regole
tecniche e qui riproposta a livello di codice con finalità non del tutto chiare
e sicuramente non riducibili a ragioni di coerenza del documento normativo. Se l'obiettivo
del legislatore nel proporre in questa sede tale definizione era legato alla
necessità di consentire la semplificazione nel trattamento di qualche specifica
tipologia documentaria, sarebbe stato più utile identificarla in modo esplicito
piuttosto che far riferimento a termini inusuali e irrilevanti nella prassi
amministrativa e documentaria.
Un ulteriore problema definitorio lo troviamo anche nella
mancanza di coerenza con cui si utilizzano alcuni termini pur centrali del
codice: gestione informatica dei documenti, protocollo informatico,
protocollo informatizzato (questi ultimi due non meglio definiti e
presumibilmente riconducibili semplicemente alla natura informatica del registro
di protocollo che tuttavia costituisce solo uno strumento all'interno della
gestione informatica dei documenti.
Ben più grave è tuttavia la perdita di riferimenti
organizzativi e di responsabilità dovuta al venir meno dell'obbligo di dar
vita a una struttura ben definita per la gestione dei documenti, che nel
codice si riduce a una ambigua indicazione di non meglio identificati "servizi"
da usufruire da parte delle aree organizzative omogenee (articolo 41). Alcune criticità presenti
nel precedente testo unico in ragione di una indicazione molto rigida e di
difficile applicazione nelle amministrazioni di dimensioni ridotte avrebbero
dovuto e potuto trovare soluzioni migliori in grado di tener conto del fatto che
quel po' che si è mosso nel settore pubblico in questi anni in materia di
informatizzazione ha riguardato esclusivamente e significativamente
proprio la creazione di sistemi documentari informatici progettati e mantenuti grazie
all'assunzione di specifiche e dedicate responsabilità operative in
ambito documentario.
D'altra parte, tutti gli alti responsabili dei programmi di
informatizzazione nazionale ed europea sostengono da tempo (alcuni tuttavia solo
formalmente) la necessità di sviluppare competenze e far crescere le capacità
di innovazione, ovvero sostenere processi avanzati di formazione professionale
all'interno delle amministrazioni, ma non sembrano rendersi conto che questi
cambiamenti hanno bisogno di persone fisiche autorevoli, responsabili,
preparate, determinate nell'individuare e perseguire con coerenza progetti di
innovazione complessi e impegnativi come quelli che riguardano la produzione
documentaria. Non è una fissazione degli archivisti quella di sottolineare che
il successo del processo di innovazione in atto dipende dalla capacità di
adottare criteri di qualità nell'attuale fase di transizione proprio in
riferimento agli strumenti documentari, incluso lo sviluppo software adeguati
(che solo tecnici archivisti esperti e responsabili possono essere capaci
di adottare con intelligenza e flessibilità imponendo, tra l'altro, soluzioni
avanzate a un mercato di settore per ora alquanto modesto nei servizi resi
disponibili alle amministrazioni e alle imprese).
Un'ultima osservazione merita infine il problema del
documento informatico e delle garanzie sulla verifica della provenienza
in relazione a tipologie di comunicazione/documentazione che il codice individua
(istanze, comunicazioni, documenti giuridicamente rilevanti, ecc.) al fine di
dosare (ma chi sarà mai capace di farlo all'interno di amministrazioni che
hanno perso da tempo i riferimenti conoscitivi e le competenze in materia
documentaria?) l'uso della firma digitale al fine probabile di semplificare le
procedure. La sezione IV dedicata alla trasmissione informatica dei documenti (articoli 49-52) non è priva di
incongruenze e contraddizioni, a cominciare dal fatto che si confondono - in
forma sembrerebbe non del tutto casuale - la trasmissione e la formazione dei
documenti allorché si fa riferimento alla necessità di garantire la verifica
della provenienza mediante soluzioni alternative che mettono sullo stesso piano
firma digitale, protocollo informatizzato (ma non si era parlato - seppure
senza definirlo - di protocollo informatico?), posta elettronica certificata.
Rimane al lettore il dubbio che qui si parli solo di
trasmissione (e non di formazione) di documenti la cui provenienza sia
verificabile - in assenza di firma digitale - mediante la tenuta presso chi
spedisce dell'originale cartaceo debitamente sottoscritto in forma autografa,
come del resto avviene oggi per garantire l'accertamento della provenienza di
documenti trasmessi via fax tra pubbliche amministrazioni. Simili osservazioni
riguardano anche l'articolo 66
relativo alle istanze e dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni
per via telematica che pur riprende una serie di norme presenti nel DPR 445/2000
ma in quel contesto più chiaramente formulate.
In sostanza, il tema è importante (come dimostra l'insistenza
in materia documentaria da parte del legislatore negli ultimi anni): merita
perciò una maggiore attenzione con particolare riferimento alle esigenze di
coerenza tecnica dei principi e delle regole e di efficacia nelle fasi
applicative. Per chi lavora nelle amministrazioni in una fase caratterizzata da
molteplici difficoltà, dalla mancanza di risorse finanziarie, dalla scarsità
di personale e da una consolidata disorganizzazione documentaria non c'è
nulla di più frustrante che dover fare i conti con una normativa ambiziosa
finalizzata a promuovere il cambiamento, ma insufficiente nel fornire
indicazioni univoche e concrete, nell'indicare requisiti organizzativi e
tecnici adeguati, nello sciogliere le ambiguità e le incertezze prodotte da un
uso sempre più frequente di tecnologie avanzate, di cui la cattiva gestione e
la mancanza di competenze e responsabilità impediscono una piena e corretta
fruizione.
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