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 Nomi a dominio

Nomi a dominio e diritto al nome
di Claudio Manganelli* - 22.03.01

Il DDL cosiddetto "Passigli" sui nomi a dominio non ha tagliato il filo di lana della scadenza della legislatura, nonostante le molte pressioni dei vari (per dirla con Andrea Monti) leinonsachisonoio.
Al di là di considerazioni sull'opportunità di isolare, tra i tanti casi di ciber-reato, proprio quello dell'abuso di registrazione di nomi per introdurre, con l'art. 7 un primo embrione di organismo governativo per il controllo dello spazio virtuale, vien fatto di chiedersi se la soluzione individuata per comprimere il reato di cybersquatting non poteva essere evitata con maggior accortezza previsionale e, soprattutto, perfezionando e correlando alla realtà della rete la corposa legislazione civile e penale che, in molti sue leggi e norme, può essere estesa dal mondo reale allo spazio virtuale.

Perché non rafforzare la legge che tutela i marchi, il copyright, perché non richiamare le norme del codice civile sul diritto all'uso del proprio nome e non utilizzare le previsioni contenute nella legge 675/96 che protegge i dati personali e ne prevede il trattamento lecito, corretto, pertinente e non eccedente, obbligando inoltre il titolare a fornire l'informativa all'interessato? Basterebbe applicare queste norme per risolvere molte questioni sull'uso illegittimo dei nomi di persona come nomi a dominio. A questo proposito, proprio durante la discussione alla Camera, InterLex pubblicava un interessante articolo di Tiziana Krasna che la Commissione avrebbe dovuto leggere.

Il minacciato decreto rischia di apparire quindi un rimedio posticcio e traballante soprattutto quando affida ad una istituenda commissione funzioni che, sinora erano svolte in Italia da un organismo indipendente dai mondi pubblico e imprenditoriale, in linea con quanto avviene nelle Nazioni governate democraticamente: ne conseguono le considerazioni che vengono dall'estero e che vogliono paragonare l'azione governativa italiana a quella attuata dalla dittatura comunista cinese; e la preoccupazione di azioni imperfette da parte della istituenda commissione emerge dai commi 3 e 4 dell'art. 7 del DDL, che prevede una nutrita schiera di commissari coadiuvati da un Collegio consultivo formato da sino a 15 componenti. Poi, dulcis in fundo, le controversie che la Commissione potrà provocare vengono rimesse alla giurisdizione della magistratura ordinaria, con tutti i suoi tempi di risposta. Ma allora non conveniva definire meglio le problematiche emergenti da abusi in Internet e rinviarle al corpus iuris esistente? Si sarebbe finiti comunque nelle maglie della magistratura ordinaria.

Un'ultima considerazione: era proprio necessario un nuovo organismo, nemmeno tanto strutturato per ruolo e risorse, o si poteva affidare il ruolo della net-governance italiana all'Autorità per le telecomunicazioni, all'AIPA per la parte dei domini delle pubbliche amministrazioni, o al Garante per la protezione dei dati personali per quanto concerne i nomi di persone?

* Già componente del Garante per la protezione dei dati personali