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 Commercio elettronico

Sono davvero vietate le aste su internet? - 1
di Enzo Maria Tripodi* - 10.01.02

1. Premessa

Qualche anno fa, quando ci fu una vera e propria "euforia" sul contratto di franchising, Marisa Amoroso indicò, tra i rischi per gli operatori interessati a questa "formula" contrattuale, quella costituita dalla "piaga degli pseudo-consulenti". Riprendo questa immagine per sottolineare come anche rispetto al commercio elettronico (sia dal punto di vista economico che giuridico) stia accadendo, più o meno, la stessa cosa.

Per dimostrare quando dico, assumo ad esempio (tra i tanti che potrei fare) quello delle aste on line, rispetto al quale la dottrina (se vogliamo chiamarla così) diffonde una idea quanto mai bizzarra: nel nostro ordinamento le aste on line sono vietate.
Tale idea è frutto di una analisi piuttosto sommaria sulla quale si innesta anche la facilità di accesso ad Internet che diventa - anche per i "giuristi" dell'ultima ora - uno straordinario mezzo di diffusione (a costi zero) di sciocchezze.

2. Il punto di partenza: il dato giuridico

Dopo un incipit piuttosto caustico che mi attirerà - se le persone indirettamente citate non sono di spirito (critico) - almeno quattro o cinque querele, veniamo ai dati in nostro possesso, ragionando - va da sé - su quelli giuridici.
La regolamentazione delle aste on line private (quelle pubbliche è, infatti, tutt'altra storia per la quale vi rinvio, in prima approssimazione, a quanto riporta G. Rognetta, Le aste on line, in AA.VV., Internet, a cura di G. Cassano, Milano, 2001, p. 147 ss. nonché, per le aste giudiziarie, al sito www.ivgonline.it), passa attraverso due disposizioni curiosamente contraddittorie: l'art. 18, comma 5 del DLgs n. 114/98 e l'art. 2, lett. e), del DLgs n. 185/99.

La prima disposizione appena citata stabilisce che "Le operazioni di vendita all'asta realizzate per mezzo della televisione o di altri sistemi di comunicazione sono vietate" mentre, la seconda, esclude l'applicazione del decreto sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, ai contratti "conclusi in occasione di una vendita all'asta".
Non è mancato chi ha subito ha notato l'incongruenza del legislatore di escludere l'applicazione di un decreto (il 185/99) ad una operazione che è segnata da un divieto assoluto.
Vediamo se le cose stanno davvero così.

3. I limiti dell'art. 18 del DLgs n. 114/98

L'art. 18, dicevamo, contiene il divieto di operare con la tecnica dell'asta ed è una regola che si applica anche ad Internet, secondo quanto (da me) da tempo rilevato e, infine, espressamente sancito - anche a livello ministeriale - con la circolare 1° giugno 2000, n. 3487/C, con la quale il Ministero delle attività produttive ha indicato che "l'attività commerciale svolta nella rete Internet mediante l'utilizzo di un sito web (e-commerce), ove sia svolta nei confronti del consumatore finale e assuma la forma di commercio interno, è soggetta alla disciplina dell'art. 18 del DLgs 31 marzo 1998, n. 114".

Mi dispiace però che, pur avendolo scritto più volte, nessuno si sia preso la briga di trarre il risultato "2" dalla somma "1 + 1". Lo scrivo ancora sperando che i potenti mezzi di risonanza di InterLex siano in grado di perforare anche i timpani più duri: l'art. 18 non si applica a tutti gli operatori che svolgono attività di commercio. Ne consegue, de plano, che il divieto di cui al comma 5 non si applica a tutti gli operatori.
Tale divieto, per via del fatto che l'art. 18 concerne le forme speciali di vendita al dettaglio, si applica unicamente agli operatori dettaglianti che svolgono l'attività di acquisto per la rivendita ai consumatori finali.

Ne risultano pertanto esclusi tutti i soggetti che non rientrano nella definizione di commercio al dettaglio, indicata dall'art. 4, comma 1, lett. b), del DLgs n. 114/1998, come "l'attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione direttamente al consumatore finale".
L'art. 18 non si applica dunque ai grossisti (la cui attività è definita dall'art. 4, comma 1, lett. a) del menzionato decreto) ed in genere ai tutti gli operatori che non vendono ai consumatori finali.

Il DLgs n. 114/1998, in virtù di quanto espressamente stabilito dall'art. 4, comma 2, non trova poi integralmente applicazione ad una serie di soggetti che possono vendere ai consumatori pur non essendo dei dettaglianti, tra i quali rammentiamo, per quel che qui interessa:
a) "i produttori agricoli, singoli o associati, i quali esercitino l'attività di vendita di prodotti agricoli nei limiti di cui all'art. 2135 c.c., alla legge 25 marzo 1959, n. 125 e successive modificazioni e alla legge 9 febbraio 1963, n. 59 e successive modificazioni" (art. 4, comma 2, lett. d));
b) "gli artigiani iscritti nell'albo di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443, per la vendita nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti dei beni di produzione propria, ovvero per la fornitura al committente dei beni accessori all'esecuzione delle opere o alla prestazione del servizio" (art. 4, comma 2, lett. f)).

Un lettore che conosce davvero la disciplina sul commercio (e, so per certo, che sono pochi) nell'elencazione precedente avrà notato che non sono compresi i produttori industriali.
Per questi operatori il Ministero delle attività produttive, con la consueta italica inventiva, con le circolari 18 gennaio 1999, n. 3459/C e 28 maggio 1999, n. 3467/C, ha chiarito che l'attività di vendita da parte degli industriali fuoriesce dall'ambito applicativo del citato decreto solo se svolta nei locali di produzione o in quelli ad essi adiacenti, analogamente alla deroga prevista per gli artigiani. Qualora la vendita sia esercitata in altri locali, l'industriale svolgerebbe anche le attività proprie del commerciante, con la sottoposizione al relativo regime.

Su quest'ultimo punto vale la pena di rilevare che si tratta dell'opinione del Ministero e non certo quella del legislatore (che aveva un anno di tempo per "correggere" - se avesse voluto - il decreto Bersani): l'indicazione va letta, dunque, con la postilla: "Salvo che la giurisprudenza sia di altro avviso". A quanto ne so, però, nessun industriale ha avuto l'ardire di "sfidare" il Ministero in questa sua interpretazione leggermente fuori-legge.

Dunque, molti soggetti che pure vendono ai consumatori sono sottratti al capestro dell'art. 18 del DLgs n. 114/98 (coglie questo dato - era ora! - L. Giacopuzzi, in www.netjus.org/pages/apgex.asp?article=90, ma poi non approfondisce la questione).
E' peraltro opportuno chiarire i limiti di questa esclusione poiché, come visto, tranne il caso del produttore industriale sul quale sono stati resi i necessari chiarimenti con le predette circolari, l'esclusione non è indicata in via assoluta ma soggiace ad alcune condizioni.

In questo senso, la vendita operata dal produttore agricolo è sottoposta a quanto disposto dal DLgs n. 114/1998, in quanto non siano rispettate le previsioni della legge 9 febbraio 1959, n. 59 (come modificata dalla legge 14 giugno 1964, n. 477), concernente le "Norme per la vendita al pubblico in sede stabile di prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti".
Tale legge deve ritenersi tuttavia implicitamente abrogata dall'entrata in vigore del DLgs 18 maggio 2001, n. 228, recante "Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57".
L'art. 4 di detto decreto, rubricato "Esercizio dell'attività di vendita", prevede alcune indicazioni che si applicano all'agricoltore che intende svolgere attività di vendita al dettaglio.
In particolare, il comma 7 dell'articolo appena citato, conferma che la vendita diretta degli agricoltori è esclusa dall'applicazione del DLgs n. 114/1998. Tale esclusione è però legata al fatturato conseguito con tale vendita: il DLgs n. 114/1998 torna infatti ad essere applicabile "qualora l'ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell'anno solare precedente sia superiore a 80 milioni di lire per gli imprenditori individuali, ovvero a 2 miliardi per le società" (art. 4, comma 8).

Per quanto attiene alla vendita su Internet effettuata dal produttore artigiano, la non applicazione delle regole previste dal DLgs n. 114/1998 è subordinata alla circostanza che la vendita dei propri prodotti - da parte dei soggetti regolarmente iscritti all'albo delle imprese artigiane - avvenga nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti.
Aderendo alle indicazioni della migliore dottrina (sempre il sottoscritto, in un disarmante silenzio dei nostri "pseudo-esperti"), occorre distinguere tra l'attività di tipo promozionale e la vera e propria attività di vendita, ossia, secondo le regole del nostro codice civile, il momento ed il luogo in cui è stata trasferita la proprietà del bene oggetto della vendita.
La disposizione del DLgs n. 114/1998 richiede che la vendita abbia luogo nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti. Ne consegue che se la vendita - anche se a distanza tramite il sito su Internet - si conclude giuridicamente in detti locali non sussistono problemi all'ammissibilità del commercio on line anche da parte degli artigiani. Il giochetto dell'invito ad offrire, almeno per gli artigiani, costituisce, però, un pericoloso boomerang.

Conclusione? Per i soggetti esclusi dall'ambito di applicazione del DLgs n. 114/1998, ovvero, come per i grossisti dall'ambito di operatività dell'art. 18, il divieto delle aste on line non è operante.

Non spreco, se non la seguente riga, per ricordare che se l'operatore è stabilito al di fuori del nostro territorio nazionale la nostra disciplina (e il relativo divieto) cadono nel vuoto.
Da quanto detto, oltre a dimostrare quanto mi ero prefisso, posso trarre una ulteriore indicazione, rispetto al DLgs n. 185/99 ed alla sua presunta incongruenza con il DLgs n. 114/98.
Onestamente ritengo che l'art. 2, lett. e), del DLgs n. 185/99 altro non sia che una mancata conoscenza della disciplina commerciale (come vedete, non solo i giuristi sbagliano), poiché si è recepita una disposizione che, in altri paesi europei ha senso poiché ivi non vi è un divieto delle aste on line. Tuttavia, con quanto si è detto, troviamo una spiegazione che supera tale incongruenza: la non applicazione del decreto è esclusa per quei soggetti che - come visto - possono svolgere aste on line, dacché non esiste - come (erroneamente) si crede - un divieto assoluto.