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 Commercio elettronico

Commercio elettronico e legislazione europea
di Nicola Menicacci - 17.02.2000

All'indomani del convegno su commercio elettronico e fisco, tenutosi a Firenze il 4 febbraio, al quale ha presenziato, fra gli altri, il sottosegretario di Stato all'innovazione tecnologica Stefano Passigli, e dove sono intervenute personalità di rango internazionale, come Victor Uckmar dell'Università di Genova e Anne Troye della Commissione Europea di settore, il giudizio che quasi all'unanimità viene espresso è che il nostro paese si trova ancora in uno stato di profonda arretratezza.
La prima considerazione è che né l'Italia né l'Unione Europea hanno raggiunto, nel commercio elettronico, un grado di sviluppo paragonabile a quello degli Stati Uniti, senz'altro il concorrente al quale fare riferimento, e non solo in termini statistici (vedi Time del 31 Gennaio 2000, pp. 48-51). Le ragioni sono molteplici: alcune di esse hanno natura, per così dire, funzionale, altre di tipo strutturale.

Per quanto riguarda il primo gruppo, anche se gli abitanti dell'Europa superano in numero quelli degli Stati Uniti, questi ultimi possono vantare un bacino di utenti potenziali di gran lunga superiori al nostro. Il primo motivo è di tipo linguistico: mentre negli Stati Uniti si parla una sola lingua, le lingue ufficiali della comunità europea sono molte, ragion per cui, al fine di poter raggiungere un numero di potenziali acquirenti almeno equivalente a quello americano, dovremmo predisporre i servizi in una miriade di lingue Da questo fatto discende il corollario che, anche se volessimo assumere l'inglese come lingua base dell'e-commerce anche in Europa, molte persone sarebbero titubanti ad effettuare transazioni in rete, data la scarsa padronanza della lingua in esame, riducendo ulteriormente il numero di persone teoricamente interessate al fenomeno.

Per quanto riguarda invece le ragioni di tipo strutturale, notiamo che il commercio in linea attuato da paesi membri dell'Unione Europea difficilmente si articola su una prospettiva internazionale. Se è vero, come afferma Passigli, che alcuni articoli difficilmente potranno trovare la loro collocazione all'interno del mercato telematico, è anche altrettanto vero che in molti casi non si è neanche provato, o se li si è fatto, non ci siamo minimamente preoccupati di sfruttare quella che per tanti aspetti è la carta vincente di Internet: la sua globalità.
Proprio in considerazione di questa caratteristica Anne Troye, ha mostrato quelle che sono le linee direttive e strategiche che la EU ha adottato ed adotterà in un prossimo futuro.
Mediante una interazione reale e funzionale tra legislazione, tecnologia ed elaborazione di codici di condotta, usi commerciali e la possibilità di vedere le pubbliche amministrazioni come fruitori dei servizi, il progetto denominato e-Europe dovrebbe consentire il rapido sviluppo dell'e-commerce.

Accanto ad un'iniziativa legislativa a livello di direttiva, capace di designare l'ambito di applicazione e delle norme ed il loro recepimento all'interno dei singoli organismi nazionali, il progetto si propone di favorire la diffusione dello strumento digitale tra le giovani generazioni, all'uopo provvedendo mediante facilitazioni di accesso alla rete e maggiore economicità dello stesso; sviluppare la possibilità di uso della rete per fini istruttivi, ed il relativo uso da parte degli studenti; l'introduzione delle smart card in grado di garantire pagamenti più sicuri effettuabili tramite Internet; lo stanziamento di capitali di rischio per le imprese che decidano di dedicarsi a questa nuova forma di commercio e, ultima ma solo in ordine di elencazione, la possibilità del cosiddetto healthcare online, ovvero dell'uso di Internet come strumento utile anche a migliorare la tutela della salute dei cittadini.

Completano il quadro in esame le previsioni di regole uniformi per la tassazione, la giurisdizione e le leggi applicabili, la tutela della proprietà intellettuale, la tutela del consumatore e della sua riservatezza.
Non ultimo, tra i metodi di risoluzione dei conflitti, si prevede la possibilità di sedare le eventuali controversie al di fuori delle corti, facendo uso di strumenti alternativi come l'arbitrato, peraltro largamente diffuso nella vendita di cose mobili regolate dalla Convenzione di Vienna, o di processi più rapidi.

Nella sostanza, il commercio elettronico non si differenzia da quello di tipo tradizionale.
Il primo particolare che risalta agli occhi è che scompare l'interazione cliente-venditore, sostituita da una vetrina "virtuale" davanti alla quale scompare anche la possibilità di trattare alcuni aspetti della vendita, come la "limatura" del prezzo di vendita o la reciproca concessione di facilitazioni. Chi decide di acquistare in rete ha un potere contrattuale decisamente ristretto, spesso consistente solo nella scelta del modo di spedizione del bene o del pagamento, che comunque nella stragrande maggioranza dei casi avviene mediante carta di credito. Negli altri casi, l'autonomia del compratore si riduce alla tipica alternativa prendere o lasciare, cosa peraltro già ampiamente diffusa in altre forme di commercio, come quello poc'anzi citato di vendite per corrispondenza, o nella stipulazione di contratti assicurativi i depositi bancari, nei quali (soprattutto in questi ultimi) il cliente potrà far valere le sue ragioni solo se il suo apporto di denaro è tale da rivestire, per l'azienda che lo riceve, un grandissimo interesse.

A ben guardare, però, il commercio in rete difficilmente potrà prescindere da questa caratteristica, almeno se sfruttato in tutte le sue possibilità. Un esercizio commerciale capace in potenza di raggiungere tutto il mondo non potrà, e non dovrà, pensare di attuare politiche diverse per le varie aree alle quali si rivolge. Mancando la fisicità, non ci sarà nessuno residente nelle zone in cui si ritiene che il prodotto possa attecchire ad osservare e risolvere le problematiche tipiche di una trattativa personalizzata.
L' e-commerce offre però altri vantaggi da non sottovalutare.

Proprio a causa della sua struttura, esso è in grado di offrire prodotti ad un prezzo decisamente più basso da quello del tipico commercio al dettaglio. Le spese di spedizione consentono ancora, in numerosi casi, di risparmiare sul prezzo di vendita, nonché di ottenere la disponibilità del bene con tempi spesso inferiori a quelli ai quali si potrebbe andare incontro ordinando il bene ad un rivenditore. Tipico esempio può esserci fornito da Amazon, il principe del commercio in rete. Chiunque voglia acquistare libri, CD o video servendosi di questo negozio virtuale potrà ottenere anche qui in Italia un risparmio notevole sul prezzo praticato da librerie internazionali, risparmiando anche nei tempi di consegna. Infatti, anche nel caso di consegna per posta ordinaria, dalla spedizione alla materiale disponibilità dell'articolo passano circa due settimane, limite di tempo che rarissimamente subisce alterazioni in peius, comunque degnamente compensato da un servizio clienti sempre in grado di risolvere problemi di questo tipo in tempi molto celeri, e prevedendo inoltre possibilità di rimborso del prezzo degli articoli dietro previa restituzione, ovviando così al problema della mancata consultazione dell'articolo prima dell'acquisto, anche se esistono delle pubblicazioni delle quali sono disponibili, per consultazione virtuale, numerosi estratti. La ragione sta nel fatto che, in questo modo, viene spesso saltata una catena di distributori, quella dei grossisti o, nel caso di beni provenienti dall'estero - intendendosi per estero qualsiasi luogo al di fuori della CEE - degli importatori ed il loro conseguente ricarico.

Ancora grazie alla portata potenziale del commercio elettronico, per il suo tramite potremo tranquillamente acquisire beni e servizi altrimenti indisponibili, a causa di politiche di importazione e/o fiscali esistenti nel paese di residenza dell'acquirente/utente telematico.
Dove però gli organismi internazionali e quelli interni di ogni singolo Stato dovranno concentrare le proprie attenzioni ed i propri sforzi legislativi è nel campo delle leggi e dei tributi fiscali. Numerosi, e soprattutto nuovi, sono i problemi che possono presentarsi in questo campo. Non esistono ad oggi forme di controllo ad hoc per questo tipo di attività. La conseguenza più immediata di questa lacuna è una evasione di massa, ma a ben vedere altre delicate questioni si possono porre.

Anzitutto la localizzazione materiale dell'attività. Se qualcuno decidesse, in Italia, di aprire il proprio business in linea senza darne previa notizia ai competenti organismi per il commercio, e l'unico elemento al quale fare riscontro ai fini dell'individuazione del luogo di organizzazione dell'attività fosse il suo indirizzo - una stringa il cui parametro individuativo risulti essere .com - sorgerebbero non pochi problemi.
Mentre infatti esiste tutta una serie di presunzioni relative e di conseguenze logiche per le quali chiunque decida di acquisire un dominio terminante in sigle identificative di un paese abbia effettivamente in quel paese la sede dei propri affari - per cui il problema potrà, al limite, spostarsi a livello locale - nel caso di un dominio terminante in .com, .net, .org le cose si complicano. Se infatti storicamente queste tre sigle erano inizialmente riconducibili al territorio statunitense, col tempo queste indicazioni hanno assunto la qualità di porto franco, potendo provenire da qualsiasi parte del mondo. In seconda istanza, dal momento che l'acquirente di un dominio può disporne a suo piacimento, niente esclude che questi possa a sua volta rivendere tale dominio o parti di esso a chiunque, rendendo quindi l'individuazione della persona che gestisce questa parte di dominio ancora più problematica, e così via, fino ad una successione teoricamente infinita di scappatoie.

Si vede così come sia complesso individuare, e conseguentemente disciplinare, un tale fenomeno nella sua interezza.
Soluzione auspicabile sarebbe quella di creare, all'interno di una cornice di riferimento, una legislazione apposita, in grado di travalicare i confini nazionali dei paesi membri della EU. Una legislazione che peraltro non svuoti di efficacia quella dei singoli Stati, che potrebbero, per esempio, disporre le regole per l'entrata nel mercato in rete, dopodiché delegare il governo e la regolamentazione dell'impresa ad un organismo sovranazionale, che nell'elaborazione delle regole e dei codici di condotta non potrà prescindere dalle convenzioni internazionali in materia e dal progresso tecnologico, che a ben guardare rappresenta l'arma in possesso dell'Unione europea nei confronti degli USA, più potenti dal punto di vista economico, ma sempre reticenti nell'adozione di standard comuni.

Sforzi sono compiuti dalla Commissione europea, come il progetto di un dominio .eu a livello europeo, che di fatto renda certa l'identificazione della sede dell'impresa, nonché lo sfruttamento delle migliori tecniche di comunicazione anche a livello di telefonia senza fili e la maggiore disponibilità di accesso alla rete a prezzi più bassi e con migliori risultati dal punto di vista qualitativo (vedi Time del 7 febbraio, p. 48, che addirittura comincia a parlare di un m-commerce, m stando per "mobile", pratica nella quale l'Europa, ed in particolare la Finlandia riveste, data la presenza di case produttrici come la Nokia, un ruolo guida nel mondo).


Tutto questo, tuttavia, non dovrà oscurare un punto chiave: il fatto che il commercio elettronico, più di ogni altro, è un commercio globale, che come tale - come detto in precedenza - sarà in grado di diffondere prodotti di realtà locali e isolate a chiunque ne sia interessato, evitando spese talvolta anche ingenti di tipo pubblicitario e guadagnandosi così una fetta di mercato altrimenti impensabile.
Per tutti gli altri articoli, quelli cioè facilmente reperibili anche tramite il normale commercio al dettaglio, si dovranno usare numerosi accorgimenti, primo fra i quali quello di tipo economico: essere in grado di offrire sul mercato lo stesso prodotto ad un prezzo che, comprensivo delle spese di spedizione, risulti comunque inferiore a quello praticato al dettaglio, tale da giustificare anche i tempi di attesa per il ricevimento del bene stesso.

Ultimo particolare del quale tener conto è la sicurezza delle transazioni. Se è vero che l'introduzione delle smart card, in un futuro relativamente vicino,  renderà questo tipo di acquisti altamente, se non del tutto, esente da attacchi informatici, in attesa che tutto ciò diventi realtà i vari operatori economici dovranno pensare ad un sistema sicuro di addebito delle somme di denaro a loro versate, predisponendo un sistema di accesso sicuro e proteggendo la comunicazione tra client e server dal possibile attacco degli hacker.

Alcune osservazioni

A proposito del problema delle diverse lingue europee, Passigli parlava di cinque. Io ritengo debbano essere di più. Partendo dal fatto che non è obbligatorio all'interno della UE parlare una lingua universale, dovremmo almeno considerare l'inglese, francese, tedesco, italiano, spagnolo, portoghese, greco, svedese e finlandese. Potremmo lasciare fuori da questa elencazione il danese, che come lingua e struttura è simile allo svedese, il neerlandese (dal momento che gli abitanti di queste regioni sono pressoché totalmente bilingui, sia in inglese che francese) e il gaelico.

Passigli affermava poi che alcuni articoli difficilmente potranno trovare la loro collocazione all'interno del mercato telematico: se è vero che beni come gli alimenti facilmente deperibili difficilmente potranno essere commerciati in rete, è anche vero che alcuni prodotti tipici, conservabili con precauzioni non straordinarie, potrebbero trarre giovamento dalla possibilità di essere conosciuti e scoperti da persone che, a causa del luogo di residenza, non ne abbiano mai sentito parlare, ma che non per questa ragione debbano o possano essere disinteressate. Qui l'elenco potrebbe essere interminabile. Dalla miriade dei prodotti caseari italiani e francesi che, se trasportati sottovuoto, potrebbero tranquillamente circolare all'interno dei confini della comunità.

Pensiamo anche ai prodotti artigianali, ultimi fra i quali l'abbigliamento e le calzature. Se è vero che la maggior parte delle persone non comprerebbero mai un abito se non prima di averlo indossato, va anche detto che molte altre saranno disposte ad ordinare capi di vestiario sulla base dell'immagine riportata e della loro taglia. Alcuni vecchi tipi di vendita postale su catalogo ne sono l'esempio più lampante.
Dimostrazione di ciò sta alla pagina 234 del nuovo mensile HappyWeb, versione italiana del più celebre Tomorrow, dove si legge di cybersarti con relative URL.