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Commercio elettronico

Comma 7: aste on line e provider sono salvi

di Manlio Cammarata - 06.04.05

 
Decreto "competitività": siamo alle solite. Il legislatore emana un provvedimento che riguarda anche le attività on line, con norme quantomeno confuse. E on line si levano discussioni e proteste. Come al solito, si eviterebbe buona parte di queste discussioni se si leggessero le norme con la dovuta attenzione.
Infatti è stato scritto che l'art. 1, c. 7 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 potrebbe uccidere il commercio elettronico e in particolare le aste on line, che introdurrebbe nuove responsabilità per i provider e via lamentando.

Le cose non stanno esattamente così. I problemi e i motivi di disappunto non mancano, ma riguardano altri aspetti. Tanto per incominciare, le nuove disposizioni incidono su materie già regolate da norme di legge: da una parte il commercio elettronico, disciplinato dal decreto legislativo 70/03, che attua la direttiva 2000/31/CE, e dall'altra la legge sul diritto d'autore, con la telenovela degli emendamenti e contro-emendamenti  alla famigerata "legge Urbani" (e mentre la commissione Vigevano pubblica un secondo rapporto - 7,8 MB - in vista del riordino legislativo della materia).

Il comma in discussione dice:
7. Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. La sanzione di cui al presente comma si applica anche a coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza.

Il primo elemento che salta all'occhio è la "somiglianza" della norma sotto esame con un articolo del codice penale:
712. (Acquisto di cose di sospetta provenienza). Chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a lire ventimila.
Alla stessa pena soggiace chi si adopera per fare acquistare a qualsiasi titolo alcune delle cose sopraindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza.

Dov'è la differenza tra le due disposizioni? E' chiaramente nel fatto che l'art. 712 c.p. punisce l'incauto acquisto di cose che si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, mentre la norma in esame punisce l'acquisto o l'accettazione di "cose" che inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale
Da una parte c'è la provenienza da un reato, dall'altra (non sempre) da un illecito amministrativo.

Ma c'è almeno un'imprecisione, perché nella seconda ipotesi non sempre si può trattare di "cose", posto che l'oggetto degli illeciti in materia di proprietà intellettuale spesso non è una "cosa", ma un bene immateriale, come un brano musicale o un software. Lo scriviamo da dieci anni, la giurisprudenza lo ha confermato più volte, ma il legislatore non lo sa (vedi Software pirata: è ricettazione? di Andrea Monti, che porta la data del 31 maggio 1995).

In ogni caso l'eccezione "salvo che il fatto costituisca reato"... dovrebbe delimitare esattamente il campo di applicazione della norma, fermo restando che in molti casi la qualificazione dell'illecito (penale o amministrativo) può non essere facile. E il reato viene accertato dal giudice al termine di un dibattimento, mentre la sanzione amministrativa si applica, per così dire, "automaticamente", con minori possibilità per il presunto trasgressore di far valere le proprie ragioni.

Va ricordato che nel nostro ordinamento l'illecito amministrativo è, in linea di principio, meno grave di un reato (delitto o contravvenzione), ma con queste disposizioni può essere punito con una sanzione molto più alta.
Risulta quindi chiaro il pasticcio che il legislatore ha combinato con queste disposizioni, seguendo una prassi introdotta negli ultimi anni proprio con le norme in materia di diritto d'autore: sanzioni amministrative salatissime (così non si perde tempo con il processo penale) che puniscono una modesta infrazione più di un reato del tutto analogo nella sostanza.

Coloro che si adoperano...  Un altro punto che richiede qualche precisazione. Si noti, per inciso, la perversa tendenza del legislatore di oggi a complicare il linguaggio. "La stessa pena si applica..." dice la vecchia norma del codice penale, mentre la nuova non può fare a meno dell'inutile circonlocuzione "la sanzione di cui al presente comma".
L'espressione "coloro che si adoperano" implica un comportamento attivo, non una semplice omissione o negligenza, e tanto meno un comportamento al quale un soggetto non è tenuto. Questo basta a escludere la responsabilità del gestore di un sito di aste on line, che secondo una giurisprudenza ormai concorde si limita a mettere a disposizione uno spazio web e non interviene attivamente nella transazione (e per questo il termine "asta" non è appropriato).

Ma qui intervengono anche le norme degli articoli da 14 a 17 del DLgs 70/03 (che riproducono gli articoli da 12 a 15 della direttiva 2000/31/CE) che escludono la responsabilità del provider in tutti i casi in cui non intervenga attivamente nella commissione dell'illecito. Si stabilisce, in particolare, l'assenza di un obbligo generale di sorveglianza, sicché il fatto che su un server siano disponibili materiali di provenienza illegittima non significa che il provider "si adoperi" per far acquistare o ricevere i contenuti (e non le "cose") in questione. Dunque è esclusa anche la responsabilità del provider, a meno che non ricorrano le ipotesi di eccezione alla non responsabilità contemplate dalla normativa sul commercio elettronico.

Si potrebbe, in ipotesi, verificare un conflitto tra le disposizioni del DLgs 70/03 e quelle del DL 35/05: prevarrebbero le prime, perché sono attuative di una previsione comunitaria (sul punto si veda anche l'articolo di R. Manno Peer-to-peer e responsabilità: un quadro sempre più confuso).

Il decreto sulla competitività solleva altri dubbi con l'art. 2, nei punti in cui si sovrappone alle norme sul cosidetto "processo telematico": ce ne occuperemo presto.
Ancora una volta si deve concludere con la speranza che nella conversione del decreto-legge il Parlamento rimetta le cose a posto. Ma l'esperienza non induce all'ottimismo.

  

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