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Firma digitale

Se abolire la carta è possibile solo "sulla carta"

di Manlio Cammarata - 03.04.06

Con la pubblicazione del "libro bianco" intitolato "La dematerializzazione della documentazione amministrativa" il CNIPA compie un'analisi di notevole rilievo sullo stato dell'informatizzazione delle pubbliche amministrazioni a nove anni dal fondamentale art. 15, secondo comma, della legge 59/97 (la prima "Bassanini"), che attribuiva al documento informatico gli stessi effetti del documento tradizionale, nel rispetto di alcune fondamentali regole (il libro bianco può essere scaricato, in formato .pdf, da questa URL: http://www.cnipa.gov.it/site/_files/Libro BiancoDEM.pdf ).

La dematerializzazione dei documenti è solo un passaggio dell'informatizzazione delle amministrazioni. Ma è quello essenziale, perché nessun procedimento può essere dematerializzato compiutamente fino a quando ci sono movimenti di pezzi di carta. Per capirci, il protocollo informatico è fondamentale per la gestione di procedimenti basati su documento informatici. Però la sua utilità è limitata se si risolve nell'apposizione su un documento di carta di un'etichetta con un codice. Il documento protocollato "informaticamente" finirà (e rischierà di perdersi) in un "faldone" qualsiasi e il suo iter sarà sempre quello di un pezzo di carta.

Il libro bianco è il prodotto del lavoro di un gruppo, presieduto dal componente del CNIPA Pierluigi Ridolfi, a cui hanno partecipato ben nove ministeri, oltre alla Presidenza del consiglio e allo stesso CNIPA. Il risultato è molto interessante, nei limiti inevitabili di un documento ufficiale che non può parlare, come si dice, "fuori dai denti", e va quindi letto tra le righe con molta attenzione.
Per esempio, nei i numerosi passaggi in cui si parla di firma digitale, la terminologia è corretta e le considerazioni sono ineccepibili. Peccato che nel codice dell'amministrazione digitale, al quale il libro bianco fa costante riferimento, ci siano definizioni diverse, confusionarie e  a volte tecnicamente scorrette...

Il quadro normativo descritto dal libro bianco appare completo, come pure le regole tecniche. "Appare". Ma spesso l'apparenza inganna, sia perché di fatto mancano alcuni tasselli fondamentali (come le disposizioni che rendano possibile la distruzione di una buona parte dei documenti amministrativi) sia perché alla coerenza tecnica non sempre corrisponde la coerenza giuridica.
Si vedano, per esempio, le sintesi delle audizioni raccolte nell'appendice: alcuni "auditi" hanno espresso l'esigenza di accorciare i tempi di conservazione obbligatori. Ottima soluzione per semplificare il lavoro, ma non è il CNIPA che può dettare regole sulla durata della conservazione di documenti che hanno determinati effetti legali: è in ballo l'equilibrio di tutto il nostro sistema civilistico.

Questo problema è legato, fra l'altro, a un punto critico dell''attuale sistema normativo, che fu segnalato già ai tempi del DPR 513/97: è quello della durata nel tempo degli effetti del documento informatico, dovuta alla limitata validità del certificato di sottoscrizione e alla macchinosa (e facoltativa) apposizione periodica delle marche temporali. La soluzione non può essere che nella costituzione di una banca dati che renda possibile la consultazione dei certificati anche molti anni dopo la loro scadenza e nella presunzione, fino a prova contraria, della validità del documento dopo la scadenza del certificato (anche in considerazione del fatto che la costruzione di un falso informatico è comunque molto difficile).

Per capire quali problemi possa comportare la completa dematerializzazione dei documenti, si può citare un'esperienza che il vostro cronista ha vissuto in prima persona: in seguito a una contestazione su un'operazione bancaria, si è scoperto che l'immagine della firma che compariva sul video del sistema informatico della banca non corrispondeva a quella tracciata su un ordine di bonifico. La verifica sull'originale del "cartone" sul quale l'interessato molti anni prima aveva depositato la sua firma rivelava che c'era stato un errore nella "dematerializzazione": era stata acquisita la firma di un altro procuratore. 

E' chiaro che un errore di questo tipo non è eccezionale, anzi, può verificarsi con una certa frequenza. Nel caso in questione è stato possibile rilevarlo. Ma se l'originale fosse stato distrutto in seguito a un processo di conservazione sostitutiva, si sarebbe potuta verificare una controversia destinata a sfociare addirittura in una querela di falso, che non è una cosa da nulla.
Ora possiamo immaginare un esercito di notai che controlla minuziosamente, una per una, la corrispondenza tra le firme originali di milioni di clienti delle banche e le rispettive immagini digitali, al fine di distruggere gli ingombranti "cartoni"? Certamente no. Ma non possiamo neanche, come vorrebbe qualcuno, rendere ancora meno impegnative le regole per la conservazione sostitutiva, per facilitare l'eliminazione della carta. Gli errori si moltiplicherebbero.

Qualcuno dice: una certa percentuale di errori o di frodi deve essere tollerata. E' giusto, ma ci si deve chiedere quali conseguenze possono avere questi errori e queste frodi. L'esempio tipico è quello delle carte di credito: il sistema prevede come fisiologica una certa percentuale di transazioni fraudolente e di conseguenze è organizzato per assorbire la perdita economica che ne consegue. Ma è accettabile che un banale errore di acquisizione di un documento possa determinare conseguenze addirittura penali per un cittadino innocente?

In un futuro che dovremmo sperare prossimo non sarà più necessario "depositare" la propria firma autografa per operare con i conti bancari. La completa "dematerializzazione" delle operazioni comporterà solo la semplicissima verifica della firma digitale, con le note procedure. Ma il problema si sposterà "a monte", se non saranno rese più stringenti le regole per il riconoscimento del titolare del certificato e la consegna del dispositivo di firma, perché oggi è troppo facile ottenere un certificato a nome di un'altra persona. E se manca un sufficiente affidamento sullo strumento, non c'è codice o libro bianco che tenga: il documento informatico "valido e rilevante a tutti gli effetti di legge" è destinato a restare, paradossalmente, "sulla carta".

In conclusione, se lo scopo del libro bianco era di fare il punto sulla dematerializzazione dei documenti pubblici, è stato raggiunto. Ma ora se ne devono trarre le conseguenze: il quadro normativo presenta troppe disarmonie, troppe imprecisioni e forse troppe lacune. E' necessario rivederlo nel suo insieme, anche per dettare tempi accettabili per la sua attuazione.

Restando sull'argomento, un'ultima annotazione riguarda la discussione tra il CNIPA e gli archivisti, sollevata dal protocollo di intesa CNIPA/Adobe, che accoglie il formato .pdf come standard per la firma digitale. Ha osservato Gianni Penzo Doria che La memoria digitale dell'Italia non si conserva in PDF e Giovanni Manca (responsabile dell'ufficio standard architetture e metodologie del CNIPA) ha sostenuto le ragioni della scelta con il documento Nuove tecnologie per l'interoperabilità del documento informatico. Replica ora Penzo Doria con l'articolo La conservazione del documento digitale, ma la discussione continuerà all'infinito se il problema non sarà inquadrato in una visione "di sistema".

Infatti da ambedue le parti ci sono ragioni da vendere. Ma la coerenza correttamente rivendicata da Manca ha le sue premesse in una normativa discutibile, mentre la visione di Penzo Doria, accettabile nell'impostazione tradizionale della materia, soffre di troppe diffidenze verso la digitalizzazione, fino a negare la sostanza della dematerializzazione e la sicurezza della firma digitale. Che, come tutti sanno, è "matematicamente" sicura, mentre sono insufficienti le regole che la rendono "giuridicamente" sicura nel tempo.

E allora la lezione è quella che abbiamo tante volte richiamato: non si confondano il dominio della tecnologia e quello del diritto. La tecnologia fornisca gli strumenti, il diritto li accolga e si adegui alla tecnologia. Cioè, nel caso in questione, il tecnologo fornisca gli strumenti adatti all'archiviazione "storica" e il giurista imposti nuove norme sull'archiviazione, in modo di rendere possibile e utile l'impiego della tecnologia. Se il tecnologo scrive le norme giuridiche, il giurista può essere tentato di scrivere le regole tecniche. E i risultati sarebbero devastanti.

 

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