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SCO contro IBM: l'inutile guerra contro il codice aperto - 2
di Nicola Walter Palmieri* - 09.10.03

Seconda parte: SCO contro tutti

Con la sua citazione in giudizio, la SCO ha aperto un vaso di Pandora. Gli hacker hanno ora potenti alleati nell'industria, i quali capiscono il nuovo mondo dell'open source e sanno che è nel loro interesse rispettare gli hacker Unix, i veri "proprietari" della loro arte. È uno sviluppo che dovrebbe far meditare anche società come la Microsoft. SCO è la punta dell'iceberg. Già si profila il fronte globale delle "vittime" di questa causa insensata. SCO ha fatto sapere: "Crediamo che il Unix System V costituisca il tassello base di tutti i sistemi operativi per computer successivi, e che tutti derivino dal Unix System V, e che tutti sono quindi soggetti al diritto di proprietà intellettuale della SCO".

Sarebbero di conseguenza derivati di Unix, l'OS X Apple, BSD, tutte le versioni commerciali di Unix, Microsoft Windows. SCO versus everybody. Non c'è dubbio che quasi tutti i moderni sistemi operativi in qualche modo risalgano a Unix. Concetti e caratteristiche Unix sono stati oggetto di materia di insegnamento per anni nei dipartimenti universitari di scienza dei computer, e gli standard industriali e governativi hanno imposto la caratteristica Unix (Unixness) su prodotti assai lontani dalla ancestrale sorgente Unix che, dopo numerosi passaggi, è giunta nelle mani di SCO. Cosa significa tutto ciò, che SCO possiede un pezzo di ogni sistema operativo moderno in circolazione?

Lawrence Rosen, responsabile legale della Open Source Initiative ha detto: "La Microsoft e gli altri venditori di software hanno molto da temere per la proprietà intellettuale in mano ad altri. Forse la Microsoft sa di dover stare all'erta per il suo software, ed è forse questa la ragione per la quale ha preso la licenza da SCO". Come era da aspettarsi, gli sviluppi recenti indicano che la stessa SCO "ha probabilmente fatto le stesse cose di cui accusa oggi la IBM: utilizzo di codice sotto licenza in maniera non autorizzata.

Secondo fonti informate, la SCO avrebbe violato la licenza GNU GPL (General Public License) incorporando codice sorgente dal kernel Linux nel tratto LKP (Linux Kernel Personality) che si trova nelllo SCO Unix, senza mettere i cambiamenti a disposizione della comunità e senza evidenziare con avvertimenti di copyright l'attribuzione del codice a Linux. LKP è un aspetto caratteristico che permette all'utente di usare applicazioni standard Linux insieme con applicazioni standard Unix in un unico sistema usando il kernel UnixWare".

Perché ha la SCO iniziato questa causa? E chi sta dietro SCO? Sun Microsystems? Microsoft? Bradley Kuhn, direttore esecutivo della Free Software Foundation raccomanda ai programmatori di software libero di registrare i loro prodotti in USA (anche se non risiedono in questo Paese), azione di auto-difesa che, secondo Eric Raymond, è sbagliata perché la miglior risposta alla SCO sarebbe di ignorarla piuttosto che stringere il bavaglio della regolamentazione intorno al codice aperto.

Se la causa dovesse andare a sentenza (ma l'incauta lite finirà probabilmente con "transazioni incrociate sotto sigillo"), essa potrebbe avere ripercussioni che coinvolgerebbero l'intera industria del software. Un tribunale competente (in materia di software), ma anche illuminato, dovrebbe intravvedere la insanabile contraddizione fra la norma costituzionale ("il Congresso ha autorità... di promuovere il progresso della scienza e delle arti utili assicurando per un limitato periodo di tempo agli autori e inventori il diritto esclusivo sui loro scritti e le loro scoperte"), la abusiva appropriazione di questa esclusività da parte dell'industria che la ha snaturato asserendo di avere "forti diritti di proprietà" su questi diritti esclusivi (we have a very strong ownership position in Unix intellectual property), il Digital Millennium Copyright Act (DMCA) e la prassi dell'USPTO di concedere brevetti sul software.

Rileggiamo le parole di Bill Gates: "Se la gente avesse compreso, al tempo quando gran parte delle idee odierne sono state sviluppate, come si sarebbero concessi [in futuro] i brevetti, e avesse allora ottenuto brevetti, l'industria [del software] sarebbe oggi a un punto di stallo completo". Gates subito aggiunse il commento che per fortuna la gente [i programmatori] non lo ha fatto, ed esortò quindi i suoi a farlo, cioè a sfruttare al massimo la situazione che si era creata con la brevettabilità del software, perché, a suo dire, era compito della grande industria di brevettare quanto più possibile e tenere lontana la concorrenza. Nelle sue stesse parole: "La soluzione è lo scambio di brevetti ... Brevettare quanto più si può... Un futuro 'start-up' senza brevetti propri sarà costretto a pagare qualsiasi prezzo che i giganti sceglieranno di imporre. Questo prezzo potrà essere alto: l'industria affermata ha interesse a escludere i futuri concorrenti". L'autorità antitrust? Disinteressata, a quanto pare.

Tutti si accuseranno di avere "copiato" l'uno dall'altro. Cosa c'è di male? Come disse un giudice federale americano: "La cultura, come la scienza e la tecnologia, evolve per accrescimento, e ogni nuovo creatore costruisce sulle basi di chi lo ha preceduto. L'eccesso di protezione irrigidisce proprio quelle forze che essa dovrebbe invece alimentare". Il tribunale, dopo avere riletto la Costituzione (art. 1, 8, cl. 8) dovrebbe statuire che le esasperate pretese di proprietà sul software sono infondate in diritto oltre a essere causa di grave inefficienza economica e di enorme spreco di risorse dell'amministrazione della giustizia. Esso potrebbe cogliere l'opportunità per confermare (finalmente) che le espressioni matematiche (algoritmi) non possono essere oggetto di brevetto e la motivazione potrebbe mettere in giusto rilievo che il software è una continua e infinita creazione. La sentenza potrebbe portare chiarezza laddove c'è conflitto insanabile fra simultanea protezione brevettuale e di copyright: i brevetti implicano pubblicità e diritto di analizzare, il DMCA lo vieta, il regime dei brevetti rende legittima la copia alla scadenza della protezione ventennale, le leggi sul copyright lo impediscono per un secolo (più o meno).

In agosto 2003 la IBM ha presentato domanda riconvenzionale per violazione della GNU GPL, illegittima revoca di licenza (AIX), e violazione di quattro brevetti IBM, nel contesto di inadempimento contrattuale, violazione del Lanham Act, concorrenza sleale, interferenza con "future relazioni economiche", pratiche commerciali sleali e ingannevoli. Un commentatore notò: "Sarebbe stato ridicolmente arrogante pensare che la IBM non sarebbe passata al contrattacco" (http://www.eweek.com/article2/0,4149,1252826,00.asp).

Approfittando dell'evidente doppio senso, il vice presidente della IBM, Bob Samson, dice che le armi impiegate dalla SCO non sono "fatti" ma "fud" (fear, uncertainty, doubt). SCO si sta ora sforzando di ottenere il pagamento di diritti di licenza dagli utenti Linux (kernel 2,4 e superiore), ai quali viene però suggerito dagli esperti di portare le lettere della SCO alle autorità di polizia. Rendendosi probabilmente conto della infondatezza, in diritto, delle sue pretese, la SCO ha intensificato l'azione di disturbo del mercato, con minacce, intimidazioni e ingiustificate domande, agli utenti, di "comprare la pace".

Apparentemente SCO non si cura più della sua reputazione commerciale, ma ha come obiettivo prevalente quello di migliorare il suo bilancio sfruttando il sistema giudiziario americano. Lo ha comunicato essa stessa: il risultato del quadrimestre dà segni di ripresa: http://www.eweek.com/article2/0,4149,1212374,00.asp.
La HP - che non produce e non gestisce, e neppure distribuisce Linux - ha fatto sapere, in settembre 2003, che avrebbe indennizzato i suoi clienti (che usano Linux) in caso fossero attaccati da SCO. L'idea di HP è che i singoli potrebbero cedere, per paura, quieto vivere o mancanza di fondi, mentre lei ha tutti i mezzi e le risorse necessari per andare alla guerra; e vincere. Come dire, con "Dirty Harry": Go ahead, make my day ("ci vediamo a Filippi"): http://www.eweek.com/article2/0,4148,1304563,00.asp.

Si ispirerà il tribunale alle parole di Thomas Jefferson il quale aveva detto, due secoli fa: "Se la natura ha fatto una cosa che meno di ogni altra possa costituire oggetto di proprietà esclusiva questa cosa è l'azione del potere del pensiero che si chiama idea"?