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Diritto d'autore

"Misure tecnologiche": qualcuno ne abusa?

di Nicola Walter Palmieri*- 09.12.04

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Nella seconda metà degli anni Novanta, l'industria dei contenuti (dello spettacolo), a corto di inventiva - e anche priva della coscienza sociale che avrebbe dovuto suggerire di trovare soluzioni tecnologiche equilibrate e corrette per tutti - affidò le sue sorti al legislatore. Questi, compiacente come al solito, non si preoccupò di "giocare la partita su un campo piano" (quello che in America si chiama il level playing field): esso ricorse invece all'unilaterale, e male esplorato espediente delle intoccabili "misure tecnologiche di protezione", associando pesanti sanzioni penali per i trasgressori.

Il via lo dette il WIPO Copyright Treaty del 1996 (art. 11), cui seguirono, in America, il Digital Millennium Copyright Act del 1998 (DMCA), la direttiva europea 2001/29, e le relative leggi di conversione (DLgs 9 aprile 2003, n. 68, in Italia).
Nell'euforia della guerra ai "pirati" i legislatori non si posero vitali domande; prima fra queste, come avrebbero potuto funzionare queste famose "misure tecnologiche" nel caso in cui i diritti d'autore fossero scaduti (o prossimi a scadere), quali fossero i rimedi immediati nel caso di misure abusive, e come si potessero conciliare le misure con il godimento degli usi legittimi (fair uses). Essi non si chiesero innanzi tutto come si sarebbe potuto, nell'era digitale, portare ordine nel caos della struttura legislativa dei diritti d'autore i quali oggigiorno esistono automaticamente con la pubblicazione dell'opera lasciando spesso nel vago le informazioni sull'autore, l'inizio della protezione, l'ambito della stessa, le licenze concesse, le vicissitudini contrattuali dei diritti, e tutta la tematica relativa agli eredi.

Misure tecnologiche e severe punizioni per chi le viola: l'industria non aspettava altro, era il momento di prendere tutto, "go massive, sweep it all up, things related or not", non preoccuparsi dei dettagli ma avendo cura di spargere "paura, insicurezza e dubbio" ("fud", come si dice in inglese).
Le "misure tecnologiche" si sono prestate a inaudite esagerazioni. Il mondo rise quando la società americana SunnComm chiese danni milionari e minacciò la prigione (fino a cinque anni per ogni violazione) allo studente di Princeton, Halderman, perché questi aveva scoperto (agevolmente), e comunicato su Internet, che una misura tecnologica anti-copia proposta dalla SunnComm, e da essa pubblicizzata come "sicura", poteva essere facilmente elusa premendo il tasto "maiuscola" al momento dell'inserimento del CD. Secondo SunnComm, Haldermann aveva eluso una misura tecnologica, e quindi aveva violato il precetto del §1201 del DMCA. Anche Halderman rise. Allora la SunnComm desistette.

La società Skylink, che produce telecomandi apri-garage pluriuso, si ritrova a difendersi in un tribunale dell'Illinois, USA, contro l'accusa di violazione di misura tecnologica. Una società che produce dispositivi automatici di apertura di porte per garage la accusa di violazione del proprio "diritto d'autore" sulla combinazione da essa adottata per l'apertura della sua porta-garage. La rispettabile società danese Bang & Olufsen irrita i suoi facoltosi clienti perché inserisce, senza dirlo, nei lettori BeoCenter2, dispositivi che artificialmente limitano la lettura di DVD. (Il BeoCenter2 legge solo i DVD acquistati nella "regione" in cui è stato acquistato il lettore). B&O in verità spiega come stanno le cose nel manuale di istruzione, ma questo si trova all'interno della confezione, gli acquirenti difficilmente riescono a esaminarlo prima dell'acquisto. B&O ritiene probabilmente di avere non solo il diritto di fare una scelta commerciale intesa a segmentare l'ambito di copertura delle sue machine, ma di godere anche di una fantomatica protezione di copyright contro chi eludesse le sue misure tecnologiche a tutela dei blocchi regionali.

La Recording Industry Association of America (RIAA) si considera probabilmente titolare di un diritto "naturale" che le permette di imporre barriere digitali, specialmente nella difesa a oltranza contro i condivisori. Ne sa qualcosa lo studente Joseph Nievelt, dell'Istituto di Tecnologia del Michigan: si trovò a dover rispondere in tribunale - citatovi dalla RIAA - a una domanda di risarcimento per 90 miliardi di dollari (un quinto del deficit federale americano), $150.000 x 600.000 copie abusive di canzoni (stimate).

Visto come funziona il sistema giudiziario americano, c'è poco da ridere. I più pensano che sia aneddotica la sentenza da 2,9 milioni di dollari cui una giuria condannò la società McDonald per avere essa venduto, al banco per clienti in automobile, una coppa di caffè bollente a una anziana signora la quale, nel levare il coperchio (in macchina), versò parte del caffè sul suo corpo, e riportò ustioni all'addome e alle gambe. Non è un aneddoto.

Un tempo, i diritti d'autore dovevano essere registrati, e si doveva pagare una tassa, come si fa ancora oggi con marchi e brevetti. Non c'è nulla di male nel tenere un archivio, e fare pagare chi ne trae vantaggio. Archivi ordinati fanno parte delle esigenze di una società organizzata e funzionante. Qualche decennio fa si pensò che nel caso del copyright si sarebbe potuto fare a meno degli ingombranti "scaffali"; e senza pensare troppo alle conseguenze, si eliminarono gli obblighi di registrazione. Il risultato fu che - è il sistema oggi in vigore - tutti sono protetti, basta che "pubblichino" la loro opera. Nessuna registrazione, nessun pagamento. La novità piacque specialmente a chi fa bilanci a breve; e agli sprovveduti. Alla lunga, non poteva funzionare. Il sistema mostrò fin dall'inizio incolmabili lacune.

Le "misure tecnologiche" introdotte dal DMCA (pedissequamente copiate un po' ovunque - non ancora in Canada, ma la ministra della cultura ha annunciato che provvederà quanto prima), hanno ora reso improcrastinabile il ritorno a struttura e ordine. La grande vittoria dell'industria dei contenuti, racchiusa nella "invenzione" delle misure tecnologiche, sta diventando la sua nemesi.

Quali sono i problemi? Saltano all'occhio: 1) l'identificazione dei parametri del diritto (titolari del diritto, inclusi cessionari ed eredi; inizio e fine della protezione), 2) la "protezione" di pretese non rientranti nell'ambito dei diritti d'autore, 3) i blocchi illegittimi (violazioni di fair uses, opere non proteggibili, software libero, creative commons, inclusione di parti di opere altrui, protezione oltre i termini di legge).

Non si può continuare con un sistema incapace di identificare con rapidità e certezza, a richiesta di chiunque - dato che ormai i mezzi tecnici lo permettono - chi siano, in ogni istante, gli eredi di Margaret Mitchell, in quale misura partecipino ai diritti della loro dante causa, a chi abbiano concesso licenza, a quali termini, in ultima analisi, chi abbia il diritto di inserire misure tecnologiche per sbarrare la possibilità di estrarre, e fare copia ad uso studio, di parti non significative di "Via col vento", o chi possa legittimamente impedire ad Alice Randall di pubblicare il suo libro "Il vento se n'è andato", una parodia dell'opera della Mitchell come vista dalla prospettiva degli schiavi africani.

Con il sistema di copyright fuori controllo oggi in vigore, tutti possono improvvisarsi titolari di diritti e sbarrare l'ingresso a chi vuole accedere alle opere, con misure sia legittime sia illegittime. Gli utenti non hanno un mezzo, ragionevolmente agibile, per verificare i loro diritti. Certo, ci sono le salvaguardie... specialmente quelle del diritto penale, dieci anni per avere la sentenza (definitiva).
Studiosi - specialmente americani - avvertono da tempo il disagio, indicando possibili soluzioni. Persino il giudice Kaplan, non certo amico dei consumatori "diffusori di epidemia", nelle sue stesse parole, lo ha notato nella sentenza Universal City Studios v. Corley.

Il sistema normativo dei diritti d'autori ha raggiunto lo stadio acuto della crisi; le "misure tecnologiche", con il loro potenziale di permettere la più avida esagerazione, e abusi clamorosi, sono l'elemento che ne sta determinando il collasso.
Cosa si può fare? Ne parliamo sul prossimo numero.
  

* Avvocato - New York, Montreal 

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