Pagina pubblicata tra il 1995 e il 2013
Le informazioni potrebbero non essere più valide
Documenti e testi normativi non sono aggiornati

Attualità

Caso Parmalat: la tecnologia per proteggere il risparmio

di Nicola Walter Palmieri* - 19.02.04

 
Cuius commodum eius et incommodum. Negli anni '60, chi doveva gestire grandi archivi con le rudimentali (e lente) macchine elettroniche del tempo, attribuiva "codici-clienti" che avevano una logica interna di numerazione. Se una perforatrice sbagliava a "scrivere", la macchina, programmata per verifica interna, se ne "accorgeva" e scartava la scheda. Non è pensabile che 40 anni dopo, con computer di grande capacità, velocissimi, non molto costosi, accessibili a tutti, interconnessi con il mondo intero, non siamo in grado di effettuare in continuità (e in tempo reale) verifiche incrociate, che includano ordini, utilizzo di materie prime, comparazioni di peso prima e dopo le lavorazioni (indispensabili anche per controllo emissioni), inventario, fatture, banche, cassa, i cui risultati dovranno essere non solo disponibili al vertice delle aziende, ma dovranno essere prontamente accessibili anche agli organi di controllo, le borse, gli investitori.

E' inimmaginabile che non si possano oggigiorno controllare tutte le operazioni su titoli mobiliari per rendere non eseguibili operazioni illegittime o puramente speculative. Se non viene fatto, la ragione non può che essere una sola: non lo si vuole fare. L'obiezione affrettata, e non convincente, è che farlo costituirebbe compromissione della riservatezza delle aziende. Non si possono rendere pubblici, si asserisce, dati che, anche se indirettamente, potrebbero svelare costi di produzione, margini, strategie industriali, e, in ultima analisi, compromettere la competitività. Vero. Ma la pretesa di riservatezza deve trovare il compromesso con la vecchia regola del "cuius commodum eius et incommodum": chi vuole godere dei vantaggi deve accettare anche gli svantaggi, chi vuole mantenere riservate le proprie finanze (e tutto il resto), dovrebbe astenersi dal sollecitare l'investimento privato, o farlo in modo tale da garantire al pubblico informazione tempestiva, precoce, completa, e in buona fede, su tutte le operazioni e su tutti gli eventi che incidono, o potrebbero verosimilmente incidere sulla redditività dell'azienda e sulla sua salute finanziaria. Con i mezzi oggi disponibili, è possibile farlo.

"Investitori di tutto il mondo, unitevi!" Così titolava un articolo del "Fortune Magazine" del 24 giugno 2002. Era il tempo degli scandali finanziari Enron, WorldCom (e altri). Con mossa inadeguata e maldestra, gli Stati Uniti reagirono con una legge, il Sarbanes-Oxley Act of 2002 (applicabile alle grandi società quotate) con la quale vennero introdotte regole più rigide rispetto a conflitti di interessi, obblighi di comunicazione, perdita - in determinate circostanze e senza necessità di provare colpevolezza - del "bonus" e dei profitti fatti con la vendita di azioni (nell'anno immediatamente successivo a quello cui si riferiscono tali guadagni), responsabilità personale civile e penale dei presidenti e responsabili finanziari per la correttezza dei bilanci e rapporti contabili periodici delle società.
La nuova legge enuncia, significativamente, che le società quotate avranno l'obbligo di comunicare "su base rapida e aggiornata" (on a rapid and current basis) e "in linguaggio comprensibile" (in plain English) tutte le informazioni aggiuntive che si riferiscano a cambiamenti importanti della condizione finanziaria od operativa dell'emittente.

La legge non manca di inasprire - come usa in situazioni critiche - le conseguenze penali: prigione fino a 10 anni per presidenti (CEO) e direttori finanziari (CFO) i quali certificano, nei rapporti periodici, che l'informazione ivi contenuta "rappresenta correttamente in ogni suo aspetto rilevante le condizioni finanziarie e i risultati operativi dell'emittente" pur sapendo che ciò non corrisponde al vero (la prigione è fino a 20 anni per chi rende la dichiarazione dolosamente). La prigione è inoltre di massimo 25 anni per chi si rende colpevole di frode mobiliare, 10 anni per chi distrugge documenti contabili (prima che sia scaduto il periodo obbligatorio di conservazione di cinque anni dopo la fine dell'anno fiscale), 20 anni per chi altera documenti per ostacolare un'investigazione federale, e 10 anni per chi intraprende azioni di disturbo o ritorsione contro un informante.

Scandali finanziari: un fenomeno non solo americano. Il fenomeno di rapporti contabili scorretti e di informazioni incomplete, intempestive e lacunose non esiste solo negli Stati Uniti. Casi "enroneschi" si sono susseguiti, dal 2002, in vari Paesi, inclusa l'Italia, dove fa scalpore, in questi giorni, il tracollo della "Parmalat". La teoria del capitalismo è che occorre lasciare che esso si corregga da sé. I bilanci delle società torneranno a essere affidabili, la bolla di sapone si sgonfierà senza che il governo debba venire in aiuto; questo è il concetto. Sarà anche giusto, finché si tratta del corretto gioco di mercato; ma non è valido quando si travalicano le barriere della frode e degli altri comportamenti illeciti e disonesti. Sono purtroppo numerosi i gestori che sfruttano le falle del sistema legislativo, approfittano di nascosto di conoscenze privilegiate, tengono segreti i conflitti d'interesse, violano i doveri professionali, o addirittura intenzionalmente gli obblighi verso gli azionisti. Per profitto, o semplice trascuratezza e incompetenza.

Il presidente degli Stati Uniti disse, in luglio del 2002: "La mia amministrazione farà tutto quanto in suo potere per segnare la fine dei libri addomesticati, che nascondono la verità e violano la legge". E aggiunse: "Il denaro che gli uomini del vertice di una società hanno ricevuto in base a contabilità truccata dovrà essere restituito". E' già qualcosa. Ma non basta. In America, nessuno crede che si faccia sul serio (salvo qualche esemplare condanna a lunga reclusione): nonostante la retorica, il piano di responsabilità delle società, annunciato da Bush, è definito in America "pretty anemic". E lo è. Non sarà il Sarbanes-Oxley Act a segnare l'inizio della riscoperta di un giusto senso di responsabilità del vertice.

L'Italia farebbe bene a cercare una soluzione "tecnica" propria ai problemi delle frodi finanziarie piuttosto che affidarsi a servile imitazione dell'America (come è stato suggerito, recentemente, anche da esponenti politici). Il semplicistico inasprimento delle pene detentive non va alla radice del problema; e non lo risolve. Gli onesti non hanno bisogno del deterrente per rimanere onesti, mentre i disonesti continueranno a ridersela del deterrente. Mettere in prigione i responsabili di frode certo non nuoce (li rende inoffensivi) ma giova marginalmente agli investitori danneggiati. Quello che serve è un meccanismo che automaticamente impedisca l'attuazione di pratiche finanziarie scorrette e fraudolenti, e garantisca restituzioni o risarcimenti quando, nonostante tutto, le frodi riescono.

Rischio assunto diverso da quello contemplato. Si sono sentiti in questi giorni commenti affrettati, e di larga approssimazione. Il presidente dell'ABI avrebbe detto ( "Corriere" del 20 gennaio 2004), che "non va rimborsato chi sapeva che, comprando obbligazioni Parmalat, si assumeva un rischio". Naturalmente è giusto che chi si azzarda nell'investimento azionario debba essere preparato a perdere il suo capitale. Occorre però applicare (uso, scusandomi coi lettori, l'anglicismo ormai di moda) quello che viene definito level playing field. Chi investe fa affidamento che i bilanci delle società siano onesti e completi. I bilanci della WorldCom, come quelli della Parmalat, erano ingannevoli. Gli investitori non lo sapevano (e non avevano facile mezzo per scoprirlo). Il sistema capitalistico è basato sul rischio, ma non funziona se al risparmiatore viene detta una cosa per un'altra, se gli vengono occultati fatti determinanti per le sue scelte. Allora, il gioco cambia perché l'investitore assume un rischio diverso da quello contemplato. E deve essere risarcito.

Omnia patefacienda. Lo aveva già detto Cicerone: la buona fede esige di comunicare ogni cosa che si sa per evitare che il venditore agisca sulla base di conoscenze non note all'acquirente.
Il principio della correttezza pervade tutto il nostro codice civile ed è la regola fondamentale dei nostri comportamenti sociali. La causa di un contratto deve essere lecita, non in frode alla legge, sono nulli i patti preventivi di esonero o limitazione di responsabilità per violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico. La legge ammette l'azione di annullamento in caso di vizio del consenso e di errore essenziale.
Le banche che conoscevano, o avrebbero potuto conoscere, in base a dati disponibili o procurabili, la situazione finanziaria delle società emittenti, ma hanno ciononostante consigliato, invogliato, incoraggiato i loro clienti ad acquistare valori mobiliari poco affidabili, o hanno semplicemente taciuto in violazione dell'obbligo di parlare, hanno violato gli obblighi inerenti alla fiducia in esse riposti; e sono tenute a tenere indenni i risparmiatori che esse hanno indotti all'incauto acquisto che ha causato danno.

Non è concetto nuovo. Già nel 1990, in un caso in cui la banca intermediaria (che non aveva essa stessa emesso il prospetto) aveva, con la sua consulenza, indotto i clienti a trasferire risparmi su titoli diversi, e questi avevano subito perdite, la corte d'appello di Milano statuì che la banca doveva rispondere, non in base al concetto generale della responsabilità extracontrattuale, basata sul neminem laedere, ma in base alla violazione della fiducia che i clienti avevano in essa riposta. Questa responsabilità, secondo la corte, si basava sull'art. 1337 codice civile perché culpa in contrahendo, oltre a proteggere l'affidamento che una parte ha riposto nelle comunicazioni ricevute dall'altra, è intesa ad assicurare, nell'interesse generale della società, la funzionalità del mercato e l'ordinato flusso dei commerci.
Le parti possono certamente accordarsi a escludere specifici obblighi di comunicazione, a condizione che tali esclusioni non offendano il principio superiore di onestà, fiducia e cooperazione, indispensabili per ogni relazione commerciale basata su connotazioni etiche.

Occorre costantemente ricordare a noi stessi quali comportamenti etici la legge impone nelle relazioni d'affari. In Italia, la regola è chiara: le parti che entrano in trattative per concludere un affare devono comunicarsi tutti i fatti rilevanti che esse conoscono (o dovrebbero conoscere). Una corretta impostazione delle relazioni d'affari esige che l'acquirente acquisti e il venditore venda a condizioni commisurate alle reciproche aspettative.
Alla fine, quello che conta è di stabilire in quale tipo di società si vuole vivere e quali norme etiche debbano essere imposte nelle relazioni d'affari. Se si permettesse l'occultamento di informazione in violazione a questa comprensione dell'essenza dell'affare, si creerebbe inefficienza economica (oltre ad alimentare il terreno della frode). La legge non deve esigere che si mettano in atto costose misure difensive per proteggersi contro la mala fede. E infatti, non lo fa.

Prevenzione automatica. Gli esperti sanno come controllare le finanze di un'impresa, ma non sono, apparentemente, in grado di evitare, o mettere subito a nudo, le manipolazioni, ardite, ingegnose, e sfacciate, come quelle messe in atto da Enron, WorldCom o Parmalat. Le leggi ci sono (basti pensare, per quanto riguarda gli Stati Uniti, al Securities Act of 1933 o alle Blue Sky Laws statali, sui libri da cent'anni) ma si sono dimostrate inadeguate a impedire le grandi frodi finanziarie: le reazione e gli interventi umani sono lenti, e sono prevalentemente orientati alla repressione e non alla prevenzione.

Eventi come quelli qui esaminati, che incidono sull'esistenza di un grande numero di persone, dovrebbero costringere gli individui e le comunità che ne sono colpiti a riesaminare se stessi, a prendere coscienza delle situazioni, e a reagire; ricavandone utili esperienze e stimoli al miglioramento. Gli uomini preferiscono in genere non soffermarsi su questi problemi. Pensare è di per sè un esercizio faticoso. Come disse T.S. Eliot, "il genere umano non è capace di sopportare molta realtà". Prevedere eventi disastrosi, meditare seriamente sul modo di prevenirli e di mitigarne le conseguenze, analizzarli dopo che si sono verificati per ricavarne regole per l'avvenire, prendere gli opportuni e necessari provvedimenti, è un'attività che, oltre a essere faticosa, impone scelte costose e spesso dolorose, impegnative e ingrate. Prevale generalmente la pigrizia che si traduce nel rifiuto di mettere in atto le indispensabili azioni correttive.

La prevenzione degli eventi che possono arrecare danno è sempre una questione di coraggio, disinteresse personale, onestà. Le virtù che permettono di realizzare le misure correttive sono la capacità di fare un costante esame della situazione, lo sforzo di prevedere lucidamente le potenzialità degli eventi, il coraggio di prendere i provvedimenti che la situazione richiede, la perseveranza e coerenza nel portarli a esecuzione. Occorre sapere e volere riconoscere le micce, quando sono ancora spente o quando sono state appena accese, e agire rapidamente, prima di perdere il controllo e giungere al fatale effetto dell'inazione. Chi fa di queste virtù intellettuali e morali uno stile di vita, è ben preparato ad affrontare gli eventi contrari quando essi si presentano.

Quando non si sono affrontati con competenza e capacità di previsione i prodromi di un evento catastrofico nelle sue componenti prossime e remote, non è stata gestita la crisi che ne segue con tutto l'impegno realisticamente e oggettivamente possibile, e ne è seguita perdita significativa di proprietà pubblica o privata, la causa ultima è sempre una deficienza del sistema, o il suo troppo stretto aggancio a rigide strutture. Chi detiene l'autorità per prevenire, gestire, mitigare è, per definizione, il soggetto che deve rispondere, e non può né incolpare il fato, né scaricare la responsabilità su collaboratori, e neppure diluirla sulla società e i suoi membri.
Al giorno d'oggi, gli sforzi intesi alla prevenzione non possono essere empirici, lasciati al buon senso e all'esperienza pratica. Tutti i mezzi tecnici devono essere applicati; con metodi scientifici. Nessuna trascuratezza può essere tollerata.

L'ora degli "HAL". Faccio mia, a questo punto, la frase di Thierry Pauchant: "La voce della realtà è un'accusa basata su indignazione morale perché gestiamo tecnologie del 21° secolo, di incredibile complessità, con impostazioni mentali del 19° secolo. Una delle maggiori ragioni per cui stiamo assistendo a un'epidemia di grandi crisi è che i manager delle organizzazioni, i quali dovrebbero sviluppare e controllare queste tecnologie, sono irrimediabilmente arretrati e quindi incapaci di svolgere il loro compito". Agli incapaci si aggiungono i numerosi manager che negligentemente, o anche intenzionalmente, violano i precetti di buona gestione, per ambizione, per il proprio successo, per la ricerca esasperata del profitto e dell'arricchimento.

Incompetenza e frode spesso riescono a realizzare il loro potenziale distruttivo perché sono più veloci degli apprestamenti legislativi intesi a neutralizzarli. Occorrerà quindi (come ho accennato all'inizio) mettere di sentinella le tecnologie avanzate, affidarsi ai controlli automatici da parte delle macchine, non degli uomini. Allora le situazioni prodromiche degli eventi anomali della finanza di un'azienda verranno sistematicamente riconosciute e analizzate, corrette e mitigate dalle macchine "intelligenti"; le quali ordineranno le misure di protezione e di intervento, e il modo di come eseguirle. Gli "HAL" avranno a disposizione tutta l'informazione, la elaboreranno, scruteranno la presenza di operazioni inusuali non in linea con le prassi regresse. Saranno loro, non gli uomini, a dire: "spiacenti, non possiamo permettervi di fare quello che volete fare (o non fare)". E bloccheranno i sistemi, che non potranno riprendere a marciare se non dopo la correzione delle anomalie. Il mondo delle operazioni finanziarie sarà soggetto a costanti controlli automatizzati. Gli HAL diffonderanno i risultati delle loro elaborazioni, tattenendo i dettagli per rispettare la riservatezza delle informazioni proprietarie. Sarà assicurata l'informazione precoce.

La macchina delle idee. Cosa le macchine sanno fare è stato recentemente dimostrato da ricercatori della Stanford University: hanno sviluppato il "genetic programming", un software che gestirà, con principi di "evoluzione darwiniana", operazioni complesse, come la elaborazione, per mezzo di computer, di idee inventive che non violino la proprietà intellettuale esistente. Sono le "macchine delle idee". Potranno essere efficacemente impiegate anche nel mondo delle operazioni finanziarie. Basta volerlo. Come dicono i processualisti "vigilantibus iura succurrunt".
Ci sarà, immancabilmente, un dibattito sul se il piano d'azione del computer sia superiore a quello che farebbero gli umani. Questi sosterranno che l'azione umana è sempre la migliore. Ma l'intelligenza dei computer è diversa da quella umana: sistematica, senza emozioni; tratta tutti allo stesso modo, stabilisce priorità con processi logici; sa dove trovare le risorse per gli interventi, ne fissa il rango e velocemente lo cambia, se necessario; sa fare cose che la mente umana non è capace di elaborare, sa prendere le decisioni e gestire i sistemi che sono diventati troppo complessi per la dimensione dell'intelligenza umana.
 

* Avvocato, New York - Montreal

Inizio pagina  Indice della sezione  Prima pagina © InterLex 2004 Informazioni sul copyright