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Attualità

"Open Science" per il futuro delle tecnologie

di Guido Gallelli - 14.10.05

 

Una "Authority for Science" nel futuro della scienza? Dal 20 al 23 settembre scorso si è tenuta a Venezia la prima conferenza mondiale su: "The future of Science". Una conferenza destinata a lasciare il segno anche negli anni a venire, non solo per l'autorevolezza dei suoi firmatari, ma anche per l'impegnativa proposta contenuta nel documento finale: un patto per il futuro della scienza e il progresso dell'umanità.

Il documento, denominato "Carta di Venezia", si articola in quattro punti fondamentali, che meritano di essere qui brevemente citati:
1- "Creare un'alleanza per la Scienza - che coinvolga scienziati, filosofi, teologi, politici, economisti e giuristi - che contrasti l'isolamento della scienza favorendo un dialogo costruttivo tra tutte le forme del sapere che hanno come obiettivo la difesa e l'affermazione della dignità umana''.
2 - "Riportare in primo piano la vocazione umanistica della scienza, il suo orientamento intrinseco alla tolleranza e la sua estraneità agli assolutismi".
3- Sviluppare e coltivare il pensiero scientifico e diffondere il metodo scientifico come strumento di indagine e comprensione della realtà, soprattutto nelle nuove generazioni e nelle società che ancora non hanno raggiunto un livello di progresso adeguato".
4- Favorire l'istituzione di un gruppo multidisciplinare di pensiero, una Authority for Science incaricata di stabilire gli obiettivi e i limiti del progresso scientifico, di riflettere sul futuro della civiltà e di formulare proposte concrete per la società del domani".

La "Carta di Venezia" al momento non va molto al di là di una suggestiva quanto propositiva formulazione di una idea, quella appunto che vedrebbe l'istituzione di una Authority for Science quale punto di riferimento per i governi e le opinioni pubbliche del nostro pianeta. All'enunciazione di un obiettivo così ambizioso non vengono fatte seguire indicazioni concrete su un possibile percorso attuativo. Rimane però il fatto che un politico ben dotato di pragmatismo e senso dello Stato come Giuliano Amato l'abbia entusiasticamente sottoscritto: "In più si firma meglio è", ha dichiarato.

Ovviamente, non è stato il solo. Il documento è stato sottoscritto, oltre che dai circa 250 partecipanti alla "First World Conference on The Future of Science", anche da cinque premi Nobel: Renato Dulbecco, Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia, Claude Cohen-Tannoudji, Zhores I. Alferov.
Nel presiedere la sessione dedicata a Scienza e Potere politico, Giuliano Amato ha tenuto inoltre ad evidenziare come il recente esito referendario in Italia sulla fecondazione assistita costituisca un esempio emblematico di come l'orientamento dell'opinione pubblica possa condizionare e limitare pesantemente la ricerca scientifica. Di fatto, il tema dell'isolamento della scienza rispetto alla società civile, dal quale ne consegue la crescente penuria di finanziamenti pubblici alla ricerca di base, ha fatto da cornice alla conferenza.

Quasi tutti gli scienziati intervenuti, infatti, hanno in qualche modo espresso la loro preoccupazione per il clima di crescente diffidenza nei confronti della scienza che si sta diffondendo non solo in Italia ma anche, in misura minore, negli altri paesi. "Sottovalutare la scienza e non investire oggi nella ricerca scientifica può avere conseguenze devastanti per noi e per le generazioni che verranno. Significa fermare l'innovazione che è il volano dello sviluppo economico e della crescita dell'occupazione, significa far trasferire all'estero le risorse intellettuali e lasciare allo sbando i giovani che non possono emigrare, significa dover importare a caro prezzo tecnologie e strumenti per la nostra qualità di vita" ha dichiarato Umberto Veronesi.

Senza l'impegno e la determinazione del famoso oncologo, non ci sarebbe stata nessuna conferenza né tanto meno nessuna "Carta di Venezia". Nella sua veste di presidente della fondazione che porta il suo nome, Umberto Veronesi è inoltre riuscito a coinvolgere in questa impresa culturale, che tutto lascia prefigurare stia muovendo soltanto i primi passi di una lunga marcia, altri due importanti partner: la Fondazione Cini e la Fondazione Silvio Tronchetti Provera. Ambedue i presidenti delle due fondazioni, rispettivamente Giovanni Bazoli e Marco Tronchetti Provera, hanno partecipato alla conferenza testimoniando anche con le loro dichiarazioni l'intento strategico conferito all'iniziativa.

Non è qui possibile rendere conto degli innumerevoli ed interessanti spunti di riflessioni emersi nelle tre giornate di lavoro. La sessione dedicata a "The DNA Revolution" è stata forse quella più affascinante e al tempo stesso più problematica per le enormi potenzialità ed implicazioni connesse a questo filone di ricerca. Viceversa, la sessione dedicata alle future fonti energetiche, alla quale ha partecipato anche Rubbia, si è rivelata in assoluto la più pessimista per la mancanza di prospettive valide a breve e medio termine.

Uno spazio di rilievo è stato dato anche al futuro dell'ICT. A questa sessione hanno preso parte personaggi del calibro di Vinton G. Cerf, inventore insieme a Robert Kahn del protocollo TCP-IP; Adi Shamir, uno dei tre scienziati che hanno sviluppato il famoso algoritmo di sicurezza RSA; Alan Kay e Zhores I. Alferov , quest'ultimo premio Nobel nel 2000. Alferov è intervenuto illustrando lo stato dell'arte della ricerca sui nuovi materiali, dalle eterostrutture dei semiconduttori alla creazione delle moderne eterostrutture fisiche ed elettroniche (tra i quali i pozzi e i punti quantici) in grado di rivoluzionare ulteriormente il dinamico mondo dell'ICT.

Riflettori accesi anche sul fondamentale rapporto tra scienza e religione: una sessione deludente per chi sperava di cogliere accenni di dialogo sincero e costruttivo in vista della nuova alleanza proposta dagli organizzatori.

La sessione che più delle altre è entrata nel vivo dei problemi da cui dipende il futuro della scienza è stata quella dedicata al rapporto tra scienza e potere economico. Partendo dall'assunto che il progresso scientifico e tecnologico, e quindi in definitiva dell'intera civiltà, è stato storicamente determinato non solo dalle singole scoperte ma anche e soprattutto dalla condivisione dei nuovi saperi che ne sono scaturiti, ovvero della cosiddetta "Open Science", come contrastare l'attuale tendenza dei poteri economici a "proprietarizzare" i nuovi saperi al punto da ergere steccati insormontabili agli ulteriori sviluppi della ricerca scientifica?

Le relazioni sono entrate nel merito dei meccanismi perversi che sovrintendono attualmente la produzione della proprietà intellettuale e dei brevetti. Per esempio, di come molte grandi compagnie private sfruttino le diversità legislative dei singoli paesi e i vantaggi derivanti dalle loro economie di scala per ottenere brevetti pensati più per ostacolare gli altri ricercatori che per conseguire a breve significative ricadute applicative.
Al di là delle specifiche soluzioni proposte, gli economisti Paul David e Richard Nelson si sono mostrati assolutamente concordi sulla necessità di affermare a livello internazionale un ethos in grado di contenere gli eccessi competitivi della ricerca privata e al tempo stesso ridare forza e spazio all'Open Science.

Come? Principalmente, esercitando pressioni sui singoli governi affinché aumentino gli investimenti e adottino un'intelligente politica di distribuzione delle risorse alla ricerca. La "Carta di Venezia", pur non fornendo soluzioni concrete offre valori etici condivisibili ed obiettivi strategici che possono fungere da polo di aggregazione per creare, come proposto nelle battute finali del documento quel "team omogeneo di saggi che esaminano sistematicamente le problematiche sociali che il progresso scientifico continuamente pone, per poi sottoporre periodicamente le loro conclusioni ai Governi e alla pubblica opinione".

 

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