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Attualità

Quando sequestrarono i tappetini dei mouse

di Daniele Coliva - 12.05.04

 
Un normale mercoledì pomeriggio di lavoro, appena iniziato.
Un cliente con i "soliti" problemi.
Suona il telefono, come al solito. "Guardia di Finanza. Sono il brigadiere S., ci troviamo presso il signor S. per una perquisizione disposta dal Procuratore della Repubblica di Pesaro e il signor S. l'ha indicata come difensore."
"Ok, arrivo subito. Mi può dire di che si tratta?"
"Diciamo pirateria informatica"
Ebbe così inizio per il sottoscritto la vicenda ormai passata alla storia come "Fidobust", e che all'estero, dove ebbe grande risonanza, fu chiamata Italian Crackdown. La prima corposa indagine su scala nazionale basata sulla nuova normativa sul diritto d'autore, nonché sulla disciplina introdotta, allora di recente, sui computer crime (il DLgs 518/92 e la legge 547/93).

La vicenda era stata presa molto sul serio dall'autorità giudiziaria procedente, la quale, su indicazione della polizia giudiziaria, aveva ipotizzato un florilegio di reati che coprivano quasi l'intero scibile dei fenomeni informatici penalmente rilevanti: oltre alla duplicazione abusiva di software, la frode informatica, il contrabbando ("perché ci sono dei programmi in inglese e quindi di provenienza straniera" fu la giustificazione), il tutto amalgamato dall'associazione a delinquere che consentiva l'unitarietà dell'indagine.

L'aspetto associativo era stato individuato mediante l'osservazione di un fenomeno vero ed il suo totale travisamento in fatto. La maggior parte degli indagati gestiva dei BBS della rete Fidonet, a quel tempo uno dei pochi strumenti disponibile per chiunque per comunicare a distanza. Il BBS, e Fidonet in particolare, era "la telematica". I privilegiati usavano Compuserve e l'internet era praticamente sconosciuta al di fuori degli ambienti universitari.

Nella totale inconsapevolezza di cosa fosse la rete Fidonet, le telefonate, prevalentemente notturne, tra i computer furono scambiate per i collegamenti tra i vari associati. Taluno fu indagato, perquisito e sequestrato per una connessione tra due modem di 23 secondi: considerata la durata dell'handshake, nemmeno 10 secondi di comunicazione dati vera e propria!

L'inesperienza totale degli inquirenti diede luogo a risultati esilaranti, pur essendo anche drammatici per chi li subì: oltre al sequestro di mouse con relativo tappetino, o di ciabatte di prese multiple, vi fu anche chi si vide sigillata la camera da letto nella quale teneva il computer, e dovette adattarsi a dormire sul divano per qualche notte. Altri si videro sequestrati anche le cassette della segreteria telefonica, in quanto supporti magnetici, per non parlare dei floppy da 8 pollici di minicomputer ormai ridotti a ferraglia.

Solo in pochi casi, per la presenza di ufficiali di polizia giudiziaria competenti e soprattutto dotati di buon senso, i sequestri furono contenuti nel minimo indispensabile.

Il tribunale del riesame revocò il sequestro sull'hardware, ristabilendo un po' di normalità, mantenendolo invece sui supporti magnetici, dischi rigidi compresi.
Il reato di associazione per delinquere fu il primo a cadere. Subito dopo l'estate tutte le posizioni degli indagati non pesaresi (dove invece c'era un gruppetto organizzato di duplicatori) furono stralciate ed inviate alle procure competenti per territorio.

Seguii alcuni casi, tutti archiviati tranne uno, che fu portato al dibattimento, con una corposa consulenza tecnica, dalla quale risultò che uno solo delle diverse centinaia di programmi rinvenuti nei floppy poteva essere stato duplicato dopo l'entrata in vigore della disciplina penale specifica sul software. Tuttavia la chiara mancanza dell'elemento soggettivo (scopo di lucro, allora) determinò l'assoluzione.

L'operazione Fidobust non rimase senza conseguenze. Essa costituì il catalizzatore del declino della telematica amatoriale, basata sull'impegno personale e a fondo perduto di tempo e risorse patrimoniali di persone di buona volontà, competenti. Era una scuola di tecnica informatica e di comportamento in rete. "Quotare" in maniera corretta o evitare gli off topic era non solo una forma di rispetto verso il lettore, ma anche nei confronti di chi a sue spese si era assunto l'onere di far girare i messaggi altrui e di tutti coloro che scaricavano la posta con modem v32bis o Zyxel nei casi più fortunati, ma comunque contribuendo al fatturato di Telecom.
Basta leggere l'e-mail o scorrere un newsgroup di oggi per rendersi conto di quanta buona educazione informatica sia andata perduta.

Ciò che stupì allora, e lascia perplessi ancora oggi, fu l'utilizzazione di categorie logiche vecchie per fenomeni nuovi, senza un'analisi approfondita dell'oggetto di indagine. Possibile che nessuno si fosse domandato per quale motivo ci fossero tante telefonate, brevi e secondo pattern ben precisi, di notte? Nessuno si chiese mai come si potesse trasmettere software per via telematica con modem a 14,4 kilobit/sec (per i più fortunati)? Eppure già allora i programmi occupavano qualche floppy disk da 1,44Mb. Semplicemente non aveva senso alcuno, anzi era in contraddizione palese con il presunto fine di non pagare il prezzo per l'acquisto dell'originale.

Che cosa è rimasto del Fidobust? Tranne a Pesaro, dove la duplicazione, dalle foto scattate dalla polizia giudiziaria, appariva organizzata, nel resto d'Italia ben poco, direi, se non i racconti "eroici" delle prime vittime, anzi beta tester, della nuova normativa e l'inutile statistica di migliaia di floppy e decine di computer sequestrati e poi, a distanza di tempo, restituiti come polverosi, obsoleti e costosi ferma-porta.

Oggi per le caratteristiche dell'internet fatti del genere sono difficilmente ripetibili, anche se in talune indagini su fenomeni di pedofilia sono stati coinvolti estranei. Ma non è cambiato lo spirito repressivo, anzi, è sempre più istituzionalizzato, come dimostra il "decreto Urbani" in discussione al Senato.

 

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