La problematica dell'accesso ai dati personali cosiddetti valutativi
contenuti nelle perizie medico-legali si è recentemente arricchita di nuovi
punti di riferimento interpretativi e normativi.
Mi riferisco in particolare alla pronuncia del tribunale di Roma del 17 luglio
2003 (la cui motivazione per esteso è riportata in Guida al diritto n. 50/03),
ed alle sostanziali modifiche apportate alla disciplina sul diritto di accesso
dall'art. 8, comma 4 del codice della privacy (DLgs 196/03).
Prima di tutto ricapitoliamo i termini della questione (più ampiamente
illustrati nel mio precedente intervento Privacy e perizie
medico-legali):
1. secondo l'impostazione sempre seguita dal Garante, qualsiasi tipo di
"rilievo, giudizio o valutazione di tipo soggettivo" deve
essere considerato, ai fini della normativa sulla tutela della riservatezza,
come un dato personale di colui che ne venga fatto oggetto. Conseguenza: anche
le valutazioni del medico legale contenute nella perizia, rientrando nel novero
concettuale di dato personale, sono suscettibili di accesso ex art. 13 L. 675/96.
2. la diametralmente opposta ricostruzione operata dalla prevalente
giurisprudenza di merito può considerarsi sinteticamente fondata su due
pilastri argomentativi :
a) connotato essenziale della categoria dei dati personali è la loro
"oggettività", non essendo altrimenti spiegabile il riferimento dell'art
9 L. 675/96 al carattere della "esattezza" (ontologicamente
incompatibile con una valutazione soggettiva).
b) la posizione assunta dal Garante, portata alle sue naturali conseguenze,
produce un effetto distorsivo: se la valutazione contenuta nella perizia
medico-legale è un dato personale, allora il danneggiato-interessato, nel
quadro dei diritti riconosciutigli dall'art. 13 L. 675/96, ne può chiedere la
rettificazione e/o la integrazione.
Come ho avuto modo di sottolineare in varie occasioni, entrambe le
impostazioni appaiono perfettamente sostenibili alla luce del quadro normativo
dettato dalla abrogata L. 675/96. Né le univoche pronunce del Garante, a mio
modestissimo avviso, hanno mai fornito argomenti sufficientemente convincenti
per poter superare le descritte argomentazioni prospettate in giurisprudenza
circa i paradossali esiti cui l'orientamento dell'autorità,
inevitabilmente, conduce.
E' alla luce di tutto ciò che deve esser letta la pronuncia del tribunale
di Roma del 17 luglio 2003, onde verificare se la stessa offra nuove vie d'uscita
all'evidenziato stallo interpretativo (sottolineando, peraltro, come la mia
attenzione si concentrerà, per esigenze di brevità, esclusivamente sul tema
oggetto di questo intervento, senza affrontare le interessantissime questioni
procedurali trattate nella medesima pronuncia).
Si legge nelle motivazioni del provvedimento:
Nessuna norma di legge, invero, distingue o induce a distinguere tra dati
personali obiettivi e dati personali non obiettivi, poiché, a ben vedere, anche
i giudizi come quelli sopra cennati (le valutazioni del medico legale), suscettibili
di attribuire al soggetto uno status o una qualità con immediati riflessi,
anche patrimonialmente apprezzabili nella sfera personale, una volta espressi
assumono una loro materiale obiettività. La possibilità di accedere a questi
dati, espressione dei principi di trasparenza informativa che informano la Legge
è dunque funzionale all'esercizio del diritto, che spetta sempre all'interessato,
di verificare se i suoi dati personali sono lecitamente e correttamente trattati
dal titolare... Sul punto, dunque, il tribunale condivide quell'orientamento
della giurisprudenza di merito (tribunale di Bologna 02.07.02 n. 558) secondo
cui non può dubitarsi della qualità di dato personale dei giudizi valutativi
- in quel caso costituiti dalle note di qualifica del datore di lavoro -
poiché tali informazioni riferite al soggetto interessato comprendono ogni
notizia, informazione o elemento che abbia un'efficacia informativa tale da
fornire un contributo aggiuntivo di conoscenza rispetto alla persona.
Siamo, dunque, di fronte ad una chiara scelta di campo, che si pone in una
perfetta linea di continuità con l'orientamento del Garante (e con il citato,
ed invero isolato precedente, del tribunale di Bologna 2 luglio 2002).
Ciò evidenziato, la domanda da porsi è la seguente: questa pronuncia contiene
degli elementi nuovi, che consentano di disinnescare gli effetti. collaterali
che a tale interpretazione conseguono? Ritengo proprio di no.
Una volta sottolineato come anche la valutazione medico-legale rientri a
pieno titolo nella nozione di dato personale, il tribunale si limita infatti ad
affermare:
L'interessato ha il diritto di ottenere l'aggiornamento, la rettifica o
la modificazione dei dati obiettivi utilizzati per esprimere il giudizio
medico-legale, poiché egli può opporsi al trattamento dei suoi dati incompleto
o non corretto che conduca a giudizi palesemente errati.
Ora, tale assunto, se da un lato coglie limpidamente la divaricazione tra
dato obiettivo e dato subiettivo, dall'altro aggrava la pesantezza del vero
dilemma: se la valutazione è un dato personale, l'interessato può chiederne
la rettificazione? Ovvero (invertendo i termini del quesito), esiste
normativamente un qualche appiglio che, assunta la tesi della qualificabilità
della valutazione come dato personale, consenta di evitare tale kafkiana
incongruenza?
Il provvedimento in commento nulla deduce sul punto: siamo quindi, ancora una
volta, di fronte a quella sorta di cul de sac esegetico, dal quale
evidentemente, non è proprio possibile uscire!
Ritengo sia proprio in considerazione di ciò che il legislatore ha ritenuto
di intervenire (forse anche in virtù della influenza esercitata da Garante sui
lavori preparatori).
Nel quadro delle varie integrazioni contenute nel codice della privacy (DLgs
196/03) in vigore dal 1. gennaio di quest'anno, va infatti segnalata la
rilevantissima portata, ai fini della soluzione del problema in esame, dell'art.
8 comma 4, a norma del quale
L'esercizio dei diritti di cui all'art. 7, quando non riguarda dati di
carattere oggettivo, può avere luogo salvo che concerna la rettificazione o l'integrazione
di dati personali di tipo valutativo, relativi a giudizi, opinioni o ad altri
apprezzamenti di tipo soggettivo, nonché l'indicazione di condotte da tenersi
o di decisioni in via di assunzione da parte del titolare del trattamento.
L'intera questione trova pertanto dei risolutivi punti di riferimento:
1. viene consacrata, seppur in via incidentale ed indirettamente, la
inquadrabilità dei dati cd. di carattere soggettivo nell'alveo della
categoria dei dati personali. Trova quindi una conferma normativa l'orientamento
interpretativo del Garante, da ultimo ribadito dal tribunale di Roma;
2. ciò che più conta, viene eretto una sorta di sbarramento che, inibendo il
diritto di rettificazione e di integrazione con riguardo ai dati personali
valutativi, disinnesca a monte la distorsione cui il principio sub a) di fatto
portava sulla scorta della previgente L. 675/96.
Alla luce di tutto ciò, completato il quadro legislativo con il fondamentale
tassello mancante, la questione del diritto di accesso alle perizie medico
legali assume connotati completamente nuovi, non più affidati a possibili
divaricazioni interpretative (connotati che il Collegio capitolino sembra aver
utilizzato come strumenti ermeneutici, nonostante il fatto che al momento della
pubblicazione del provvedimento, il codice della privacy, seppur già emanato,
non fosse ancora entrato in vigore!).
La partita tra danneggiati-interessati e compagnie sembra quindi sempre più
difficile da giocare per queste ultime, e ciò anche in virtù dei più
stringenti limiti al cosiddetto diritto al differimento, derivanti:
a) dal consolidato orientamento del Garante (vedi i provvedimenti citati in Privacy e perizie
medico-legali), da ultimo confermato nella pronuncia del
tribunale di Roma (ove, con riferimento a tale specifico profilo, si legge: invero
la norma invocata dalla ricorrente - per l'appunto l'art. 14 L. 675/96
- impedisce l'esercizio dei diritti limitatamente al periodo durante il
quale potrebbe derivarne pregiudizio per far valere o difendere un diritto in
sede giudiziaria ma, al fine di evitare che questa norma costituisca un
espediente per impedire sistematicamente l'esercizio del diritto di accesso ai
dati, è evidentemente necessario che la sussistenza del pregiudizio allegato
sia concreta ed attuale e non può limitarsi, come nel caso di specie,
alla possibilità che il danneggiato possa utilizzare a proprio vantaggio la
perizia nella sede processuale").
b) dalla nuova formulazione dell' art. 8, comma 2 lett.e) del L.DLgs 196/03,
ove il diritto al differimento (precedentemente riconosciuto dall'art. 14
della 675/96 in ipotesi di pregiudizio per lo svolgimento di indagini
difensive o per l'esercizio dei diritti di cui all'art. 12 lett. h) è
stato ristretto in termini esplicitamente più angusti (anticipati anche
sintatticamente dal tribunale di Roma), essendo oggi subordinato alla esistenza
di un "pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento di
indagini difensive o per l'esercizio del diritto in sede giudiziaria.
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