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 Telecomunicazioni

Con il 147 la tenaglia si chiude
di Paolo Nuti - 24.11.98

Con una azione a tenaglia sul piano commerciale e normativo, Telecom Italia si avvia a conquistare il controllo pressoché totale della rete Internet Italiana. L'azione sin qui condotta può essere riassunta in sette fasi, alle quali si aggiunge la recente introduzione del numero "147".
Cosa spinge l'ex monopolista a sfidare il processo di liberalizzazione ponendo le premesse per la totale concentrazione del traffico Internet sulla propria rete?

1 - (1994/95) Nascono le strutture Interbusiness e TOL (Telecom On Line). L'offerta Interbusiness (accesso ad Internet con rete commutata o dedicata con o senza diritto di rivendita a terzi) si rivolge alla clientela affari. L'offerta TOL si rivolge all'utenza residenziale e small-business, limitatamente ad un accesso ISDN.

2 - Nel giugno del 1996 Telecom Italia acquista Video On Line, il servizio di accesso ad Internet che in un anno di attività aveva raccolto circa 45.000 abbonati e molte diecine di miliardi di perdite, in massima parte debiti contratti con Telecom Italia per l'offerta di accessi gratuiti attraverso un numero verde e la fornitura chiavi in mano della rete di nodi di accesso urbano a VOL. Le offerte commerciali di Interbusiness, TOL (accesso solo attraverso rete ISDN) e VOL (accesso prevalentemente attraverso rete telefonica commutata) proseguono secondo i vecchi schemi fino a gennaio 1997. Sulla base dei dati pubblicati nel bilancio di Telecom Italia, VOL/TOL ha, nel 1996, perdite per 42,4 miliardi su poco meno di 9 miliardi di ricavi. Nello stesso periodo Interbusiness, ha perdite per 62,5 miliardi e ricavi per 34,7 miliardi.

3 - Sempre nel 1996 la divisione clientela affari di Telecom Italia lancia il servizio ArcIPelago, una rete di nodi di accesso PSTN e ISDN. Chiunque voglia realizzare un'offerta di accesso ad Internet può farlo acquistando banda passante (nazionale ed internazionale) da Interbusiness e rete di accesso da ArcIPelago. Di fatto questa offerta, allettante per molti piccoli operatori, ha già concentrato sulle dorsali Telecom Italia il traffico di circa 160 piccoli fornitori di accesso ad Internet su un totale di circa 500 attualmente (1998) operanti in Italia.

4 - A febbraio 1997 (nominalmente, in realtà da marzo) le offerte TOL e VOL vengono riunite sotto il marchio TIN (Telecom Italia Network). Il prezzo dell'abbonamento tipo (accesso via rete commutata senza limitazione di tempo) viene portato a 476.000 lire (400.000 lire + Iva). In linea con il prezzo praticato negli Stati Uniti dove peraltro i canoni di noleggio delle infrastrutture di base (linee di trasmissione dati) sono notevolmente inferiori.

5 - A settembre 1997, preoccupata per i ritardi di crescita della base di abbonati residenziali (in pratica poco meno che ferma ai numeri di VOL), TIN lancia l'offerta a 248.000 + IVA e a 149.000 + IVA per gli studenti. Alle nuove offerte, largamente inferiori ai costi di esercizio che per il 1996 possono essere stimati in non meno di 800.000 lire/abbonato, si affianca una campagna omaggi che, se possibile, offusca quella a suo tempo lanciata da VOL: centinaia di migliaia di abbonamenti omaggio da 15 gg sono offerti mensilmente attraverso riviste specializzate e CD-Rom distribuiti in edicola. Come se non bastasse, è possibile richiedere abbonamenti omaggio da 15 gg direttamente "On-line" e senza alcuna valida forma di controllo.

6 - A gennaio 1998 partono le diverse "formule" che, spacciate per una agevolazione a favore dello sviluppo di Internet, rappresentano invece un'azione di marketing a doppio favore di Telecom. Le formule, infatti, da un lato fidelizzano l'abbonato Telecom in vista della liberalizzazione; nel contempo chi, non abbonato ad Internet, chiede a Telecom informazioni sulle modalità dello sconto "per internet", tenderà poi a rivolgersi a TIN.

7 - Per accelerare l'attivazione di abbonamenti ed abbattere i costi di segreteria, TIN abbandona i contratti cartacei e la richiesta di presentazione di una fotocopia dei documenti: l'attivazione è fatta "on line" dallo stesso abbonato ed è legata unicamente alla congruità del codice fiscale con il nome e la data di nascita dichiarati dall'abbonato. Spammer, pedofili, trafficanti di droga e tangentisti hanno di che esultare; così come esultarono a suo tempo quando, durante la sperimentazione iniziale, le TIM Card per i telefonini GSM vennero vendute senza alcuna forma di identificazione dell'acquirente. A maggio '98 Telecom Italia Net può annunciare di aver raggiunto i 200.000 abbonati (si suppone paganti) e di essere certa di raggiungere i 400.000 per la fine dell'anno.

Come i nostri lettori ricorderanno, il 10 luglio 1998 l'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM), ritenendo non infondata la denuncia presentata il 2 febbraio dalla Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) contro Telecom Italia, ha avviato una istruttoria tesa a valutare possibili violazioni, da parte di quest'ultima, dell'articolo 3 della legge n.287/90 (i.e. "legge antitrust") in tema di:
1 - prezzi predatori per la fornitura dei servizi di accesso ad Internet
2 - pratiche di discriminazione
3 - sfruttamento illegittimo di vantaggi concorrenziali derivanti dalla posizione dominante su mercati collegati.

Avvio dell'istruttoria non significa condanna, ma vale comunque la pena di sottolineare che l'apertura di un procedimento per "prezzi predatori" è comunque un evento rarissimo; salvo errori, questo è solo il secondo caso in Italia. Il motivo di questa eccezionalità è legato alla definizione stessa di prezzo predatorio. I prezzi di vendita di un prodotto si definiscono predatori solo quando sono inferiori ai costi di produzione variabili: se è plausibile, infatti, che un imprenditore per ridurre le perdite dovute al correre dei costi fissi venda un prodotto ad un prezzo inferiore alla somma dei costi di produzione fissi e variabili, è "fuori di testa" che aumenti le perdite vendendo ad un prezzo inferiore a quello della "materia prima" (costi variabili) perché in questo caso aumenta certamente le perdite.
A meno che non lo faccia per cacciare fuori dal mercato i suoi concorrenti. Pratica illecita per chi, come Telecom Italia, vuole raggiungere una "posizione dominante" su un certo mercato sfruttando quella che già detiene su mercati collegati (nel nostro caso telefonia su rete commutata PSTN/ISDN e trasmissione dati su CDN).

Che Telecom Italia venda abbonamenti per l'accesso ad Internet in larga perdita, è fuori discussione: dal bilancio separato delle divisioni TIN e Interbusiness emerge chiaramente che TIN nel 1997 ha avuto ricavi per poco meno di 13 miliardi di lire a fronte di costi per 108 miliardi, con perdite pari al 730% del fatturato. Ma questo non basta sic et simpliciter a definire "predatori" i prezzi degli abbonamenti TIN: i legali di Telecom tenteranno probabilmente di sostenere che quei 108 miliardi sono tutti o quasi tutti costi fissi; AIIP ribadirà le ragioni per le quali ritiene insostenibile questa tesi e l'Autorità Garante prenderà la sua decisione.

Ricordo tutto questo perché a metà ottobre è accaduto un fatto assolutamente singolare: TIN ha lanciato il servizio di accesso ad Internet sul numero 147 in circa 330 località nelle quali non dispone fisicamente di un POP. Come molti sanno, il 147 è una sorta di numero verde per il quale chi chiama paga uno scatto alla risposta (se il suffisso è 1) o la normale TUT urbana (se il suffisso è 8). Il resto lo paga chi riceve la chiamata. Con il 147-8 TIN ha portato il numero di punti di accesso urbano da circa 125 a 457 facendosi carico della differenza tra il costo dell'urbana e della interurbana per gli oltre 320 "POP virtuali".

Quanto vale questa differenza? Se assumiamo che le interurbane "parzialmente pagate dalla divisione TIN di Telecom Italia" siano tutte relative a distanze inferiori a 15 km, la partita di giro tra la divisione TIN e quella Clienti Business di Telecom Italia per fornire il servizio a tariffa urbana anche dove TIN non dispone di POP è pari a 4.018 lire/ora in "peak time" (dalle 8:30 alle 18:30) dei giorni feriali e a 1.905 lire nelle altre fasce; per distanze del POP virtuale da quello reale superiori ai 30 km, la differenza può raggiungere le 18.242 lire/ora.

Poiché il costo di una telefonata tariffata a tempo è per definizione variabile ed il costo orario degli abbonamenti TIN più costosi è di 1.500 lire ora (abbonamento 100 ore a 150.000 lire) o al massimo di 1.854 lire/ora per la ricarica di 40 ore lanciata negli scorsi giorni, l'offerta a mezzo 147-8, che, oltre ai costi variabili del servizio standard comporta un ulteriore costo variabile compreso tra 1.905 e 18.242 lire/ora, è incontestabilmente predatoria.

Questo, naturalmente, prescindendo dalla considerazione che sulle distanze inferiori ai 30 km, se non addirittura a livello regionale, la differenza di costo tra una chiamata urbana ed una interurbana è un più fatto di marketing che non di sostanza. Ma questo non autorizza certo Telecom Italia ad applicare costi da sostanza a se stessa e costi da marketing ai concorrenti.
Come può venire in mente ad una azienda sul cui capo pende un procedimento per prezzi predatori di fare un'offerta al pubblico palesemente predatoria? Non lo sappiamo.
Sappiamo però che quando i nuovi operatori telefonici nazionali e regionali cominceranno ad operare con i loro propri archi di numerazione urbana, detenere un elevato numero di abbonati ad Internet significherà spostare cifre di qualche centinaio di miliardi di interconnessione.

Mi spiego meglio: quando l'abbonato di un nuovo operatore chiama un abbonato di Telecom, il nuovo operatore si fa pagare dal proprio abbonato, ma paga a sua volta a Telecom in base alla cosiddetta "tariffa di interconnessione".
Non appena i nuovi operatori di rete fissa inizieranno ad operare non più con i prefissi, ma con i propri archi di numerazione urbana, succederà anche il contrario: se un abbonato di Telecom chiama un abbonato di rete fissa di Infostrada, Albacom, Wind, Tiscali, etc., Telecom dovrà pagare l'interconnessione al nuovo operatore.

Supponiamo ora per un attimo che tutti i provider Internet italiani spostino i loro modem sulle reti telefoniche di uno o più nuovi operatori. Secondo stime attendibili, l'anno prossimo gli italiani utilizzeranno accesso ad Internet via PSTN o ISDN per almeno 10 miliardi di minuti. Se, come è probabile, l'Autorità per le Telecomunicazioni dovesse imporre una tariffa di interconnessione pari a quella raccomandata dalla Unione Europea, nel 1999 Telecom si troverebbe a dover pagare ai nuovi operatori per interconnessione fonia generata da traffico Internet via rete commutata qualcosa che assomiglia a 250 miliardi di lire.
Tutto questo naturalmente non avverrà perché già oggi Telecom Italia è riuscita a raccogliere oltre il 52% dell'utenza Internet e perché con azioni di marketing come la formula urbana, il 147-8 e magari la tariffa flat per 4 ore ipotizzata prima della caduta del governo Prodi e poi approvata sotto il governo D'Alema, potrebbe raggiungere e superare nei primi mesi del '99 l'80% del mercato Internet.

Si, egregi lettori, l'ipotesi più plausibile è che quella che viene presentata come un'azione benemerita a favore dello sviluppo di Internet sia in realtà solo una barriera all'ingresso dei nuovi operatori di rete fissa. In varie sedi, Telecom ha sostenuto di non poter essere chiamata a pagare di interconnessione più di quello che riscuote dall'abbonato.
Tesi solo apparentemente inoppugnabile, perché è singolare chiamare i nuovi operatori telefonici a pagare le spese delle campagne di fidelizzazione che Telecom lancia contro l'ingresso dei nuovi operatori telefonici.

Mi rendo conto che dal punto di vista di chi paga la bolletta, se Telecom sconta o regala la TUT o le interurbane, poco importa chi paga le spese. Ma anche in questo caso non è tutto oro quel che luccica e per capire qualcosa di più circa le reali intenzioni dell'ex monopolista bastano alcune carte che Telecom ha calato in tavola. Forse involontariamente. Carte che chiariscono molto bene quali siano gli obiettivi economici delle azioni di fidelizzazione presentate come promozione di Internet.

Nell'ambito della farsesca presentazione del piano industriale 1999-2001, Telecom Italia ha espresso la convinzione di poter raccogliere 2.600.000 abbonati Internet entro il 2001 che, "con i loro canoni e con il loro traffico" costituiranno "almeno il 10 per cento di tutte le entrate aziendali" (Gianfranco Modolo, la Repubblica, sabato 10 ottobre '98, quinta colonna, circa metà pagina). Poiché Telecom Italia prevede per l'anno 2001 ricavi per 55.040 miliardi di lire, ne consegue che prevede ricavi per Internet e traffico associato per 5.500 miliardi. Dividendo per 2.600.000 abbonati significa una ipotesi di ricavo Internet e traffico associato pari a 2.100.000 /anno per abbonato o se preferite a 176 mila lire/mese o 352.000 lire a bolletta.
Alla faccia di chi, a livello governativo o addirittura di consumatore, regge involontariamente il sacco alle operazioni di marketing e fidelizzazione dell'ex monopolista.

Aveva ragione Emma Bonino, quando un anno fa, in occasione della prima conferenza degli Internet Provider organizzata a Napoli dall'AIIP, invitava a non fidarsi dei regali di Telecom.
Se vogliamo realmente promuovere la diffusione di Internet in Italia, serve un quadro tariffario e normativo compatibile sia con le tasche dei consumatori, sia con lo sviluppo della concorrenza.
Non la passiva accettazione di una serie di piani di fidelizzazione monopolistica.