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 Telecomunicazioni

Atto di accusa: così si uccide il mercato
di Manlio Cammarata - 23.07.98

"La Associazione Italiana Internet Providers intende sottoporre all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato alcune condotte poste in essere da Telecom Italia s.p.a,. più oltre descritte, perché essa accerti l'eventuale sussistenza di violazioni della legge 287 del 1990 e, nel caso, adotti le misure più opportune a ripristinare e garantire la concorrenza nel mercato".

Si apre così un voluminoso dossier, pieno fatti, dati e tabelle, consegnato all'Autorità antitrust il 2 febbraio scorso dall'Associazione italiana Internet providers (AIIP). Che ha impiegato - proficuamente, a quanto pare - cinque mesi per valutare la denuncia e verificare i dati, comprese due integrazioni presentate l'8 aprile e il 2 giugno. Finalmente, nell'adunanza del 10 luglio, l'Autorità ha deliberato l'avvio dell'istruttoria, ha assegnato un termine di 40 giorni per l'audizione delle parti e ha stabilito che il procedimento deve concludersi entro il 28 febbraio 1999.

La denuncia

Il ponderoso atto di accusa preparato per l'AIIP dall'avvocato Andrea Valli descrive prima di tutto il mercato di Internet in Italia e analizza il ruolo che in esso svolge Telecom Italia. Quindi elenca una serie di comportamenti che, a giudizio dell'AIIP, sono lesivi della concorrenza:
1. la vendita sottocosto dei servizi di accesso alla rete Internet, sia per gli utenti residenziali, sia per gli utenti business, praticata per più di due anni consecutivi;
2. la discriminazione tra i prezzi praticati da Telecom Italia agli Internet provider per la sola "rete nazionale di raccolta urbana"con l'offerta del servizio ArcIPelago(
1) e i prezzi praticati al singolo utente residenziale; la discriminazione nei prezzi praticati ai diversi provider;
3. i "sussidi incrociati" tra la fornitura della telefonia vocale e di altri servizi (telefonia vocale, ISDN, frame relay, settori in cui TI è in monopolio o in posizione dominante) e l'attività di Internet provider, in cui è in concorrenza;
4. il sovradimensionamento della rete di TI per la fornitura di servizi Internet, che mette in difficoltà i concorrenti, per i quali i costi di rete sono un carico gravoso;
5. Il mancato rispetto degli impegni assunti con l'Autorità in seguito alla concentrazione Telecom Italia/Video on Line (
provvedimento 4009/96).

Tutti i punti sono accuratamente documentati negli allegati e con la puntigliosa analisi del bilancio di Telecom Italia, dal quale risultano sia l'insufficiente separazione contabile tra le attività di fornitore di rete e quelle relative a TIN e Interbusiness (oltre alla scarsa trasparenza nell'allocazione delle componenti di costo), sia i "sussidi incrociati" tra le attività svolte in regime di monopolio e quelle in concorrenza, vietati dalla normativa antitrust. Ed è questa, in ultima analisi, l'accusa principale che l'AIIP muove a Telecom: finanziare il disavanzo nel mercato di Internet con i proventi di altre attività.

Alla descrizione dei comportamenti anticoncorrenziali segue la valutazione giuridica degli stessi, fondata sull'analisi dei diversi mercati dei servizi di telecomunicazioni e della ruolo che TI esercita in ciascuno di essi, di volta in volta in posizione dominante o in concorrenza con altri operatori.Si citano in particolare:
1. l'alta percentuale del mercato degli accessi a Internet coperta da TI (pari a una quota che va dal 38 al 57,5 per cento, a seconda dei criteri di valutazione);
2. le barriere all'ingresso nel mercato, consistenti nei costi elevati e nella "fidelizzazione" della clientela da parte di TI;
3.la cosiddetta "integrazione verticale", che consiste nella presenza contemporanea su diversi segmenti del mercato (in questo caso quello in monopolio di fatto per la rete e quello in posizione dominante per i servizi) e che rende possibili i sussidi incrociati:
4. La fortissima posizione finanziaria di TI.

Da tutto questo deriva, sempre secondo la denuncia dell'AIIP, che TIN e Interbusiness praticano "prezzi predatori". Cioè che vendono abbonamenti a prezzi ampiamente al di sotto dei costi, a danno dei concorrenti, come dimostrano non solo il calcolo dei costi stessi, ma soprattutto il bilancio di TI, dal quale si rileva chiaramente l'esistenza dei sussidi incrociati (in pratica, TI finanzia il deficit degli abbonamenti "dial up" a Internet sia con gli "scatti" prodotti dagli stessi abbonamenti, sia attribuendo alcuni costi ad altri settori dell'azienda, come, per esempio, l'affitto dei circuiti diretti agli Internet provider a cifre circa sei volte più alte di quelle praticate negli USA, per linee di capacità e lunghezza equivalente).

Le richieste dell'AIIP

L'associazione dei provider conclude la denuncia chiedendo che a Telecom Italia sia imposto in primo luogo di praticare prezzi orientati ai "costi medi totali" e di non ostacolare il passaggio ad altri Internet provider degli utenti che hanno sottoscritto gli abbonamenti a prezzi predatori. A questo punto, con un mercato finalmente competitivo, gli abbonati potrebbero rivolgersi agli altri provider, frenati solo dalla prospettiva di diventare irreperibili in seguito al cambio di indirizzo e-mail. Quindi TI dovrebbe essere obbligata a "forwardare" la posta inviata al vecchio indirizzo.
In secondo luogo l'AIIP chiede che TI sia obbligata a costituire una società separata per i servizi di accesso a Internet, in modo che sia più facile controllare i conti e impedire i sussidi incrociati. Una effettiva e dettagliata separazione contabile deve essere adottata anche nel periodo transitorio, prima della costituzione della nuova società.
Osserva poi l'AIIP che la separazione contabile era uno degli impegni assunti da TI all'atto della concentrazione con VOL (vedi il
provvedimento 4009 sul sito dell'AGCM), oltre a quello di non utilizzare per le pratiche commerciali dei servizi di accesso a Internet le informazioni raccolte con la fornitura dei servizi di rete, e chiede che questo divieto sia ribadito dall'Antitrust.

Ancora, i provider chiedono:
1. che sia separata anche la contabilità relativa ai CDN (circuiti diretti numerici), che TI affitta agli ISP, per evitare discriminazioni nell'offerta;
2. che a tutti i provider siano applicati gli sconti ai quali TI si è impegnata in seguito all'azione promossa da Albacom (vedi il
provvedimento 5428 sul sito dell'AGCM), indipendentemente dalla capacità;
3. l'applicazione, per tutti gli ISP, di uno sconto sul canone di accesso, in considerazione dell'enorme traffico generato in entrata a beneficio di TI.

La risposta dell'Autorità

Con la decisione di aprire l'istruttoria, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato riconosce la fondatezza della denuncia avanzata dall'AIIP, in particolare per quanto riguarda i prezzi predatori.
"Si deve notare - osserva l'Autorità - che a fronte delle circostanze illustrate dal denunciante, la sinteticità dell'articolazione della separazione contabile relativa ai servizi TIN e Interbusiness, riportata nel bilancio 1996 di TI, non consente di escludere l'ipotesi che TI abbia posto in essere pratiche anticoncorrenziali nella forma di prezzi sottocosto".
Prosegue la delibera: "Sulla base delle evidenze fornite, TI, al fine di rafforzare la propria presenza nel mercato in concorrenza dei servizi di accesso a Internet, apparirebbe agire in modo anticoncorrenziale sfruttando vantaggi derivanti dalla propria posizione dominante nei mercati a monte della telefonia fissa e nelle infrastrutture pubbliche commutate".
Conclude l'Autorità: "Il complesso di tali comportamenti configurerebbe un utilizzo da parte di TI di strumenti di competizione che, essendo diretti a rafforzare la propria posizione dominante sul mercato dei servizi di accesso a Internet, e da questa attuabili solo in virtù di una sia contestuale posizione dominante su mercati contigui, sono a tale impresa vietati proprio a causa delle speciali responsabilità che le sono attribuite in ragione della sua posizione di dominanza sullo stesso mercato dei servizi di accesso a Internet".

Sulle politiche di discriminazione l'Autorità rileva che il comportamento di TI "potrebbe configurare un'ingiustificata discriminazione nei confronti delle imprese che forniscono servizi di accesso a Internet allo scopo di pregiudicarne l'attività, in violazione dell disposto dell'art. 3 della legge n. 287/90". Questo perché "la circostanza che TI offra una infrastruttura di raccolta (la rete ArcIPelago, n.d.r.), ai propri concorrenti, a un prezzo solo marginalmente più basso rispetto a l prezzo del servizio TIN finale all'utenza, sembrerebbe implicare che TI applichi nell'offerta di connettività ai fornitori di servizi suoi concorrenti condizioni economiche molto più elevate di quelle praticate a se stessa per la fruizione dell stessa connettività".

Seguono considerazioni sullo sfruttamento della propria posizione dominante di TI sul mercato della telefonia fissa e delle informazioni che ne ricava. Osserva l'Autorità che "Il complesso di tali comportamenti configurerebbe un utilizzo di strumenti di competizione che, essendo diretti a rafforzare la propria posizione dominante sul mercato dei servizi di accesso a Internet, e da questa attuabili solo in virtù di una sua contestuale posizione dominante su mercati contigui, sono a tale impresa vietati proprio a causa delle speciali responsabilità che le sono attribuite in ragione della sua posizione di dominanza sullo stesso mercato dei servizi di accesso a Internet".

Infine c'è la questione del mancato rispetto degli impegni assunti con l'acquisizione di VOL. Su questo punto l'Autorità non esclude che, se fosse verificata la violazione, potrebbe essere aperta l'istruttoria che allora non fu avviata proprio in seguito alle assicurazioni fornite da Telecom Italia.

E ora che succede?

Prima della fine di agosto (per qualcuno salteranno le ferie!) Telecom Italia dovrà rispondere. Ma si dovrà aspettare ancora qualche mese per la conclusione del procedimento, anche se non fino al termine ultimo del 28 febbraio 1999. Allora, nel caso molto probabile che l'Autorità accolga le richieste dell'AIIP, per il mercato di Internet in Italia si potrà aprire una fase di sviluppo equilibrato. Sempre che Telecom Italia non decida autonomamente, prima della decisione dell'AGCM, di rinunciare ad alcune politiche anticorrenziali. In questo modo potrebbe limitare i danni di immagine, sempre più gravi nel settore di Internet e alleggerirebbe anche la sua posizione di fronte all'Antitrust.
E' prevedibile, però, che il "monopolista uscente" si difenda attaccando: le nostre tariffe per l'accesso a Internet, potrebbe dire Telecom, servono a promuovere il mercato, se l'Autorità ci obbligasse ad aumentarle, le aumenterebbero anche gli altri provider e ne risentirebbero i consumatori. In altri termini, TI potrebbe tentare di ribaltare sui concorrenti, sul piano dell'immagine, l'accusa di frenare lo sviluppo del mercato.

La realtà è diversa. Per promuovere il mercato ci sono strade più efficaci e meno... dolorose. Negli USA, per esempio, l'accesso per le scuole è considerato alla stregua del servizio universale, ma viene svolto dal fornitore di servizi che offre le condizioni migliori (quindi nel rispetto della concorrenza) e con la compensazione dell'eventuale perdita attraverso i fondi del servizio universale. Invece l'attuale situazione italiana danneggia i consumatori, che a fronte di tariffe di accesso più basse hanno costi di connessione molto più alti. Senza considerare che con le offerte a prezzi stracciati, e sfruttando i vantaggi commerciali che derivano dalla sua posizione nei mercati collegati, Telecom Italia sta raccogliendo circa il 75 per cento dei nuovi abbonati e quindi costruendo un vero e proprio monopolio. Potrebbe quindi, nel prossimo futuro, decidere anche quali servizi agevolare e quali ostacolare: per esempio, potrebbe rendere impossibile la telefonia vocale via Internet (voice over IP).

Marco Barbuti, presidente dell'AIIP, descrive molto bene la situazione nell'intervista che pubblichiamo in questo stesso numero e le prospettive che si potrebbero aprire nel momento in cui Telecom Italia fosse costretta ad abbandonare le pratiche anticoncorrenziali. Se i provider fossero messi in grado di operare a condizioni eque, con una sensibile riduzione dei costi per i circuiti affittati e con prospettive commerciali di lungo respiro, i prezzi degli abbonamenti potrebbero assestarsi sui valori medi tipici degli altri mercati, assicurando nello stesso tempo servizi migliori. Perché oggi la situazione di svantaggio in cui si trovano i fornitori di accesso, con costi spropositati che non possono essere riversati sui prezzi, e quindi con l'impossibilità di investire le cifre che sarebbero necessarie per lo sviluppo delle reti, frena in misura notevole il progresso di Internet in Italia.

L'apertura dell'istruttoria da parte dell'Antitrust dimostra che il problema esiste, che le richieste degli operatori non sono campate in aria. Allora si dovrebbero trarre le ovvie conseguenze e affrontare subito le questioni più importanti, o almeno quelle di più rapida soluzione, come i prezzi dei circuiti affittati. Per questo occorrono un'azione politica e una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e del Governo. Sarebbe opportuna anche un'iniziativa dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che inizia in questi giorni la sua attività.

In ogni caso l'apertura del procedimento antitrust per il mercato degli accessi a Internet segna un punto di non ritorno nello sviluppo della Rete in Italia. O i provider la spuntano, e allora si potranno creare le condizioni per la corretta espansione del mercato, o la spunta Telecom. E in questo caso, uno a uno, i fornitori indipendenti saranno costretti a chiudere, a cambiare attività, o ad accontentarsi di mercati "di nicchia". Il mercato consumer, quello più importante per i suoi effetti sociali ed economici, resterà nelle mani di un monopolista. Con le conseguenze che è troppo facile immaginare.