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 Telecomunicazioni

Novità importanti, ma restano molti problemi
di Manlio Cammarata - 03.11.97

Una data da ricordare

Il 31 ottobre 1997 resterà probabilmente come una data da ricordare nello sviluppo della società dell'informazione in Italia. In un solo giorno si sono verificati quattro fatti importanti: il varo definitivo del regolamento sul documento informatico e la firma digitale, la presentazione del provvedimento ministeriale sulle tariffe agevolate per l'accesso a Internet, la firma dell'accordo sulla "piattaforma digitale unica" per i servizi multimediali e la prima conferenza europea dei fornitori di Internet.
Evidentemente la coincidenza è casuale, ma non più di tanto. Non si tratta di fatti isolati, ma dei primi frutti di uno sviluppo partito in Italia all'inizio dell'anno e che prima della fine dell'anno dovrebbe concludere la sua fase preliminare.
Il quadro generale vede al primo posto la riforma del sistema della comunicazione e dell'informazione, con la prima "legge Maccanico" e il DPR n. 318 del 19 settembre scorso; il progetto sarà completato con l'entrata in funzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (il presidente dovrebbe essere nominato a giorni) e con l'approvazione della seconda "legge Maccanico", che dovrebbe ridisegnare il sistema dell'informazione televisiva pubblica.
Le altre novità sono parti non secondarie di questo quadro. L'accordo sulla piattaforma digitale unica è il punto di partenza per facilitare l'accesso dei cittadini ai nuovi media e le tariffe agevolate per l'accesso a Internet vanno nella stessa direzione. Le norme sul documento informatico e la firma digitale (sulle quali abbiamo avviato più di un anno fa una
discussione ricca di spunti), forniscono strumenti utilissimi per sfruttare a fondo i vantaggi delle reti telematiche, e si deve sottolineare il fatto che il progetto formulato dall'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione mette l'Italia in un posizione di avanguardia nei confronti degli altri paesi industrializzati.
Infine gli argomenti discussi nella conferenza di Napoli aiutano a mettere a fuoco i problemi specifici di Internet, sia per quanto riguarda le politiche di sviluppo della Rete, sia sotto l'aspetto del contesto normativo.
A questo proposito manca ancora un provvedimento essenziale: il decreto legislativo previsto dalla
legge-delega 676/96 sulla tutela dei dati personali nelle attività telematiche, per il quale sembra che si dovranno attendere ancora molti mesi. Attesa giustificata dalla delicatezza e dalla complessità della materia, ma che non si concilia con la rapidissima espansione del settore in Italia e con la conseguente necessità di fornire agli operatori un quadro normativo stabile in cui adottare il sempre più urgente codice di autoregolamentazione.

Fin qui l'aspetto, per così dire"quantitativo", delle novità di questo periodo. Ma si impone una riflessione anche sull'aspetto "qualitativo". E' necessario verificare se tutte queste innovazioni siano realmente efficaci per risolvere in tempi ragionevoli i problemi dello sviluppo della società dell'informazione in Italia, o se non aprano nuovi interrogativi mentre cercano di rispondere ai vecchi.
Cerchiamo di capire, in estrema sintesi, come stanno le cose, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo di Internet.

L'autoregolamentazione nella conferenza degli Internet provider

La conferenza dell'EuroISPA (Associazione degli Internet provider europei), che si è svolta a Napoli lo scorso 31 ottobre, aveva all'ordine del giorno due temi: "Quali politiche per lo sviluppo di Internet in Italia e in Europa?" e "Regolamentazione e autoregolamentazione di Internet".
Sul primo punto sono state fornite soprattutto cifre significative (in qualche caso discordanti) per sottolineare il forte ritardo dello sviluppo di Internet nel nostro paese, che tuttavia sembra aver preso la rincorsa per raggiungere gli altri. Tra i motivi del divario c'è anche l'aspetto dei costi, sia dal lato degli utenti, sia da quello dei fornitori di accessi.
Il provvedimento tariffario del Ministero delle comunicazioni (del quale parliamo più avanti) costituisce senza dubbio una prima, parziale risposta. Ma il quadro normativo e regolamentare è almeno altrettanto importante, e su questo punto dalla conferenza sono emerse indicazioni molto interessanti, ma anche aspetti contraddittori, in particolare a livello europeo.

Va tenuto presente che la regolamentazione di Internet è un argomento molto discusso in ambito comunitario, soprattutto per l'aspetto dei contenuti che le autorità di Bruxelles si ostinano a comprendere nella definizione di "illegali e nocivi" (si vedano, a questo proposito Tra tutela della privacy e selezione dei contenuti e la discussione sull'autoregolamentazione di Internet).
L'imminente risoluzione comunitaria (accessibile sul sito del Legal Advisory Board in una
versione non definitiva) accoglie in buona parte l'orientamento più diffuso, che vuole i fornitori di accesso non responsabili per i contenuti critici accessibili dai propri sistemi, ma non fa chiarezza sulle procedure di selezione dei contenuti stessi (si veda anche la relazione del 20 marzo 1997 della Commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni).
Responsabilità dei provider e controllo dei contenuti sono due aspetti dello stesso problema. Sul primo punto sembrano ormai definitivamente accettati i principi della non responsabilità dei fornitori di accessi e della necessità di identificazione degli utenti, pur nella forma del cosidddetto "anonimato protetto" (su questo argomento è stata particolarmente interessante, tra le altre, la relazione di Giovanni Buttarelli, segretario generale del Garante per la protezione dei dati personali). Ed è emersa con chiarezza anche l'importanza di prevedere nel futuro codice di autoregolamentazione una "catena informativa" sulle responsabilità per l'immissione dei contenuti e la loro selezione, dai fornitori agli abbonati e da questi agli utilizzatori finali.
Ma sul secondo aspetto, quello della selezione dei contenuti, non c'è ancora chiarezza e la conferenza di Napoli è stata accompagnata da accese polemiche tra diverse associazioni di utenti, in particolare tra Città invisibile, ASCII e ALCEI.

Cerchiamo di chiarire i termini della questione. L'obiettivo è in primo luogo la protezione dei soggetti deboli dai contenuti critici della rete. In particolare, secondo la visione europea, la tutela dei minori nei riguardi della pedofilia e delle donne nei confronti dello sfruttamento della prostituzione. Questa protezione si deve esercitare senza ledere le libertà fondamentali di espressione e di comunicazione, e quindi con strumenti di autoregolamentazione e di selezione dei contenuti.
Il problema sorge nel momento in cui si cerca di definire questi strumenti. L'orientamento che sembra prevalere in ambito comunitario è quello della classificazione all'origine, attraverso forme di "etichettatura" dei contenuti che attivino appositi software di blocco a livello dell'utente o anche del fornitore di accesso (in particolare il sistema
PICS) . C'è una seconda soluzione, che consiste nel blocco, anche questo attuabile sia da parte dell'utente, sia da parte del provider, sulla base di "liste nere" di siti o di gruppi di discussione (come Cyber Patrol). Ambedue i sistemi prevedono l'attiva partecipazione delle associazioni degli utenti per la definizione delle etichette o delle liste, ma l'Unione europea e qualche associazione sostengono l'introduzione dei sistemi di "etichettatura" dei contenuti.

Ma gli stessi documenti comunitari riconoscono le difficoltà di applicazione di questi mezzi. Infatti affinché la classificazione dei contenuti alla fonte possa avere qualche efficacia, sarebbe necessario che tutti i contenuti della rete fossero contrassegnati, anche quelli (forse sono miliardi) già presenti. E siccome ogni associazione o gruppo di interesse, ogni autorità politica o religiosa, ogni organizzazione educativa o umanitaria sarebbero legittimati a proporre i loro criteri di rating, il numero di contrassegni che i fornitori di contenuti dovrebbero apporre sui loro documenti sarebbe sterminato.
Non è praticabile neanche la proposta contenuta nella relazione del 20 marzo volta all'introduzione di una sorta di "marchio di qualità" per i fornitori di accesso, relativo alla selezione dei contenuti. In questo modo la responsabilità dei provider, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra.
Invece, con la definizione di "liste nere" da applicare alla fine della catena informativa, cioè da parte dell'utente, ciascuno potrebbe adottare il criterio di selezione che preferisce, senza imporre obblighi insostenibili (una forma garbata di censura preventiva) ai fornitori di accessi e di informazioni.
In pratica, un genitore italiano potrebbe scegliere di adottare la lista consigliata, per ipotesi, da un'associazione come Telefono azzurro, dalla chiesa cattolica o addirittura dalla parrocchia, o anche tutte le liste insieme (facciamo finta di ignorare che i ragazzi si rivelerebbero subito abilissimi nell'aggirare le protezioni). E' evidente che il sistema è applicabile non solo per la tutela dei soggetti deboli, ma per qualsiasi organizzazione che voglia limitare, nel proprio ambito, le possibilità di accesso ai contenuti di Internet, per scopi morali, politici, religiosi, o anche solo di efficienza aziendale.

Il punto essenziale è però un'altro. E' stato sottolineato in diversi interventi nella conferenza dei provider europei ed è ben presente anche nella risoluzione comunitaria: la tutela dei minori spetta in primo luogo ai genitori, che devono essere vicini ai figli e guidarli nell'utilizzo della Rete. Si critica il fatto che oggi in troppi casi il mezzo che esercita maggiore influenza sulla formazione dei ragazzi è la televisione, domani potrebbe essere Internet. Occorre stimolare la consapevolezza degli utenti, perché non possiamo sperare che un chip o un software possano attenuare gli effetti negativi degli educatori elettronici.

Le agevolazioni per l'accesso a Internet

Le "tariffe agevolate per l'accesso a Internet" erano una vecchia promessa del Governo, fatta durante la campagna elettorale del '96 e ora finalmente mantenuta. Sui contenuti specifici del provvedimento (non ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, si conosce solo un comunicato stampa) si veda l'articolo di Paolo Nuti. Qui dobbiamo soffermarci su alcuni aspetti di ordine generale.
In prima battuta, e prima di un'accurata analisi delle cifre, il provvedimento deve essere valutato in senso positivo, perché indica che una reale presa di coscienza da parte del Governo dell'importanza sociale dell'uso di Internet e quindi della necessità di superare le resistenze di Telecom Italia a concedere qualsiasi forma di facilitazione per l'accesso alla Rete. Ancora nella conferenza di Napoli sono state presentate tabelle che, secondo il nostro gestore, dimostrerebbero che in Italia le telefonate costano meno che altrove, accolte con brusii increduli dalla platea e apertamente contestate da altri relatori. Le tabelle di raffronto delle tariffe di accesso a Internet dopo l'entrata in vigore degli sconti hanno suscitato commenti positivi, anche se un calcolo più attento dimostra che le agevolazioni non sono così significative come sembra a prima vista.

Ma non è questo il punto da discutere. Le nuove tariffe per l'accesso a Internet agevoleranno senza dubbio vaste fasce di utenti e contribuiranno alla sua diffusione. Ma non determineranno, in tempi ragionevoli, una parità tra tutti i cittadini nel diritto di accesso alle informazioni.
E' un tema che abbiamo affrontato in più occasioni, ma che non sembra ancora entrato nella consapevolezza del Governo e anche di qualche operatore. Se è vero che oggi il "bene informazione" costituisce uno dei beni fondamentali di una società che, nell'insieme, ha soddisfatto i suoi bisogni primari, allora è necessario che questo bene venga messo a disposizione di tutti a pari condizioni. In caso contrario si accentuerà la già evidente tendenza alla divisione della società in due classi, quelle degli info-ricchi e degli info-poveri (vedi anche
Accesso a Internet e diritto all'informazione).
Si aggiunga che le agevolazioni riguardano solo le utenze domestiche, le scuole e organizzazioni non-profit, ne sono esclusi professionisti e imprese. E se per una grande azienda i costi di collegamento su linea commutata (quando non c'è una dedicata) possono essere trascurabili, per i professionisti e le piccole imprese che non risiedono in un settore telefonico servito da un POP (punto di presenza) di un fornitore di accessi, l'onere del collegamento a Internet può essere molto gravoso.

Ora noi ci troviamo in una situazione che vede favoriti gli utenti di Internet che abitano nei centri in cui è presente almeno un POP. Tutti gli altri devono collegarsi pagando le tariffe interurbane. Gli sconti non eliminano questo divario e la futura riduzione dei settori telefonici (dagli attuali circa 1.400 a meno di 700) non basterà a rendere accessibile Internet a tariffa urbana a tutta la popolazione. Perché nei settori meno interessanti dal punto di vista economico i POP saranno istituiti più tardi o non saranno istituiti affatto, determinando un evidente svantaggio proprio per le popolazioni meno favorite.
E' necessario quindi porre con forza il tema dell'accesso a Internet come espressione del "diritto all'informazione e quindi come parte del "servizio universale". Su questo punto è in corso da tempo un ricco dibattito negli USA, mentre l'Unione europea da quest'orecchio non sente e si limita a classificare come servizio universale un modesto insieme di condizioni minime per l'uso del telefono (si veda l'
articolo 3 del DPR n. 318 del 19 settembre '97).

Il problema è nella difficoltà di far digerire alle Telecom qualsiasi possibile riduzione immediata dei loro utili. Anzi, c'è da chiedersi se gli sconti stessi non si rivelino alla fine un vantaggio per chi detiene ancora posizioni di monopolio o di forte dominio del mercato, come ha osservato, nel suo applauditissimo intervento alla conferenza di Napoli, la commissaria europea Emma Bonino.
Che ha sollevato un altro problema importante: quello della tutela degli utenti di Internet anche sotto l'aspetto della qualità del servizio. Ce ne occuperemo molto presto su queste pagine.

L'accordo sulla piattaforma digitale

Ed eccoci all'ultimo annuncio del 31 ottobre: è stato raggiunto l'accordo per la "piattaforma digitale unica" per la multimedialità in Italia, tra Canal Plus, Telecom Italia, Rai, Mediaset e Cecchi Gori, con la previsione dell'ingresso di altri soggetti.
La stampa di informazione ha dedicato molto spazio a questo tema, ma probabilmente non è riuscita a spiegarlo, e non solo per la complessità dei contenuti tecnici, ma anche perché nella questione ci sono aspetti realmente incomprensibili anche a chi cerca, per professione, di seguire gli sviluppi della materia. Cerchiamo di mettere a fuoco la questione.

Con la definizione in burocratese di "piattaforma digitale" si indicano di fatto alcune caratteristiche tecniche dell'apparecchio che serve a collegare alle reti di telecomunicazioni (satellitari, via etere e via cavo) il televisore casalingo (o l'imminente "telecomputer). E' evidente che l'adozione di uno standard unico per il set-top box facilita moltissimo la diffusione dei servizi, perché gli abbonati devono acquistare o noleggiare - e imparare a usare - un solo marchingegno per tutti i fornitori, sia per i servizi gratuiti, sia per quelli a pagamento (pay-per-view, video-on-demand, near-video-on-demand, povero utente!).
Ora si deve considerare che la standardizzazione a livello europeo è in buona parte già realizzata da tempo, con le specifiche DVB (Digital Video Broadcast), che coprono quasi tutto il processo di trasferimento dei segnali. Resta fuori dallo standard generale la parte relativa alla decodifica dei segnali "criptati", cioè dei segnali per i servizi a pagamento, per la quale esistono due soluzioni incompatibili tra loro, una di origine tedesca e una di origine francese, rispettivamente chiamate IRDETO e SECA. Sono protette da brevetti e quindi fonte di ingenti introiti una volta che il sistema sarà diffuso e anche oggetto di complicati bilanciamenti di interessi tra i diversi protagonisti dell'accordo.

A chi considera la questione da punto di vista tecnico, l'adozione di uno standard comune tra diversi fornitori si risolve con accordi che prevedano il pagamento di adeguate royalties a chi detiene i diritti dello standard prescelto, punto e basta. Invece sono stati necessari mesi e mesi di trattative, di polemiche e di interventi politici, per giungere alla costituzione di un unico organismo, che di fatto diventa il gestore unico dei servizi multimediali in Italia. E' come se si fosse dovuta costituire una sola società per diffondere l'utilizzo del sistema di videoregistrazione domestica VHS, o se si fosse resa obbligatoria una presenza della Philips in tutte le società che utilizzano gli standard della musicassetta.

Di tutta la faccenda sembra chiaro un solo aspetto: tutta la gestione degli uplink, cioè della trasmissione dei programmi da terra verso i satelliti, sarà affidata a Stream, cioè a una società controllata da Telecom Italia, anche se con la presenza degli altri partecipanti all'accordo sulla "piattaforma". Quando si parla di posizioni dominanti!

Una riflessione sull'articolo di repubblica.it del 31 ottobre

L'edizione telematica del quotidiano la Repubblica ha dato conto delle polemiche sulla cosiddetta "autocensura in rete", sorte in occasione della conferenza di Napoli, riportando anche alcune mie osservazioni colte al volo da una simpatica collega. Purtroppo la confusione del momento e l'urgenza di trasmettere il pezzo hanno giocato un brutto tiro all'intervistatrice, che mi ha in parte attribuito affermazioni fatte da altri e che non condivido. Imbarazzante.
Ho inviato allora una e-mail, con la richiesta di una precisazione. Ecco la risposta: "abbiamo preferito correggere il testo, eliminando la versione scorretta, piuttosto che pubblicare la tua lettera di smentita: sarebbe stato ben strano lasciare il testo sbagliato, con la rettifica a fianco".

Giusto, "digitalmente corretto". Una notizia inesatta stampata sulla carta resta inesatta per sempre, la rettifica si pubblica su un numero successivo. Dopo un certo tempo chi trova (per caso o dopo una ricerca) l'informazione sbagliata la prende per buona, può non sapere che poi è stata corretta. La comunicazione digitale ci fornisce invece la possibilità di intervenire in qualsiasi momento per dare sempre l'informazione esatta e, eventualmente, aggiornata.
Anche il testo che state leggendo è stato cambiato dopo la prima pubblicazione. All'origine era una precisazione - più lunga e articolata di quella inviata alla Repubblica - sulle affermazioni che mi erano state attribuite. Ora, dopo la correzione dell'articolo, quelle note non servono più.

Ma tutto questo impone una riflessione: così come è stata rettificata un'informazione inesatta, sulla Rete è possibile alterare qualsiasi notizia, confondere il vero e il falso, scambiare il bianco col nero. Mi accorgo ora che non avevo salvato la prima versione dell'articolo di repubblica.it. Chissà se un altro lo ha fatto, se un giorno (per ipotesi, ammesso che la cosa possa interessare qualcuno a distanza di tempo) possa venir fuori la stranezza di due affermazioni opposte, fatte dalla stessa persona in due versioni dello stesso articolo.

Da questa banale vicenda qualcuno potrà concludere che l'informazione telematica è inaffidabile. Ma anche quella tradizionale, come si è visto, può ingannare: a chi, leggendo due battute di un'intervista colta al volo, può venire in mente di consultare i numeri successivi dello stesso giornale per verificare se per caso siano state corrette dall'interessato? Tutto sommato, almeno in questo caso, l'informazione digitale si rivela più efficace per diffondere il vero. (Manlio Cammarata)