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Le relazioni - 4

Appalti pubblici a oggetto informatico
Le incertezze del legislatore, gli imbarazzi delle amministrazioni

di Carmelo Giurdanella* - 16.05.05
  

Non è di certo un mistero, e non solo tra gli addetti ai lavori, che gli appalti pubblici ad oggetto informatico vivono oggi un momento di crescita impressionante. Non c'è amministrazione, centrale o periferica, nazionale o locale, territoriale o esponenziale, che non sia, volente o nolente, attenta al processo di informatizzazione in atto in Italia.

Non c'è amministrazione che non predisponga bandi di gara per l'acquisizione di beni e servizi ICT. Ma con quale consapevolezza? Non è facile, infatti, individuare con precisione quali siano le proprie esigenze "informatiche", e non è facile poi trasporle in un capitolato di gara: quale la normativa applicabile? Quali le regole da rispettare? Quali, sempre che ci siano, i parametri tecnici a cui adeguarsi? Una rapida rassegna delle problematiche in cui le PA si imbattono confermerà che le risposte a queste domande sono ancora frammentarie, poche in testi normativi, pochissime in testi vigenti.

Innanzi tutto, come prima accennato, un primo problema è costituito dall'individuazione preventiva delle soluzioni tecniche da adottare in relazione alle esigenze dell'amministrazione, che spesso si risolve in una inadeguata formulazione dei capitolati. Questa, inoltre, è la ragione per cui è frequente nella prassi il ricorso al modello di scelta del contraente dell'appalto-concorso, che tuttavia, come vedremo, pone alcuni problemi di coordinamento normativo.

Il CNIPA predispone già da tempo specifici contratti-quadro, offrendo pertanto alle amministrazioni la possibilità di una informatizzazione "indolore", senza alcuna procedura di gara, e con importanti garanzie sui livelli di qualità ed affidabilità delle prestazioni (c.d. outsourcing). Si pensi, ad esempio, al recente contratto-quadro in materia di protocollo informatico in modalità ASP, che consente alle PA, ormai obbligate alla tenuta del protocollo informatico, di "esternalizzare" la realizzazione e la gestione del sistema (vedi E. De Giovanni, Pubblica Amministrazione e ICT: le iniziative del Ministro per l'Innovazione e le Tecnologie, su Telejus). Tuttavia, ai detti vantaggi si contrappone l'inevitabile rinuncia alla personalizzazione della fornitura informatica, rinuncia che sovente, per ragioni sia economiche che strutturali, non è pertanto attuabile.

La legge nulla statuisce in proposito, almeno per il momento.
La nuova direttiva appalti n. 2004/18/CE, in attesa del suo recepimento in Italia, sul punto potrà dire qualcosa di nuovo introducendo il c.d. dialogo competitivo (art. 11, lett. c), un istituto che consente alla stazione appaltante di intraprendere con le imprese concorrenti un dialogo, antecedente alla gara, volto a predisporre insieme le soluzioni tecniche, finanziarie ed economiche (C. Giurdanella e E. Guarnaccia, La consacrazione degli appalti pubblici elettronici nella direttiva 2004/18/CE, su Telejus).

Il tanto discusso Codice dell'amministrazione digitale dedica l'intero Titolo V alle modalità di acquisizione di software e hardware da parte delle pubbliche amministrazioni, occupandosi anche della predisposizione del progetto, e prevedendo per esso, all'art. 67, la possibilità per le amministrazioni di avvalersi del concorso di idee disciplinato dal regolamento attuativo della legge quadro in materia di lavori pubblici (vedi Amministrazione digitale: leggiamo il Codice). Tuttavia, null'altro viene detto in proposito. E francamente ci sembra poco.

Alla questione della predisposizione dei requisiti tecnici, si affianca poi il problema - da affrontare contestualmente - di quale veste giuridica dare al bando. Costruire l'appalto come fornitura o come servizio non è la stessa cosa in quanto, almeno per adesso, la normativa applicabile è differente. Molte tra tali gare d'appalto, nella prassi, vengono considerate forniture, e ciò in quanto gli eventuali servizi da esse disciplinati (implementazione della piattaforma, manutenzione, formazione dei dipendenti) sono sempre considerati accessori all'oggetto principale della gara, la fornitura hardware e/o software appunto, che determina la normativa da applicare.
Tali considerazioni, però, contrastano con quanto detto prima riguardo ai meccanismi di scelta del contraente ritenuti oggi più adeguati ai contratti in parola: l'appalto-concorso ed il concorso di idee sono, infatti, strumenti previsti e disciplinati rispettivamente dalla normativa sugli appalti di servizi e di lavori, e pertanto in teoria non adottabili in un appalto di fornitura.

Si presentano poi problemi specifici, relativi in particolare ai parametri da seguire per la predeterminazione di prezzo e prestazioni degli strumenti di ICT.
Quanto alle caratteristiche tecniche ed alle prestazioni, nella prassi è frequente l'indicazione di specifiche marche, in particolare di CPU. Sono prassi lesive della concorrenza, che in Europa si tenta di fronteggiare su più livelli: sul piano politico, l'Unione europea nel 2004 ha redarguito alcuni paesi, tra cui Italia, Germania, Austria, Olanda, Francia e Finlandia, i cui bandi di gara sovente presentano tali indicazioni specifiche; sul piano legislativo, la direttiva 2004/18/CE all'art. 29 impone alle amministrazioni aggiudicatici di favorire la concorrenza tra una pluralità di soluzioni alternative equivalenti a quella prospettata.

In Italia, tuttavia, le indicazioni non sono così chiare. Vero è che il CNIPA di recente ha affrontato il problema con le circolari n. 44 del 5 ottobre 2004, e n. 45 del 27 dicembre 2004, pronunciandosi sull'opportunità di prevedere nei bandi e capitolati di appalti pubblici per l'acquisizione di PC, specifici standard prestazionali di riferimento, indipendenti da predefinite caratteristiche tecniche (vedi Amministrazione digitale: leggiamo il Codice - 5 http://www.interlex.it/pa/giurguar5.htm). Ma la giurisprudenza amministrativa non è uniforme sul punto. Può farsi riferimento, da un lato, agli annullamenti sanciti dal TAR Umbria, 23 ottobre 2003, n. 4 (per un commento, si consenta di rinviare a C. Giurdanella e E. Guarnaccia, L'appalto pubblico ad oggetto informatico: CPU e marchi secondo la prima giurisprudenza amministrativa, su Telejus), e dal TAR Liguria, sez. II, 13 dicembre 2004, n. 1708, che ribadiscono quanto sancito dall'art. 8, comma 6, Dlgs. n. 358/1992, cioè il divieto di prevedere specifiche tecniche che facciano menzione espressa di prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza.

Dall'altro lato, però, si è anche ritenuto che le indicazioni contenute nel capitolato non siano vincolanti per la commissione di gara, che può discostarsene ove ritenga tecnicamente equivalente o superiore un'offerta basata su una soluzione tecnica diversa da quella prospettata nel capitolato medesimo. In particolare, Cons. Stato, sez. V, 18 dicembre 2002, n. 7050, ha ammesso tali richieste specifiche per le ipotesi in cui, in considerazione dell'oggetto dell'appalto, risultino necessarie per garantire un alto livello di affidabilità della fornitura, nonché quando le amministrazioni aggiudicatici non possano fornire una descrizione dell'oggetto del contratto mediante specifiche sufficientemente precise e comprensibili da parte di tutti gli interessati. Ora, tali oscillazioni giurisprudenziali non possono di certo tranquillizzare le amministrazioni appaltanti.

Altri "paletti", inoltre, vengono imposti alle stazioni appaltanti dall'art. 26, Legge 23 dicembre 1999, n. 488, in particolare per quanto concerne la predisposizione dei prezzi di beni e servizi ICT, attribuendo un ruolo di riferimento alla Consip Spa.
Ed infatti, malgrado l'incessante evoluzione normativa che ha continuamente modificato natura e finalità del sistema Consip, con il DL 12 luglio 2004, n. 168, convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2004, n. 191 - l'ultimo provvedimento normativo che, in ordine di tempo, è intervenuto in materia - viene attribuito alle convenzioni stipulate dalla Consip il ruolo di stringente parametro, economico e qualitativo, per l'acquisto di beni e servizi comparabili a quelli oggetto delle convenzioni stesse.
Inoltre, al mancato rispetto dell'obbligo di utilizzare i parametri di prezzo-qualità contenuti nelle convenzioni - obbligo che peraltro grava su tutte le amministrazioni, siano o no statali - vengono connesse gravose responsabilità a carico degli amministratori preposti alla funzione acquisti.

D'altronde questo forte ruolo della Consip non può meravigliare, considerando, da un lato, la particolare complessità dei beni e servizi informatici in questione, e dall'altro, le genetiche competenze in materia informatica della società de qua. Tale ruolo, non a caso, è stato di recente riconosciuto dalla legge finanziaria 2005 anche al di fuori degli acquisti pubblici (vedi l'art. 208: "i dipendenti delle pubbliche amministrazioni possono acquistare un personal computer usufruendo di una riduzione di costo ottenuta in esito ad una apposita selezione di produttori o distributori operanti nel settore informatico, esperita, previa apposita indagine di mercato, dalla CONSIP Spa").

In conclusione, ci sembra che i dubbi e le perplessità siano ancora troppi, soprattutto se si considera che stiamo ragionando di un settore in fortissima espansione, che rischia così di causare l'ennesima proliferazione di ricorsi alla giustizia amministrativa.
E' parso senza dubbio apprezzabile lo sforzo del CNIPA, sfociato nelle "Linee guida in materia di appalti pubblici di forniture ICT", lavoro che, tuttavia, oltre all'eccessiva imponenza (si tratta, infatti, di sei manuali distinti, di circa 150 pagine l'uno: vedi sul sito web del CNIPA), ha il grosso limite di non avere forza di legge.

Probabilmente è arrivato il momento di fissare alcune regole in specifiche norme, magari regolamentari, attuative della disciplina degli appalti pubblici nel settore dell'ICT. Che siano poche, queste regole, ma chiare e tranquillizzanti.
 

 * Avvocato amministrativista in Catania - Direttore del DAE (www.cesda.it/dae)

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