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Pubblica amministrazione

Amministrazione digitale: leggiamo il Codice - 5

di Carmelo Giurdanella e Elio Guarnaccia* - 31.01.05

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Acquisizione dei sistemi informatici nelle pubbliche amministrazioni: concorso di idee “informatiche”, appalti ad oggetto informatico, riuso

Il Titolo V dello schema di codice è interamente dedicato alle modalità di acquisizione di software e hardware da parte delle pubbliche amministrazioni. Si tratta di un tema di enorme importanza in quanto riguarda già oggi ogni pubblica amministrazione italiana, centrale o periferica, statale o regionale.

Innanzi tutto, il codice si preoccupa di indicare alle PA la strada giuridica da percorrere nell’ipotesi in cui voglia realizzare un sistema ad hoc per le proprie esigenze. L’art. 68, a tal proposito, prevede la possibilità di avvalersi del concorso di idee di cui all’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, il regolamento attuativo della L. 109/94, legge quadro in materia di lavori pubblici. In altri termini un particolarissimo bando di concorso, avente ad oggetto progetti ad alto contenuto di innovazione tecnologica.

Una volta acquisita l’idea “informatica”, le amministrazioni, previo parere tecnico di congruità del CNIPA, potranno porre essa stessa a base di gara, in una nuova e diversa procedura di appalto, questa volta un vero e proprio appalto ad oggetto informatico, finalizzato all’acquisizione del bene o del servizio informatico che incarni la proposta ideativa stessa.

Di particolare interesse è l’espresso richiamo di un punto nodale della disciplina tradizionale del concorso di idee: il codice infatti prevede che anche nella procedura in esame, finalizzata allo sviluppo di sistemi informatici di alto livello tecnologico, il soggetto che abbia vinto il concorso di idee, sebbene non acquisisca per ciò solo l'automatico e vincolante diritto alla realizzazione del progetto (TAR Campania, sez. I, 16 ottobre 2003, n. 12812), dovrà essere ammesso a partecipare all’appalto ad oggetto informatico (art. 57, comma 6, DPR. 554/99). In questo contesto tale norma assume nuovi significati, in quanto pare difficile pensare che potrà aggiudicarsi l’appalto una società diversa da quella vincitrice del concorso di idee, attesi da un lato l’alto contenuto tecnologico del progetto da essa realizzato, dall’altro la forte personalizzazione del sistema hardware e software in ossequio alle esigenze dell’ente appaltante, già delineatasi nella proposta ideativa vincente.

Il codice, al successivo art. 69, si riferisce nuovamente agli appalti pubblici ad oggetto informatico, ma lo fa ancora una volta in maniera indiretta ed incidentale. Pone l’accento sulla necessità delle pubbliche amministrazioni che acquisiscono programmi informatici, di svolgere una preventiva valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le soluzioni di acquisizione disponibili sul mercato, di cui fornisce una breve elencazione: sviluppo ad ad hoc, secondo le proprie esigenze ed indicazioni, ed ai sensi della procedura precedentemente delineata; riuso di programmi informatici già utilizzati da altre amministrazioni; acquisto di programmi “pacchettizzati”, da utilizzare così come proposti dalle software house.

Inoltre, con riguardo alla tipologia di programma per elaboratore oggetto di tali appalti, se proprietario o a codice sorgente aperto, lo schema di codice mantiene ovviamente la posizione neutrale già assunta dal ministro Stanca con la direttiva del 19 dicembre 2003, “Sviluppo ed utilizzazione dei programmi informatici da parte delle pubbliche amministrazioni”.

Tuttavia, al di là di tali veloci riferimenti all’oggetto degli appalti di informatica pubblica, null’altro viene detto in proposito. Ci sembra poco, anche per una norma di principio quale vuole essere questo codice. Ci sembra poco soprattutto in relazione agli inequivocabili segnali di disagio relativi ad alcune prassi lesive della regole sulla concorrenza, ormai invalse in questo nascente settore dei pubblici appalti.
Da un lato l'Unione europea, che a seguito di una mirata indagine, nel corso del 2004 ha richiamato alcuni paesi, tra cui Italia, Germania, Austria, Olanda, Francia e Finlandia, i cui bandi di gara ad oggetto informatico favorirebbero l'acquisizione di PC dotati di specifiche marche di chip.

Dall’altro, in Italia, non sono più casi isolati le pronunce della giurisprudenza amministrativa che denunciano e dichiarano illegittimi i bandi in cui vengono espressamente richiesti processori di una determinata fabbricazione. Si veda, tra le più rilevanti, il TAR Umbria, 23 ottobre 2003, n. 4 (per un commento, si consenta di rinviare a C. Giurdanella e E. Guarnaccia, L’appalto pubblico ad oggetto informatico: CPU e marchi secondo la prima giurisprudenza amministrativa, su Telejus), e la recentissima decisione del TAR Liguria, sez. II, 13 dicembre 2004, n. 1708.

Che tali problematiche non siano di poco conto è dimostrato dal fatto che anche il CNIPA si è recentemente mosso per fronteggiare in qualche modo le suddette prassi. Infatti, con le circolari n. 44 del 5 ottobre 2004, e n. 45 del 27 dicembre 2004, l’ente presieduto dal dott. Livio Zoffoli si è pronunciato sull’opportunità di prevedere, nei bandi e capitolati di appalti pubblici per l'acquisizione di PC, oltre ai necessari requisiti funzionali e qualitativi, dei cosiddetti benchmark prestazionali, con i quali poter misurare in modo più obbiettivo le prestazioni di desktop, notebook e server, indipendentemente dalle loro caratteristiche tecniche.

Ora, alla luce di questo quadro tutt’altro che tranquillizzante, forse il codice avrebbe potuto dire qualcosa di più. In particolare avrebbe potuto prevedere a carico delle amministrazioni appaltanti qualche adempimento ulteriore e più stringente rispetto a quelli riconducibili ai generali principi in materia di appalti pubblici.

La Sezione II del Capo V è dedicata ad uno degli obiettivi primari del Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie: il riuso dei programmi informatici.
L’art. 70, nel riprendere quanto già sancito in precedenti norme di rango primario (art. 25, L. 340/2000 - legge di semplificazione per il 1999) ed in norme regolamentari (la suddetta direttiva ministeriale del 19 dicembre 2003, “Sviluppo ed utilizzazione dei programmi informatici da parte delle pubbliche amministrazioni”), prevede che le pubbliche amministrazioni titolari di programmi applicativi abbiano l’obbligo di darli in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni che li richiedono e che intendano adattarli alle proprie esigenze.

A tal fine, peraltro, vengono fissate alcune prescrizioni per quelle amministrazioni che, invece di avvalersi del riuso, vogliano sviluppare o acquisire programmi “di prima mano”: in primis, i contratti di acquisto dovranno contenere clausole che garantiscano la proprietà dei programmi; inoltre, per i programmi appositamente sviluppati per conto e a spese dell’amministrazione, essi dovranno essere facilmente portabili su altre piattaforme, ed i fornitori dovranno essere vincolati a fornire ad altre amministrazioni consulenza e servizi finalizzati al riuso. In altri termini, la norma prevede una serie di clausole finalizzate alla riutilizzabilità del programma che si intende acquisire, la cui mancanza comporterà l’illegittimità del bando.

A tali stringenti prescrizioni si affianca quella più generale e di principio contenuta all’art. 69, comma 2, secondo cui le pubbliche amministrazioni, sia nella predisposizione che nell'acquisizione di programmi informatici, devono adottare soluzioni informatiche che assicurino l'interoperabilità e la cooperazione applicativa.

Ma la vera innovazione è contenuta nell’art. 71. Il software realizzato dalle pubbliche amministrazioni, se ritenuto dal CNIPA idoneo al riuso da parte di altre pubbliche amministrazioni, confluirà in una banca dati all’uopo predisposta, che dovrà essere obbligatoriamente consultata da tutte quelle amministrazioni che intendono acquisire programmi applicativi. Ed infatti, qualora tali amministrazioni decideranno di non utilizzare una della applicazioni contenute nella banca dati, su esse graverà l’obbligo di motivare adeguatamente la decisione.

Che il Governo riconoscesse al riuso un importante ruolo lo si era già compreso. D’altro canto il secondo avviso di e-government è stato pensato dal CNIPA proprio all’insegna del riuso. Il bando di finanziamento “per la presentazione delle offerte di riuso e la realizzazione del catalogo delle soluzioni di e-Government” (in GU n. 253 del 27 ottobre 2004), scaduto, dopo una breve proroga, il 25 gennaio 2005, si rivolgeva agli enti coordinatori dei 134 progetti cofinanziati dal primo avviso, e richiedeva proprio che venissero formulati dei progetti di riuso aventi ad oggetto le applicazioni tecnologiche allora selezionate. A seguito di questo secondo avviso verrà creato il cd. catalogo delle soluzioni di e-government, che presumibilmente coinciderà con la banca dati prevista dall’articolo 71 del Codice, di cui si è già detto.

In conclusione, il riuso può certamente risultare, a lungo termine, uno strumento eccezionale per il perseguimento dei canoni di economicità, efficacia ed efficienza della cosa pubblica, ma la realizzazione nel medio termine dei suoi presupposti può rallentare gravemente l’intero processo di informatizzazione della PA. I fattori di rallentamento oggi prevedibili sembrano essenzialmente due, entrambi legati al rapporto tra Stato ed autonomie locali:

a) l'interoperabilità come percorso obbligato anche per le autonomie locali potrebbe costituire un pesante fardello, sia in termini di costi che di tempo;

b) la necessità di prevedere un nucleo di regole di interoperabilità e cooperazione applicativa uguali per tutti, quindi centralizzate, potrebbe avere conseguenze negative sul processo di evoluzione tecnologica della PA, processo che da sempre ha vissuto i suoi momenti più fecondi grazie ad iniziative localizzate, provenienti “dal basso”. Il precoce esaurimento del sistema delle convenzioni centralizzate gestite da Consip Spa forse non deve essere considerato soltanto uno sfortunato ed isolato precedente.

Con questo quinto contributo si chiude – per il momento – l’analisi delle norme di rilievo pubblicistico dello schema di codice dell’amministrazione digitale. Rimaniamo in attesa della sua entrata in vigore, comunque consapevoli della sua dirompente forza innovativa che, nel bene e nel male, presto condizionerà il modus agendi della pubblica amministrazione italiana.
 

* Avvocati, studio legale Giurdanella, Catania

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