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Firma digitale

Documento informatico e querela di falso: revisione necessaria

di Alfredo Miraglia - 16.09.04

 

Questo articolo è tratto dal saggio "Firma digitale, efficacia probatoria e atto pubblico", che l'autore mette gentilmente a disposizione dei lettori di InterLex (qui in formato rtf compresso, 35,64 kB, completo delle note a pie' di pagina, omesse in questa versione). Si tratta di un interessante ricognizione su un punto molto discutibile della normativa attualmente in vigore, che sarà rivista nell'imminente "Codice delle pubbliche amministrazioni digitali" (vedi Finalmente chiare le norme sull'efficacia probatoria).

Il documento informatico sottoscritto

Al secondo comma dell'art. 10 del DPR 445/00 il legislatore prende in considerazione il documento informatico sottoscritto con firma elettronica. Questa può essere definita come "l'insieme di dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica". Al di là della definizione tecnica, per certi versi complessa, la firma elettronica leggera non è altro che un sistema di identificazione alla base del quale vi è sempre la crittografia asimmetrica, ma manca una terza parte fidata che garantisca sia sulla vigenza della validità della coppia di chiavi, sia l'identità del titolare della stessa. Si accede, quindi, ad un programma di firma, si genera la coppia di chiavi e da questo momento sarà possibile firmare elettronicamente qualsiasi documento informatico. È facile immaginare come tale tipo di firma sia del tutto inefficace a fornire tutte le garanzie necessarie a dare certezza ai documenti informatici. Nonostante le scarse garanzie fornite da questo tipo di firma il legislatore ne ha affermato la capacità di soddisfare il requisito della forma scritta. Una affermazione del genere si discosta totalmente da ciò che il legislatore del 1997 aveva previsto per questa materia. La prima organica regolamentazione della materia, infatti, permetteva, a nostro avviso giustamente, solamente ai documenti informatici sottoscritti con firma digitale, di soddisfare il requisito della forma scritta.

Anche prima che intervenisse la regolamentazione operata dal DPR 513/97 la dottrina, ovviamente, non si opponeva al riconoscimento della validità dei documenti informatici nei casi in cui il legislatore lasciava libera la scelta in merito alla forma. Ma il legislatore del '97 era andato oltre poiché, prevedendo che il documento informatico firmato con firma digitale è equiparato alla scrittura privata (con l'esplicito richiamo alla disciplina contenuta nell'art. 2702 c.c. ad opera dell'art. 5 DPR 513/97) e che i contratti stipulati con strumenti informatici o per via telematica mediante l'uso della firma digitale, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge (art. 11 DPR 513/97), aveva previsto che la forma informatica che rispettasse determinati requisiti era idonea a soddisfare la forma scritta ad substantiam.

La mutazione legislativa operata dal legislatore del DLgs 10/02 è di enorme peso all'interno del quadro normativo di riferimento del documento informatico. Aver stabilito che un documento informatico sottoscritto con firma elettronica leggera assolve al requisito della forma scritta, implica che per tutti gli atti per i quali era richiesta la forma scritta ad substantiam sarà sufficiente l'apposizione di una firma elettronica debole. Tutto ciò è in contrasto con la ratio della normativa codicistica in tema di forma degli atti. Questa infatti è improntata alla duplice esigenza, da un lato, di richiamare l'attenzione del dichiarante sull'importanza dell'atto che compie; dall'altro quella di predisporre una documentazione per dare certezza all'atto che si compie. In mancanza della forma prescritta, l'atto sarà nullo.
La norma del secondo comma stravolge questo sistema dando la possibilità, a un documento sottoscritto con firma elettronica debole di assolvere al requisito della forma scritta, anche quando questa è richiesta ad substantiam. Gli "atti che devono farsi per iscritto" a norma dell'art. 1350 c.c. potrebbero secondo il nuovo assetto normativo, essere fatti attraverso documenti informatici per loro natura insicuri.

A questo punto si deve indagare su quale sia il valore probatorio del documento informatico previsto dal secondo comma dell'art. 10 del DPR 445/00. Visti i presupposti sarebbe naturale pensare che il documento informatico sottoscritto con una firma debole abbia la efficacia probatoria della scrittura privata. Invece, da una parte, si dice che il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e dall'altra, esso, non sarebbe considerato sotto il profilo probatorio come una scrittura privata ma semplicemente rimessa al libero apprezzamento del giudice.

Il documento informatico sottoscritto, sia pure con una firma elettronica debole, è comunque un documento informatico al quale dovrebbe applicarsi il primo comma dell'articolo 10 che espressamente richiama l'art. 2712 del codice civile. A norma di questo articolo il giudice è tenuto a considerare veri i fatti e le cose rappresentate in un documento informatico, salvo che colui contro il quale il documento è prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti e alle cose medesime. Se ciò è valido per un documento informatico non sottoscritto a maggior ragione lo sarà per un documento sottoscritto. Il documento non sottoscritto, infatti, dovrebbe essere un minus rispetto ad uno sottoscritto.

Questa anomalia, a nostro modestissimo avviso, oltre a generare incertezze in un campo di per sé complesso, rischia di inficiare tutte le infinite possibilità che una rivoluzione digitale del documento può offrirci.

Il terzo comma regola il documento informatico quando questo è sottoscritto con una firma digitale "o con un altro tipo di firma elettronica avanzata". Questo fa piena prova fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni di chi l'ha sottoscritto. Il vecchio testo richiamava esplicitamente l'art. 2702 c.c. e, quindi la intera normativa relativa alla scrittura privata. La modifica apportata dal legislatore ha una portata non indifferente, poiché il richiamo operato sembra ricondurre alla fattispecie probatoria dell'atto pubblico o almeno alla scrittura privata autenticata. La disciplina della scrittura privata, difatti, si applica quando la sottoscrizione è riconosciuta o se può essere legalmente considerata come riconosciuta. Nulla di tutto questo è richiamato nel citato articolo 10. Avere invece previsto che il documento informatico fa piena prova sino a querela di falso ci porta a pensare che le garanzie che circondano la procedura di certificazione della firma digitale abbiano, in qualche modo, condotto il legislatore a considerare che il documento informatico firmato digitalmente abbia la stessa efficacia probatoria di una scrittura privata autenticata.

Questa impostazione sembra però essere smentita dal successivo articolo 24 che prevede, appunto, l'autenticazione della firma digitale per opera di un notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato. Non comprendiamo le ragioni, che peraltro sembrano essere del tutto assenti, di una siffatta impostazione, ma non possiamo nemmeno ignorare l'intervento del legislatore del 2002 che ha eliminato l'esplicito richiamo alla disciplina della scrittura privata. Ancora una volta, dobbiamo purtroppo constatare, la confusione regna sovrana in una materia di importanza fondamentale e per il diritto e per i processi della pubblica amministrazione. "La materia è estremamente complessa, e solo una coraggiosa riorganizzazione della materia, potrebbe ristabilire una coerente gradazione del valore probatorio dei documenti informatici; un quadro normativo che permetta, dopo una lunga e travagliata strada, di avviare il processo di attuazione operativa del sistema stesso della sottoscrizione elettronica".

Riconoscimento, verificazione e querela di falso nel documento informatico sottoscritto con firma digitale

A questo punto è necessario indagare circa la configurabilità e le eventuali modificazioni che subiscono questi importanti istituti del diritto processuale.
Con l'istituto del riconoscimento, da parte di colui nei cui confronti la scrittura è prodotta in giudizio., a norma dell'art. 2702 del codice civile, la scrittura privata acquista la efficacia di piena prova.
In estrema sintesi, attraverso la dichiarazione di autenticità della firma, il sottoscrittore assume la paternità della dichiarazioni contenute nel documento stesso. Se la parte dichiarerà che la firma è la propria, si avrà un riconoscimento espresso; se si limiterà semplicemente a "non disconoscere" la propria sottoscrizione, saremo in presenza di un riconoscimento tacito.

Viceversa il contrapposto istituto del disconoscimento prevede che la parte contro cui il documento è prodotto ha l'onere di disconoscere, espressamente, una sottoscrizione che non riconosce come propria. Infatti la legge prevede che la scrittura privata, fatta valere nel processo, si ha per riconosciuta in caso di contumacia o se la parte comparsa non la disconosce nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione (art. 215 cod. pr. civ.). Da ciò ne deriva che l'omesso disconoscimento da parte di colui contro il quale il documento è prodotto, genera il medesimo effetto giuridico del riconoscimento del documento.
Infine, secondo la lettera del codice del '42, la sottoscrizione è considerata legalmente come riconosciuta, producendo gli effetti che abbiamo descritto sopra, quando è stata autenticata da un notaio o da un altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato nelle forme prescritte dalla legge stessa (art. 2703 codice civile).

Le disposizioni sulla prova documentale prevedono la possibilità, nel caso di disconoscimento formale della sottoscrizione, per la parte che ha interesse alla prova di proporre un giudizio di verificazione della scrittura. Con tale istanza sarà possibile verificare, appunto, la provenienza della sottoscrizione vergata sul documento.
Il giudizio di verificazione, così come è descritto dal codice, si risolve in un accertamento dell'autenticità della scrittura. In forza dell'articolo 216 codice di procedura civile, la parte che chiede la verificazione, ha l'onere di proporre i mezzi di prova che ritiene utili.

Concludendo, è possibile dire che la scrittura privata acquista la efficacia di piena prova al verificarsi, alternativamente, di quattro possibilità. Si ha, infatti l'efficacia di piena prova, descritta dall'articolo 2702 codice civile
- Nel caso in cui la persona che risulta avere sottoscritto riconosce la sottoscrizione.
- Nel caso in cui si ricade nella fattispecie del riconoscimento tacito, cioè quando colui contro il quale il documento è opposto non disconosce formalmente la sottoscrizione entro i termini previsti dalla legge.
- Nel caso in cui il riconoscimento, in questo caso legale, si ottiene attraverso l'autenticazione della sottoscrizione da parte di un notaio o di un altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 2703 cod. civ.).
- Infine nel caso in cui a seguito del disconoscimento di una parte, l'altra proponga un giudizio di verificazione, alla decisione del quale è attribuita a piena efficacia probatoria della scrittura.
Qualora una di queste quattro ipotesi venga in essere, la dignità di piena prova del documento può essere smentita soltanto attraverso un particolare procedimento: il giudizio di falso.

La scrittura privata informatica era sottoposta alle medesime regole descritte dall'articolo 2702 cod. civ. (art. 5 DPR 513/1997). Quindi, sotto il profilo del valore da attribuire al documento all'interno del processo, anche il documento informatico sottoscritto con firma digitale era sottoponibile agli istituti appena descritti (riconoscimento, verificazione e, infine, querela di falso).
A ben guardare, però, le modalità tecniche della firma digitale, ed in particolare del procedimento di verifica della scrittura, viene a crollare tutto l'impianto del legislatore del '42, producendo ovviamente conseguenze sugli istituti sopra descritti.

Come conciliare, allora, la firma digitale che per sua stessa natura impedirebbe il disconoscimento e costringerebbe comunque ad un giudizio di verificazione, con la disciplina contenuta nel codice?
Il legislatore nella ultima stesura del terzo comma dell'articolo 10 del testo unico, sembrerebbe avere segnato definitivamente la conclusione di quel disegno di simmetria che aveva ricercato nel regolare la materia del documento informatico. Difatti non richiama più per intero l'articolo 2702 del codice civile al fine di regolare la nuova fattispecie informatica; il legislatore si limita a dire che tale nuovo tipo di documento fa piena prova fino a querela di falso.

A tal proposito c'è chi considera la firma digitale come un radicale cambiamento rispetto al vecchio sistema di imputazione degli atti giuridici. Difatti, per tale filone interpretativo, il documento informatico firmato digitalmente impedirebbe, per sua stessa natura disconoscimento della sottoscrizione digitale, quindi non potrebbe essere messa in discussione, attraverso l'atteggiamento della parte contro cui il documento è proposto, l'autenticità del documento. Secondo questo orientamento, è sufficiente l'uso della chiave segreta, necessario per apporre la firma giudizio di verificazione, giudizio di verificazione a vincolare il titolare della coppia di chiavi, il quale per evitare gli effetti giuridici derivanti dall'uso della firma dovrà dimostrare di non essere il soggetto che fisicamente ha firmato il documento; questo sarà possibile solo attraverso una querela di falso.
In conclusione, il documento informatico sottoscritto con firma digitale fa piena prova, fino a dimostrazione di un abusivo utilizzo della chiave privata da parte di terzi, senza che colui contro il quale la dichiarazione è invocata riconosca la sottoscrizione, e senza quindi la necessità che chi la invoca la faccia verificare, quantomeno nella tradizionale accezione che si dà a questo istituto.

La strada percorsa dal legislatore italiano è sempre stata quella della ricerca di una certa simmetria tra le regole del documento cartaceo e quello informatico; questa strada si è interrotta con la novella operata dal decreto legislativo 10/02. Il nuovo testo afferma che il documento informatico sottoscritto con firma digitale fa piena prova sino a querela di falso. Le caratteristiche intrinseche del documento informatico sottoscritto con firma digitale hanno portato il legislatore a trattare e regolare in maniera differente due fattispecie (il documento cartaceo e il documento informatico) che sicuramente hanno il medesimo scopo (docere), ma lo raggiungono attraverso strade distinte. Così come le caratteristiche e le modalità, anche i procedimenti, volti ad accertare l'autenticità del documento e della dichiarazione, raggiungono il risultato attraverso schemi tra loro diversi. Il riconoscimento, la verificazione e la querela di falso non perdono la funzione originaria, ma si svolgono secondo modalità diverse a seconda che sia oggetto del loro esame un documento cartaceo ovvero un documento informatico.

Per chiarezza e completezza si rende necessaria una importante precisazione. E' vero che la scrittura privata digitale, all'interno del processo acquista peculiarità che la distinguono dall'equivalente cartaceo. Il legislatore, dal canto suo, ha, giustamente, individuato tali differenze, ma ha, de facto, equiparato la scrittura privata digitale ad un atto pubblico. In nessun caso si dovrà giungere a tali conclusioni aberranti. Più che in qualsiasi altro aspetto della materia, il legislatore italiano sarà chiamato ad un compito molto importante e delicato, nel regolare il valore probatorio del documento informatico nei sui molteplici aspetti.

 

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