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Telecomunicazioni

Conflitti di interessi e interessi degli utenti

di Manlio Cammarata - 1204.07
 
Ancora Telecom Italia sulle prime pagine di giornali, perché il pacchetto azionario di controllo del maggiore operatore di comunicazioni italiano potrebbe essere venduto a operatori stranieri. Niente di nuovo, sarebbe il caso di dire, perché in dieci anni dalla privatizzazione i passaggi mano sono stati già tre (Stet, Colaninno, Tronchetti Provera).
II punto è che i passaggi di proprietà non hanno portato nessun cambiamento sostanziale per gli utenti di quello che è ancora l'operatore di gran lunga dominante sul mercato delle telecomunicazioni. Sono ancora troppo pochi quelli che non pagano più il canone a Telecom Italia, perché la sua rete è l'unica che copre tutto il territorio, fino alle case degli abbonati.  L'operatore è nello stesso tempo fornitore di servizi e gestore della rete, sulla quale devono passare anche contenuti e servizi dei suoi concorrenti. In termini tecnici si parla di "integrazione verticale", un assetto che frena l'espansione del mercato e la concorrenza.

Un apposito organismo indipendente, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dovrebbe vigilare ed evitare i conflitti, ma in questi anni la sua azione è apparsa lenta e poco efficace. Il libero mercato non decolla come dovrebbe, i costi per gli utenti non scendono abbastanza. 
Ora, di fronte alla prospettiva del passaggio dei pacchetto azionario di controllo della società in mani straniere, ci si rende conto dei rischi che può comportare soprattutto la gestione della rete in mano a operatori interessati solo a massimizzare i profitti. Ci si chiede se non sia il caso di mantenere in qualche modo "pubblico" il controllo di un'infrastruttura unica ed essenziale per il sistema-paese.

Fra le tante ipotesi che sono state avanzate nelle ultime settimane c'è anche quella di un intervento di Mediaset, in nome dell'italianità e del libero mercato. E' un'ipotesi quanto meno bizzarra, perché (a parte il noto conflitto di interessi del proprietario dell'azienda), realizzerebbe un ancora più pesante conflitto di interessi in capo allo stesso gruppo, con la concentrazione oltre il limite della decenza del controllo dei contenuti e della rete che li trasporta. Dunque con maggiori problemi per i produttori concorrenti nella fornitura di contenuti e servizi: un rimedio peggiore del male.

Per fortuna l'Unione europea non sta a guardare. Il libero mercato è un dogma comunitario che non ammette eccezioni. Dunque per Bruxelles è opportuno separare il governo delle rete dalle altre attività. Questa sembra l'intesa raggiunta in un colloquio telefonico tra la commissaria per la società dell'informazione e i media, Viviane Reading, e il nostro ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni.
Naturalmente ci sono dei "paletti": non se ne deve occupare il Governo, ma tocca all'autorità indipendente imporre la "separazione funzionale" della rete dai servizi, al fine di risolvere i problemi di concorrenza nel settore in Italia (vedi la il servizio su Repubblica di ieri).

Quale sia l'effettivo contenuto della formula "separazione funzionale" è da vedere, e sarà probabilmente motivo di polemiche nel prossimo futuro. Una semplice divisione di funzioni nell'ambito del gruppo societario non sembra possa essere efficace, se il controllo del gruppo stesso resta in una sola mano, italiana o straniera che sia.

Il vero problema è nella natura bicefala della rete: da una parte è un servizio servizio pubblico di interesse generale, dall'altra deve restare in mano ai privati, in ossequio al dogma liberista. Sicché si possono verificare conflitti tra l'ottica del profitto e l'ottica del servizio: la seconda impone investimenti e politiche commerciali che possono essere in contrasto con la prima (e l'esperienza recente delle autostrade dovrebbe avere insegnato qualcosa).

In attesa degli sviluppi restano due ordini di considerazioni: il primo riguarda il nostro capitalismo "malato" anche per mancanza di regole efficaci sull'assetto delle aziende e dei mercati. Su questo punto basta leggere l'intervista che Guido Rossi, presidente dimissionario di Telecom Italia, ha rilasciato Repubblica il 6 aprile.
Il secondo ordine di considerazioni riguarda invece noi utenti, che dalle liberalizzazioni e dai "terremoti" azionari degli ultimi anni non abbiamo ricavato nulla di effettivamente utile: si pensi al semplice caso dei costi delle ricariche telefoniche. Un balzello iniquo a prima vista, frutto evidente di un'intesa tra gli operatori, sul quale  il "regolatore del mercato" sarebbe dovuto intervenire molto prima che lo facesse il Governo, con un provvedimento molto criticato proprio perché contrario alla visione liberista dell'economia.

E' il momento dunque di aspettarci qualcosa di nuovo? Il pessimismo è inevitabile, soprattutto rileggendo un articolo che si intitola Società dell'informazione: l'Italia può attendere?, che in moti punti sembra di oggi, ma è stato scritto undici anni fa. A futura memoria.

 

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