L' ingegner Paolo Nuti, presidente di MC-link s.p.a, è uno dei
"padri fondatori" dell'internet in Italia. Ne ha seguito gli sviluppi
fin dai tempi delle BBS, quando MC-link era uno sgabuzzino con qualche decina di
modem e nessuno poteva prevedere le dimensioni che avrebbe assunto lo sviluppo
delle attività telematiche una decina di anni dopo.
Come presidente dell'Associazione italiana internet providers, Nuti è in
costante contatto con le autorità che in un modo o nell'altro determinano le
linee di sviluppo dell'offerta dei servizi di telecomunicazioni: la persona
giusta a cui rivolgere qualche domanda che ci poniamo da tempo (vedi l'intervista a Francesco Chirichigno e Ma la banda deve essere soprattutto "lunga").
D. Telecom Italia ha recentemente annunciato un ampliamento del
piano di copertura ADSL: entro il 2003 saranno collegati 1300 comuni, per il 74
per cento della popolazione e quindi dei potenziali utenti. Il dato può essere
letto al contrario: per il 26 per cento della popolazione e circa l'80 per
cento dei comuni non si sa se, e quando, ci sarà la disponibilità del
collegamento. Questo è il punto sul quale si deve riflettere: l'80 per cento
dei comuni italiani sarà al di là della linea immaginaria del digital divide.
E, siccome saranno coperti i comuni dove c'è una situazione economica più
favorevole, la banda larga non arriverà proprio dove sarebbe più utile, per
favorire la crescita delle aree meno sviluppate. A parte la difficoltà di
confrontare i dati dell'operatore telefonico con quelli previsti nel piano
fatto preparare dai ministri Stanca e Gasparri, quali soluzioni si possono
immaginare per spostare più lontano possibile la linea del digital divide?
Quanto costerebbe collegare tutta la popolazione?
R. Espandendo i dati di Telecom Italia possiamo fare una valutazione
di massima di questo impegno. Il vecchio piano di Telecom Italia prevedeva il 71
per cento della popolazione, 800 città e 1.800 stadi di linea. Il nuovo piano
fa salire il numero degli stadi a 2.100 le città passano a 1.300, ma la
popolazione coperta passa solo dal 71 al 74 per cento. Questo significa che per
un delta del 3 per cento della popolazione bisogna mettere sul campo qualcosa
come 300 stadi di linea.
D. Spieghiamo un po' che cosa è uno stadio di linea.
R. Per distribuire l'ADSL occorre il DSLAM (Digital Subscriber Line
ATM Multiplexer, n.d.r.), la batteria di modem che viene installata nella
centrale, dalla quale si parte col filo di rame dell'ultimo miglio fino a casa
dell'utente (e che può essere in unbundling). Il DSLAM deve essere
necessariamente installato nello stadio di linea, cioè nella centrale sulla
quale è attestata l'utenza. Altrimenti non è più xDSL, ma è una copertura
mista in parte in xDSL, in parte con un'estensione CDN (circuito diretto
numerico, n.d.r.). Sarebbe la soluzione ottimale dal punto di vista dell'economia
di scala, ma non può essere attuata perché il prolungamento CDN costa, di
listino, 20, 50, 100 volte più del wholesale (prezzo "all'ingrosso",
n.d.r.) dell'xDSL. Inglobarlo nel prezzo dell'xDSL significherebbe
evidenziare quali sono i veri costi dei CDN, e questo Telecom Italia non se lo
può permettere...
D. Abbastanza chiaro. Ora la domanda è: quanti DSLAM occorrono per
coprire il territorio, quanto costano?
R. Il discorso è in questi termini: gli stadi di linea in Italia, per
coprire il 100 per cento della popolazione, sono circa 10.400. Per essere
precisi, il 100 per cento non è raggiungibile: c'è comunque una popolazione
non servibile, perché non è collegata direttamente a una centrale telefonica
ma, per esempio, da un prolungamento via radio, che non può trasportare un
segnale DSL, come accade in alcune località di montagna; a volte ci sono delle
centraline digitali che, dal punto di vista dell'utente finale, appaiono
piccole centrali telefoniche, magari messe in un armadio stradale, ma sono
semplicemente un organo di prolungamento della linea, che fa passare solo i
circuiti che servono ai normali telefoni (si usa nelle zone rurali). In tutti
questi casi non è possibile fornire il servizio xDSL. Non so quanto incidano
effettivamente queste situazioni. Ma per coprire quel che resta, il 95 o più
per cento con xDLS e unbundling dell'ultimo miglio in rame, bisognerebbe
portare gli stadi di linea coperti dai 2.100 attualmente previsti alla
totalità, circa 10.400. Quindi si dovrebbe fare un investimento addizionale
dell'ordine del 400 per cento di quello attuale, più o meno. Se l'investimento
attuale è intorno ai 500 milioni di euro, ne servono altri 2.000. Se
consideriamo che in alcuni di questi stadi di linea, come a Roma o a Milano, l'investimento
in un DSLAM è molto concentrato, il servizio universale si dovrebbe far carico
di un investimento cinque volte quello attuale, un onere eccessivo. Quindi
bisogna trovare delle soluzioni alternative.
D. Ma quanti utenti occorrono per rientrare dall'investimento
necessario per installare un DSLAM?
R. Il calcolo è complesso. In linea di massima possiamo dire che 120
utenti portano al break-even, non dell'installazione in quanto tale, ma del
DSLAM, perché non c'è solo il costo dell'apparecchiatura. Ci sono tutte le
opere accessorie. Il problema è che le tariffe del wholesale sono scese
sostanzialmente rispetto a quando è stato fatto questo conto e devono scendere
ancora. Questa è una delle richieste che AIIP ha portato recentemente in questi
giorni con forza all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,
dimostrando anche il perché e il come, sostenendo con argomentazioni abbastanza
importanti queste richieste. Quindi probabilmente non bastano 120 clienti per
stadio di linea per giungere al pareggio in un arco di tempo ragionevole: poi
bisogna anche dare il servizio.
Però teniamo presente che uno stadio di linea nella media nazionale ha 2.700
clienti di telefonia. La percentuale di italiani che usa internet si è attesta
intorno al 25-30 per cento (come clienti, la singola utenza telefonica ha più
di un utente che usa la rete). Quindi possiamo dire che in media uno stadio di
linea ha 650 clienti internet. Ora bisogna capire quanti di questi sono
interessati ad avere la larga banda e quindi un costo fisso mensile in
sostituzione del costo variabile dell'accesso dial-up.
In linea di massima si può dire che il costo dell'installazione per un
singolo cliente, considerando anche il contorno (sistemi di "provisioning",
"customer care" e gestione della rete, splitter in centrale e lato
utente, modem o router lato utente, etc, è di circa 500 euro. Quindi per ogni
1.000 nuovi clienti si deve investire mezzo milione di euro.
In via puramente ipotetica, dopo aver saturato il mercato, si potrebbe arrivare
a una copertura totale degli stadi di linea, che non significa copertura totale
del territorio. Allo stato delle cose, siccome la larga banda ha circa 600.000
clienti, siamo lontanissimi dal poter pensare piani di espansione di questa
portata, se non facendo investimenti non remunerativi dell'ordine di 3-5
miliardi di euro.
D. A questo punto, come si dice, "la domanda sorge
spontanea": come soddisfare tutti quelli che possono avere la necessità di
un collegamento a larga banda e non si trovano in un'area in cui l'investimento
sia remunerativo per un operatore?
R. Il problema è come coprire quel 25 per cento circa della
popolazione italiana che, secondo i piani di Telecom Italia, nel prossimo futuro
non potrà avere l'ADSL. Il sistema più semplice, in prima battuta, è il
satellite, che ha pregi e difetti. Il pregio è che ha la copertura del 100% del
territorio e della popolazione. Dopo di che, ha solo difetti. Innanzitutto,
posto di pagare un canone fisso più o meno pari a quello dell'ADSL, si deve
aggiungere altrettanto di telefono, perché per usare il satellite si deve anche
fare una telefonata. Per risolvere il problema bisognerebbe combinare il
satellite con un accesso telefonico "flat-rate". C'è anche la
possibilità di collegamenti satellitari bidirezionali, ma costano molto di
più. Il satellite è molto costoso ed è destinato a costare sempre di più,
perché c'è abbastanza banda disponibile finché siamo nella fase di
start-up, dopo ci sarà solo se si pagherà di più, perché i prezzi dei
trasponder sono elevati. Calcolando la banda pro-capite e il costo del
trasponder, il conto è abbastanza facile: un trasponder di 40 megabit/s costa
circa un miliardo al mese e, sulla media degli utenti, la banda necessaria per
servire decentemente un cliente a 640 kbit/s (che non faccia un uso esteso del
downlowd di file musicali o video) è 20 kb/s.
Ma, rispetto alla fibra ottica, c'è una differenza fondamentale: il satellite
è un sistema broadcast, per cui la banda viene trasmessa a tutti, ma
"buttata via" da tutti tranne uno, quello che ha richiesto la
trasmissione. Questa utilizzazione di un sistema broadcast per fare unicast, sia
pure unidirezionale (con l'uplink via telefono) è uno spreco. Invece io vedo
benissimo il satellite per lo streaming in IP, ma per applicazioni diverse dalla
navigazione. Se vogliamo fare e-learning, distribuire corsi con il mezzo più
economico possibile, fare effettivamente una videotrasmissione broadcast o
multicast, verso mille soggetti che ricevono tutti gli stessi contenuti, è
sicuramente conveniente, rispetto alla fibra ottica. Ma l'idea di utilizzare
estesamente il satellite per trasmettere contenuti variabili, unicast, essendo
nato per il broadcast, suscita non poche riserve.
D. Il satellite è sistemato... Ci sono altre soluzioni?
R. Ce ne sono molte altre. Il secondo modo per fare arrivare la larga
banda in luoghi dove non ci sarà mai la copertura xDSL è scavare e portarcela
con i cavi. Ma chi sta scavando, lo fa nelle zone più redditizie, quindi nelle
città. Cosa resta per coprire con una certa efficienza nelle zone rurali? Con
una certa dose di buona volontà si potrebbe anche pensare di scavare, non per
servire un casolare isolato ma, per esempio, una zona industriale o un centro di
telelavoro. Partendo da un certo abitato importante, dove sia in qualche modo
arrivata la larga banda (e c'è dappertutto, perché ormai la fibra arriva
almeno in tutti i capoluoghi di provincia) e tenendosi a qualche decina di
chilometri, lo scavo in campagna costa molto meno dello scavo in città, circa
un quarto. Ci sono già alcune - poche - iniziative regionali in questa
direzione, che non vanno dimenticate.
D. Ma come si fa la distribuzione del segnale dal punto in cui
arriva il cavo?
R. Si porta il cavo in una centralina, dove viene convertito in Ethernet, che
poi è facile distribuire a un costo relativamente basso. Non bassissimo,
perché occorre rispettare una serie di norme che fanno aumentare i costi, non
è come installare un cavo in casa.
D. Ma anche in casa, se si vogliono rispettare tutte le
disposizioni in materia, bisogna chiamare uno specialista.
R. Questo è un problema del quale sarebbe opportuno parlare a fondo.
Ma ci porterebbe fuori strada. Restiamo al problema dalla larga banda e alle
soluzioni alternative. Ci sono ancora altre possibilità.
Una è il Wi-Fi. Il Wi-Fi, con le normative tecniche utilizzabili in Europa, ha
una portata molto limitata. Bisogna aprire una parentesi su questo punto. Noi
leggiamo sui giornali e sulle riviste, soprattutto su quelle americane, della
diffusione del Wi-Fi. Di conseguenza, anche in Europa e in Italia sogniamo che
il Wi-Fi possa portare allo sviluppo di un'internet senza fili (non solo un'internet
mobile), diffusamente presente sul territorio come negli Stari Uniti. Ma l'uomo
della strada e quello di marketing dimenticano alcuni principi di fisica
elementare, che invece noi non possiamo trascurare. Negli Stati Uniti un punto
di accesso Wi-Fi a 2,4 gigabit/secondo può avere una copertura in campo libero
di qualche centinaio di metri, perché ha una potenza fino a 30 dBm, più altri
6 dB di guadagno d'antenna. In totale un access point negli Stati Uniti
rientra nella normativa fino a una potenza irradiata isotropica equivalente (su
un quarto di sfera nel caso di una antenna con 6DB di guadagno) di 4 watt.
In Europa c'è una norma completamente diversa, che dice che la potenza
irradiata isotropica equivalente non può superare i 20 dBm. Che significa?
Significa che c'è un rapporto come minimo di quaranta a uno tra la potenza
irradiata disponibile negli USA e quella disponibile in Europa. Questi aggeggi,
come abbiamo sperimentato nell'uso privato, passano un muro, ma non ne passano
due, se il muro ha un certo spessore. C'è una differenza enorme con la
situazione americana, ma questa cosa non è stata capita. Ora, siccome sono
disponibili sul mercato italiano apparecchiature nate prevalentemente per il
mercato americano, posso anche comperare un'antenna ad alto guadagno e un
trasmettitore dal 100 mW a guadagno variabile, poi abbasso il guadagno di 16 dB,
metto un'antenna Yagi che guadagna 16 dB e dico che sono in regola. Poi tiro
su di 16 dB il guadagno del trasmettitore e sono in una situazione assolutamente
irregolare. Il Ministero delle comunicazioni lo sa perfettamente, tanto che
vorrebbe vietare l'uso della tecnologia Wi-Fi per fare ponti radio. Se
rispetto la norma, in prima approssimazione, ho la stessa portata
indipendentemente dal guadagno dell'antenna.
Raffinando l'analisi, siccome l'antenna guadagna anche lato ricevitore, in
realtà l'uso di antenne direzionali estende la portata senza infrangere la
normativa ETSI. In una audizione pubblica abbiamo segnalato che comunque sarebbe
opportuno autorizzare l'uso del Wi-Fi per fare quella che il Ministero chiama
"interconnessione tra due reti locali" perché, oggi come oggi, per
interconnettere una LAN da una parte della strada con una dall'altra parte
posso solo prendere un CDN da Telecom Italia, che caro mi costa. Mentre, ammesso
che questa tecnologia, così com'è, abbia 20 o 50 metri di portata (e ce l'ha,
rispettando la norma), lo posso fare a basso costo.
D. Ma perché non si cambia la norma?
R. Perché questa è una norma europea, e prima di cambiare una norma
europea ce ne vuole. Ma in realtà non è del tutto sbagliata, perché negli
Stati Uniti (dove la normativa è molto complessa) per ogni 3 dB di diminuzione
di potenza del trasmettitore si possono aggiungere 6 dB di guadagno sull'antenna.
Per cui nei fatti si possono comperare delle antenne paraboliche da 30 dB di
guadagno e diminuire la potenza del trasmettitore di 15 dB, e a questo punto
uscire con 50 dB cioè circa 50 watt concentratissimi su un cono. Però a questo
punto bisogna fare un ragionamento: stiamo parlando di 2.4 gigabit: guarda caso
è proprio la frequenza di funzionamento dei forni a microonde. Perché questa
tecnologia è di libero uso? Perché per cuocere un pesce o scaldare un po'
d'acqua ci vogliono 800 watt. Se invece all'utente finale lasci usare una
sciocchezza come 50 milliwatt, danni non ne può fare. Ma se gli consenti di
trasmettere in un'unica direzione e qualcuno passa davanti all'antenna da 50
watt, si può fare una bella radioterapia! Non è il caso mettere in mano al
grande pubblico una cosa potenzialmente pericolosa.
Negli Stati Uniti con questo sistema si fanno ponti da 30-40 km. Ora il punto è
che in Europa si è puntato a una totale deregolamentazione di questo settore,
anche se si sono prese alcune precauzioni affinché questa tecnologia non possa
far male. Io mi auguro che a nessuno venga in mente di mettere delle speciali
regolamentazioni sull'uso pubblico di cose che non fanno male a nessuno.
Perché, se poi ci dovessimo trovare delle regole di installazione che
richiedono una speciale professionalità su una cosa che non può far male a
nessuno, non abbiamo i vantaggi né da una parte né dell'altra. Per cui tutta
la regolamentazione dovrà essere rivista. Questo è il primo problema.
D. E il secondo?
R. Il secondo problema è che se la potenza è elevata (i 30 dBm negli
USA) succede quello che leggiamo sui giornali: vai in giro per la città e ti
trovi accessi a Internet da tutte le parti. Se il fatto di trovare un accesso a
internet disponibile dove non è pianificato può essere anche piacevole per
certi versi, però presenta molti inconvenienti che devono essere attentamente
valutati. Prima di tutto che il semplice fatto di averlo trovato vuol dire che
in quel luogo qualcun altro non può mettere un altro accesso. Per cui il fatto
di aver limitato la potenza è un male che non vien tutto per nuocere.
Certamente impedisce di fare un uso diverso da quello ipotizzato inizialmente,
quello di costituire un punto di illuminazione di un'area limitata, però
impedisce anche di rompere le scatole al prossimo. Perché una cosa che è stata
assolutamente dimenticata da tutti, in particolare da quegli operatori di
telecomunicazioni che premono perché l'uso in un luogo pubblico di queste
tecnologie sia riservato a loro, è che le caratteristiche di canalizzazione dei
2,4 gigabit (13 canali, però sovrapposti) offrono solo tre frequenze
indipendenti. Che è il minimo necessario per fare una copertura di un'area
con celle successive.
Non c'è niente da fare. Anzi, essendo solo tre frequenze, questa copertura è
inefficiente in quanto il riutilizzo delle frequenze è basso. Questo in pratica
significa che data una superficie, per esempio un supermercato, un aeroporto,
una piazza, ci può essere un solo soggetto che illumina questa zona
correttamente, perché qualunque altro soggetto va a impedire al primo o è
impedito dal primo.
La controprova la troviamo se ci aggiriamo nei siti delle università americane:
ci sono continuamente delle diffide rivolte agli studenti a mettere i propri
access point, perché in un campus illuminato a cura dell'università, se
qualcuno mette un access point proprio rovina il progetto di illuminazione. E'
legge fisica: se il bicchiere è pieno non puoi riempirlo di più, piaccia o non
piaccia agli operatori di telefonia mobile.
Quindi non c'è niente da fare, aree contigue devono essere illuminate da un
unico soggetto. Questa cosa non è stata compresa dagli operatori, che puntano a
ricoprire un aeroporto in concorrenza tra di loro. Il che è possibile solo se
ogni operatore copre un'area limitata, e a questa copertura limitata concorre
favorevolmente il fatto che la potenza è ridotta.
D. C'è anche il Wi-Fi a 5 gigabit: può servire?
R. Parliamo dello standard 802.11a oppure Hyperlan (il diverso nome
indica solo che tra America ed Europa le frequenze sono diverse). Il problema è
che a 5 gigabit la propagazione, a parità di potenza, è molto più limitata,
circa un quinto. Questo significa che per una copertura di una superficie estesa
ci vuole una densità di celle 25 volte superiore. Una copertura di questo
genere è molto costosa, non solo per il costo delle celle, ma soprattutto per
quello delle linee che devono collegare le celle. Il 5 gigabit probabilmente si
svilupperà per l'illuminazione di zone in cui serve l'elevata velocità,
54Mbit/s globali per punto illuminato. E' un sistema ideale per zone
relativamente piccole che hanno bisogno dell'alta velocità, in parole povere
un ufficio.
D. Dunque non va bene per diffondere l'internet veloce. Ma sembra
di capire che neanche con i 2,4 gigabit non si va lontano. Fra l'altro si pone
il problema del contratto di accesso. Se ogni volta si deve fare un contratto
con l'operatore che illumina quell'area, non la finiamo più, posto che ogni
singola area può essere servita da un solo operatore.
R. E' necessario che l'utente possa usare indifferente le aree di
tutti questi soggetti, serve che queste aree abbiano un'interconnessione
logica (nascono interconnesse perché sono interconnesse a internet), ma non
basta che io sia in un'area per poter andare su internet, devo avere un
abbonamento. Ci sono dei soggetti, che sono gli internet service provider (che
si chiamino Tin.it, Libero o MC-link il discorso non cambia) con il quali
l'utente ha già un contratto. E' necessario che l'abbonato a un ISP, quando
incrocia un access point possa chiamare il suo ISP per avere l'accesso. A
questo punto risolviamo tutti i problemi in una botta sola, perché ci sarà
già un rapporto contrattuale (anche gratuito, non è detto che sia a
pagamento), mentre sarà l'ISP a stipulare i contratti con i soggetti che
illuminano le diverse aree. E' chiaro che l'unico modello plausibile e
possibile è questo. Quindi bisogna pensare a un modello di interconnessione per
l'accesso laddove i dati, in quanto tali, sono già strutturalmente
interconnessi, ma non c'è il permesso di usarli.
D. Siamo sempre lontani dalla soluzione del problema di fondo: come
dare la larga banda a chi è escluso dai piani di copertura del territorio.
R. Diciamo che il Wi-Fi può servire per zone molto piccole, di tipo
rurale, o un paesino. Dove l'utenza si sviluppa in un raggio di poche decine di
metri si può pensare effettivamente a una copertura Wi-Fi, magari anche con una
revisione delle norme per questo specifico uso. Però il problema è come
portare internet ad alta velocità fino al paesino, perché non si può prendere
un CDN da Telecom Italia, costerebbe troppo. C'è una tecnologia per superare i
pochi chilometri che possono dividere il paesino da una zona già servita di
larga banda: il Wireless Local Loop (WLL), che è una tecnologia sui 28 GHz con
con potenze molto più elevate. In pratica per coprire queste zone possiamo
pensare a un modello misto, in cui il backbone è realizzato con il WLL, per il
quale ci sono già delle licenze. Poi la distribuzione locale sugli ultimi cento
metri si fa con il Wi-Fi. Allo stato delle cose ancora non si può usare questa
soluzione, però l'interesse delle comunità montane e delle comunità rurali
per questo tipo di applicazioni è altissimo. E il Ministro dell'innovazione
ha preso a cuore il problema, fermo restando che allo stato delle cose una
copertura di aree locali con raggio superiore a qualche decina dei metri in
tecnologia Wi-Fi non è tecnicamente realizzabile, a meno di non violare
totalmente la normativa ETSI o di creare una licenza apposita per offrire questo
tipo di servizio. Anche su questo punto gli ISP hanno delle serie riserve,
perché se ci deve essere una licenza apposita, devono poterla avere. Invece gli
operatori di TLC ritengono che, se ci deve essere una licenza, deve essere solo
per loro.
D. Bene, ci stiamo avvicinando all'obiettivo finale: dove conviene,
si arriva con la fibra ottica e l 'xDSL, altrove si porta la fibra e si
distribuisce via Ethernet, oppure si supera la distanza con il wireless local
loop e si arriva a casa dell'utente con il Wi-Fi. E' giusto?
R. Più o meno. Riassumendo: il grosso del territorio si copre con l'xDSL,
per il resto occorrono le tecnologie alternative. Una è la fibra
"provinciale", che non è del tutto da scartare soprattutto in zone
dove ci sono ancora da spendere dei fondi-obiettivo dell'Unione europea. Poi
qualcos'altro possiamo fare con qualche ponte punto-punto su frequenze WLL
(una leggera forzatura della licenza, ma è ammessa), e poi una faticosa
distribuzione a livello di isolato, faticosa perché siamo ai limiti della
portata e invece di mettere l'antennina sul portatile dovremo metterla fuori
della finestra e arrivare con una Ethernet sul PC fisso. E la rifinitura finale
la facciamo inizialmente col satellite e poi con una tecnologia di cui non
abbiamo ancora parlato, la televisione digitale terrestre. Lo standard DVB
prevede espressamente canali per la trsmisisone dati; il problema è sempre
quello già visto col satellite: stiamo ipotizzando di impiegare un mezzo
broadcast per un collegamento unicast; ma l'efficienza in questo caso è molto
maggiore, perché l'area di copertura, e quindi i costi della banda, sono molto
minori. Quella integrata è la miglior strategia cui possiamo pensare.
D. Che comunque richiede tempi abbastanza lunghi, tanto più che la
normativa è ancora incompleta. Ma tutto questo è coerente con il piano dei
ministri dell'innovazione e delle comunicazioni?
R. Il piano in realtà è un "driver" per far percepire alla
popolazione l'importanza della larga banda. E' preziossissimo proprio per
questo, anche se non sarà l'utenza privata a poterne usufruire in prima
battuta. Ma il fatto che ci siano alcuni obblighi (e qualche finanziamento) per
le pubbliche amministrazioni significa che la larga banda dovrà arrivare in
molte aree in tempi non troppo lunghi. E a questo punto potranno usufruirne
anche i privati.
D. I privati, e penso in particolare alle piccole aziende, agli
studi professionali, non hanno tanto un'urgente necessità di banda
"larga", quanto di banda "lunga", cioè di poter essere
"always on" o almeno di avere lunghi collegamenti senza il cappio
della tariffa a tempo e soprattutto degli scatti alla risposta. In parole
povere, una ISDN "flat" o almeno "semi-flat". Se ne parla da
tempo, ma i primi esperimenti hanno dato risultati economici disastrosi per gli
operatori. Possibile che non ci sia una via d'uscita?
R. Bisogna essere ragionevoli: se si pensa ad un flat-rate che con
qualche centinaio di euro/anno assicuri la disponibilità 24 ore su 24 di un
circuto a 64 k, il flat rate non ci sarà mai, perché un solo circuito FRIACO
(circuito di interconnessione flat rate) costa dai 1.100 ai 2.000 euro l'anno. E
non si può pensare che qualcuno possa tenere in vita un'offerta in cui l'intero
servizio di accesso ha un prezzo al pubblico pari ad un decimo dei costi che
l'operatore sostiene per la sola interconnessione. Se viceversa si pensa ad
offerte "più furbe" con limiti di qualche ora al giorno o in fasce
orarie limitate, allora l'offerta flat rate può effettivamente svilupparsi e
rappresentare un buon complemento dell'offerta a larga banda via satellite o
televisione digitale.
(Intervista di Manlio Cammarata)