Pagina pubblicata tra il 1995 e il 2013
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Ordine nazionale dei giornalisti

Documento di indirizzo per la riforma dell'Ordine dei giornalisti

(a cura della Commissione giuridica)

Premessa

Dalla nascita della Repubblica ad oggi il giornalismo italiano ha vissuto uno sviluppo fiorente nel segno del pluralismo, della vivacità e di una crescita qualitativa che lo colloca tra le migliori esperienze europee.
L'Ordine dei Giornalisti è stato, anche con i suoi limiti, un presidio di questo sviluppo, sforzandosi di accompagnare l'evoluzione del giornalismo italiano con una crescente consapevolezza delle responsabilità e dei doveri deontologici degli operatori dell'informazione.
Un bilancio dei quaranta anni passati conferma che l'Ordine dei giornalisti è uno strumento non solo utile ma essenziale per dare certezza statuale all'indipendenza del giornalista. Certamente la legge professionale necessita di una sostanziale riforma per adeguarla alle trasformazioni della società italiana e alla mutata realtà della stampa ma, con mezzi sia pure imperfetti, l'Ordine ha svolto una importante funzione di promozione di una cultura dell'informazione e di tutela dei soggetti sociali più deboli dalla spettacolarizzazione delle loro sofferenze. Di questo impegno sono testimonianza: la creazione e lo sviluppo delle scuole di formazione al giornalismo che hanno aperto la strada alla liberalizzazione dell'accesso alla professione; le nuove rigorose e trasparenti regole dell'esame di idoneità professionale; la lotta al lavoro nero e allo sfruttamento dei giovani che intraprendono la carriera; la tutela e la promozione di regole deontologiche più severe sia riguardo alla tutela dei minori e dei soggetti deboli sia riguardo al rapporto tra informazione e messaggio pubblicitario.

Nel quadro europeo questa istituzione ordinistica viene osservata con attenzione: si stanno moltiplicando, specie nei paesi latini, i tentativi di seguirne l'esempio. Lo stesso Parlamento Europeo nella risoluzione del 16 settembre 1993, espressamente parla di codici deontologici da affidare alle associazioni professionali e di tessere professionali da rilasciare solo dal versante professionale. In una società come quella italiana, contrassegnata tuttora da forti disomogeneità (ideologiche, culturali, economiche, etc.) il riconoscimento del giornalismo come attività professionale può e deve rappresentare, in linea di principio, una garanzia per la pubblica opinione, che qualifica i giornalisti e li responsabilizza nei confronti dell'informazione intesa come indispensabile servizio per la collettività.
La relativa disciplina non impedisce, ripetiamo, la generale libertà di manifestazione del pensiero, ma identifica nel suo ambito un'area professionale dell'informazione che serve a bilanciare, al suo interno, la logica economica degli interessi che presiedono alla sua organizzazione imprenditoriale.

Costituzione e professione

a Corte Costituzionale, con ripetute sentenze degli anni scorsi, ha ribadito la legittimità dell'Ordine dei giornalisti affermando che la legge del 1963 disciplina l'esercizio dell'attività professionale giornalistica e non l'uso del giornale come mezzo di libera manifestazione del pensiero. La legge, dunque, non limita il diritto che l'art.21 riconosce a tutti di enunciare le proprie opinioni attraverso un giornale. Tale diritto sarebbe sicuramente violato se solo gli iscritti all'albo fossero "autorizzati" a scrivere sui giornali, ma è del tutto escluso (e sarebbe ridicolo solo pensarlo) che una siffatta conseguenza possa derivare dalla legge.
La Corte Costituzionale ha riconosciuto, anzi, l'opportunità che i giornalisti vengano associati in un organismo che, oltre a controllarne la preparazione e la correttezza, contribuisca a garantire il rispetto della loro attività e quindi della loro libertà.
Questo compito, diverso dalla tutela strettamente sindacale, può essere assolto compiutamente solo da un Ordine e cioè da un ente pubblico che, pur avendo struttura democratica, sia dotato però di quei poteri di autorità propri della pubblica amministrazione dovendo vigilare nei confronti di tutti e nell'interesse della collettività sullo svolgimento dell'attività giornalistica. Tale vigilanza si traduce anzitutto e soprattutto nel principio che il giornalista non deve abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e non deve mai cedere a sollecitazioni che potrebbero compromettere questa libertà, anche se provenissero dal datore di lavoro. Questo, tra i tanti principi enunciati dalla Corte Costituzionale, appare fondamentale come parametro della correttezza e della deontologia professinale

Lo sviluppo dei mass media in una molteplicità di dimensioni che il legislatore del 1963 non poteva prevedere - carta stampata, sistema radiotelevisivo, informazione on line - esige una riforma sostanziale dell'Ordine per renderlo adeguato alla nuova realtà. E' necessario, tuttavia, ribadire in premessa una distinzione fondamentale per evitare che in alcuni settori dell'opinione pubblica si continui a fare confusione. Ed è la distinzione netta tra quella che è la libertà di manifestare e diffondere la propria opinione e quella che è invece la professionalità dell'operatore dell'informazione.
La libertà di opinione è garantita dalla Costituzione (ed è oggi rafforzata praticamente da uno strumento universale come Internet) e si sostanzia nel fatto che a qualunque soggetto è data libertà di intervenire su uno dei tanti mezzi di comunicazione di massa.
L'attività professionale è altra cosa: riguarda la sfera della preparazione e della competenza e, nel caso del lavoro professionale del giornalista, ha anche una rilevanza pubblica per quanto concerne la correttezza e la completezza dell'informazione in un rapporto di fiducia con il pubblico.

L'Ordine dei giornalisti

Il giornalismo esige una preparazione specifica, diritti specifici, responsabilità specifiche. Da questa premessa emerge con chiarezza quanto il Consiglio Nazionale ribadì nel 1997 riguardo al ruolo dell'Ordine dei Giornalisti.
"L'Ordine è costituito per la tutela del diritto costituzionale della libertà di informazione; l'osservanza delle norme di deontologia necessarie per la trasparenza, la correttezza e la completezza dell'informazione, bene primario di ogni società democratica; la qualificazione e formazione permanente di tutti gli operatori dell'informazione".
Fondato sugli articoli 2 e 18 della Costituzione, l'Ordine dei giornalisti è l'organo di tutela, di autogoverno e autodisciplina dei giornalisti nell'interesse del cittadino ad una libera informazione. La qualificazione e la necessità di requisiti specifici per gli operatori dell'informazione, che hanno scelto di svolgere la professione giornalistica, sono garanzia di rafforzamento della libertà di stampa e di rispetto del codice deontologico e non sono in contrasto con il dettato costituzionale sulla libera espressione del proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
L'Ordine dei giornalisti si articola a livello nazionale, regionale o interregionale. L'Ordine nazionale e gli Ordini regionali o interregionali sono persone giuridiche a base associativa, retti rispettivamente da un Consiglio nazionale e da Consigli regionali o interregionali e regolati da uno statuto che ne disciplina la composizione, gli organi e lo svolgimento dei lavori.

Cinque punti riassumono le funzioni essenziali dell'Ordine rinnovato:
1. La preparazione degli operatori dell'informazione
2. La disciplina della deontologia professionale
3. La garanzia del diritto dei cittadini ad una informazione corretta, rispettosa delle persone e che non diffonda dati di fatto falsi, pur nella più ampia libertà di opinione e di interpretazione;
4. La formazione permanente;
5. La tutela degli interessi e dei diritti professionali dei giornalisti, caratteristica di ogni Ordine professionale.
Questi cinque punti costituiscono i principi-cardine del progetto di riforma. E nell'unitarietà del disegno il Consiglio nazionale dell'Ordine è convinto che si possa procedere pragmaticamente - in raccordo con il lavoro del Parlamento - anche per innovazioni su singoli punti, tenuto conto che la struttura base dell'Ordine stesso sarà definita insieme alla riforma di tutti gli ordinamenti professionali.

I. Accesso alla professione

Punto fondamentale di una riforma proiettata verso il futuro e tale da valorizzare in primo luogo le potenzialità delle nuove generazioni è la riforma dell'accesso. E' venuto il momento di una coraggiosa liberalizzazione, che apra la strada della professione a chiunque acquisisca la preparazione necessaria e dimostri con un esame di Stato - com'è stato in passato e come deve continuare ad essere - la capacità di svolgere l'attività giornalistica in senso professionale.
Il Consiglio nazionale dell'Ordine, sin dal 1997, si è espresso all'unanimità per un rinnovamento dell'accesso tramite la formazione universitaria.
Questa è la via maestra, perché garantisce il libero accesso a chiunque ne abbia la capacità, superando la strettoia ormai intollerabile di un accesso limitato soltanto a coloro che riescano ad ottenere un contratto di praticantato presso un'azienda editoriale. E' la via più democratica che coniuga merito e preparazione specifica, seguita da tutti gli ordinamenti professionali e che corrisponde allo sviluppo culturale della società. E' evidente, infatti, che la soglia qualificante richiesta in passato, rappresentata nel dopoguerra dal diploma di scuola media superiore - con il suo esame di maturità, garante di una formazione culturale alta - è diventata, con la naturale evoluzione del sistema di istruzione, il livello della laurea universitaria. Si tratta qui di prendere atto della generale crescita del livello culturale del paese.

L'idea romantica e approssimativa di un giornalismo nutrito solamente di genialità innata non era valida ieri quando l'accesso all'esame di Stato era vincolato a regole e condizioni culturali precise e sarebbe ancora più antistorica oggi a fronte di un sistema informativo assai complesso e che richiede competenze e conoscenze più sofisticate. Le giovani generazioni stesse se ne rendono lucidamente conto, affluendo ai corsi universitari di giornalismo o di Scienze della comunicazione. D'altronde i dati medesimi della Fieg certificano che il 70 per cento degli assunti negli ultimi quattro anni sono in possesso del titolo di laurea e la cifra appare ancora più consistente se si considera quanti giovani laureati - senza aver ottenuto ancora il contratto di assunzione - si impegnano già in un modo o nell'altro nel lavoro giornalistico.
In questo senso la riforma dell'accesso per via universitaria è destinata ad accompagnare da un lato e a stimolare dall'altro una naturale evoluzione all'adeguamento del solido livello culturale, che ha generalmente caratterizzato la professione giornalistica in Italia.

In termini concreti questo significa individuare un itinerario di accesso che inglobi il praticantato tradizionale sostanziandosi in un itinerario formativo quinquennale nel quale l'apprendimento delle conoscenze essenziali per operare nel campo dell'informazione sia unito ad un tirocinio multimediale pratico.

L'itinerario quinquennale si declinerà in due fasi:

a) fase primaria di base, corrispondente alla laurea breve (triennale) propedeutica alla

b) fase di specializzazione al termine della quale si accede all'esame di Stato.

Questa seconda fase, destinata ad assicurare quella preparazione di specializzazione concreta che il praticantato per unanime opinione non garantisce più da moltissimo tempo, non potrà avere una durata inferiore al biennio e, nell'ambito della riforma universitaria, potrà essere realizzata in forme diverse: 1) laurea specialistica, 2) master, 3) scuole di giornalismo inserite in una struttura universitaria.

In ogni caso la fase della specializzazione, proprio perché assorbe il praticantato tradizionale non potrà essere affidata ad una impostazione meramente accademica, ma le sue finalità dovranno essere compiutamente realizzate attraverso lo strumento necessario della convenzione fra Università e Ordine dei giornalisti, riservandosi l'Ordine di determinare gli indirizzi e le condizioni di tirocinio (anche attraverso controlli e verifiche successive) per una formazione che garantisca l'accesso all'esame di Stato.
In questo senso la convenzione è uno strumento di grande rilievo. L'Ordine dei Giornalisti, in collaborazione con le Università, dovrà indicare con chiarezza il percorso per acquisire le competenze necessarie per diventare giornalisti, garantendo una formazione multimediale comprensiva di un tirocinio pratico. La firma della convenzione tra Ordine e Università non potrà essere considerata esaustiva. Sarà necessaria una verifica puntuale in itinere. L'Ordine dovrà attrezzarsi per avanzare proposte e suggerimenti laddove l'attuazione pratica si discostasse dagli indirizzi elaborati, giungendo se necessario alla sospensione della convenzione qualora determinate realtà universitarie non seguissero le norme fondamentali concordate per l'acquisizione della professionalità giornalistica.
Nel contesto della riforma dell'accesso, l'esame di Stato certifica l'idoneità professionale del giornalista ed è agganciato alla conclusione degli studi universitari. Commissioni miste di docenti, giornalisti e magistrati sanciranno la certificazione dell'idoneità professionale. E in tal modo si arriverà anche al superamento dell'attuale, macchinoso sistema di esami .
Dopo il parere del Consiglio di Stato (n.448/2001, 13 Marzo 2002) con il quale si riconosce il carattere di "esame di Stato" all'esame professionale dell'Ordine, è auspicabile che la riforma dell'accesso sia rapidamente realizzata attraverso un regolamento ministeriale così come già avvenuto per gli altri Ordini professionali.

Puntare sull'accesso universitario, come via maestra alla professione, significa rovesciare coraggiosamente l'assetto attuale, liberalizzandolo pienamente: diventa giornalista chi ha la preparazione necessaria e ne acquisisce il titolo e non chi è così fortunato da strappare il contratto di praticantato ad una delle aziende esistenti. Allo stesso tempo questa riforma dell'accesso è tale da garantire alle giovani generazioni la possibilità di affacciarsi sul mercato a testa alta, con la pari dignità che deriva dall'acquisizione di una identità e di una qualificazione professionale precise, senza l'umiliante condizione di disparità fra chi esercita a tempo pieno la professione con un contratto a tempo indeterminato (ed è considerato di serie A) e chi la esercita egualmente a tempo pieno ma, senza quel tipo di contratto, è costretto ad aggirarsi in un limbo di serie B.

E' una vera rivoluzione copernicana.

SARA' GIORNALISTA CHI NE HA LA PREPARAZIONE
ESERCITERA' CHI AVRA' LA CAPACITA' DI OPERARE SUL MERCATO

Alla domanda, avanzata da qualche parte, se la specializzazione universitaria non costituisca un vincolo in contrasto con l'art.21 della Costituzione e con la libertà d'impresa, si può rispondere serenamente che tali preoccupazioni sono infondate.
E' già stato chiarito che la libertà di esprimere il proprio pensiero con ogni mezzo, garantita dall'art.21 della Costituzione, non confligge minimamente con i requisiti necessari per esercitare l'"attività professionale" del giornalista, sanciti dalla legge del 1963 e confermati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (A partire dalla sentenza fondamentale del 21 marzo 1968).

Sono tre requisiti essenziali accettati da sempre:

- un livello culturale di base, rappresentato dal diploma di scuola media superiore o altrimenti accertato da un esame obbligatorio di cultura generale;
- un tirocinio necessario, rappresentato dal praticantato;
- un titolo di idoneità professionale acquisito tramite l'esame di Stato.

Le imprese editoriali non hanno mai pensato di contestare tali requisiti, anche nella consapevolezza che essi erano soprattutto funzionali a garantire la qualità del personale giornalistico e quindi la diffusione del prodotto-informazione.
La riforma dell'accesso tramite la formazione universitaria costituisce dunque, nello spirito di una decisa liberalizzazione, una razionalizzazione del complesso di conoscenze e di requisiti necessari, ieri come oggi, per l'attività professionale.
La possibilità, prevista dai recenti contratti, di inserire pubblicisti nell'attività redazionale con un contratto di lavoro ex art.1 dimostra semmai che per questo tipo di giornalisti la definizione di "pubblicisti" va stretta, perché non corrisponde al loro reale impegno di giornalisti professionisti a tempo pieno. E anche di questo la riforma dell'Ordine intende farsi carico.

Norme transitorie

E' indubbio che durante il periodo di andata a regime della riforma dell'accesso si pongono due problemi che vanno affrontati con pragmatismo, flessibilità e attenzione sia alla situazione esistenziale delle generazioni giovani e dell'età di mezzo, sia alle condizioni concrete in cui operano le aziende nelle varie realtà locali

Appare opportuno assicurare due obiettivi:

1) La possibilità che le aziende vogliano procedere ad assunzioni dirette anche nel corso dell'iter formativo. In tal caso si potrà studiare, d'intesa fra Ordine, Fnsi e Fieg un nuovo tipo di contratto formazione-lavoro, che rivedendo struttura e durata del praticantato tradizionale assicuri una reale alternanza fra periodi di tirocinio in azienda e periodi di studio in strutture universitarie o scuole di giornalismo sotto la supervisione dell'Ordine. Requisito base, in tal caso, sarà la laurea breve e al termine del nuovo tipo di contratto formazione-lavoro il "praticante" potrà accedere all'esame di Stato.

2) La realtà della professione nella situazione attuale mostra che esiste un numero piuttosto ampio di giornalisti che con contratti di vario tipo (collaborazioni, free-lance, contratti di collaborazione continuativa e coordinata ecc.) e spesso in una pluralità di rapporti con diverse aziende editoriali, esercitano di fatto da anni e a tempo pieno l'attività professionale giornalistica. Per costoro, che si sono affermati sul mercato a prezzo di dure fatiche e che impropriamente sarebbero elencati fra i pubblicisti, è impensabile tornare indietro nel tempo per ripercorrere un iter universitario completo, tanto più che nella grande maggioranza dei casi godono spesso di una istruzione universitaria.
A quanti, in tali condizioni, esercitano la professione a tempo pieno e in modo continuativo da almeno cinque anni e sono in grado di certificarlo (con la presentazione di un congruo numero di pezzi firmati, la dichiarazione del direttore responsabile o la certificazione del rapporto contrattuale esistente, la documentazione degli avvenuti pagamenti) verrà garantito l'accesso all'esame di Stato tramite un corso di aggiornamento di 300 ore in strutture universitarie o scuole di giornalismo sotto la supervisione dell'Ordine.
Tale corso riassume evidentemente, e in maniera straordinaria, sia la funzione del praticantato tradizionale sia l'esigenza della formazione soprattutto in campo deontologico.

Entrambi gli obiettivi, descritti nei punti 1 e 2, potranno essere realizzati attraverso norme transitorie, che abbraccino un periodo di sette anni.

II Il pubblicismo

La saggezza del legislatore del 1963 ha tenuto conto della particolare specificità del lavoro giornalistico e della molteplicità di interessi dei mass media, delineando un sistema di grande flessibilità e realismo nel quale è previsto che accanto a coloro, che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista, siano previsti parallelamente coloro che portano il contributo di saperi, specialismi, commenti ed opinioni e che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita pur se esercitano altre professioni o impieghi.

Tale specificità, che differenzia l'Ordine dei giornalisti da altri ordinamenti professionali, è giusto che sia mantenuta perché più aderente alla realtà.
In questo senso continuerà a permanere la bipartizione tradizionale fra professionisti e pubblicisti con questa precisa terminologia e con gli attuali diritti. Resteranno anche le attuali modalità di accesso ed è evidente che ai pubblicisti verranno garantite le attribuzioni esistenti.
Ma la riforma dovrà necessariamente assicurare l'accesso all'esame di Stato a quanti, pur avendo tuttora la qualifica di "pubblicista", svolgono in realtà in maniera esclusiva l'attività giornalistica.

Tutta la riforma dell'Ordine, essendo ispirata alle esigenze delle nuove generazioni, è destinata peraltro a porre in maniera radicalmente diversa dal passato la questione del ruolo e della funzione dei pubblicisti.
Anzitutto perché la riforma dell'accesso garantirà a tante giovani leve (oggi costrette a chiedere la tessere di pubblicista perché ancora non assunti con art.1 da un'azienda) l'acquisizione immediata del titolo di giornalista, ottenuto al termine dell'iter formativo universitario. Una grande fonte di ingiustizie e di frustrazioni sarà così eliminata alla radice e dunque saranno automaticamente giornalisti professionisti tutti coloro che operativamente - con qualsiasi contratto, con collaborazioni continuate e coordinate o con il lavori di freelance, insomma con il loro impegno permanente e prevalente - lavoreranno e si guadagneranno da vivere facendo il giornalista, organicamente inseriti nel sistema dei mass media.
Così rientrerà nel professionismo tout court quella massa di pubblicisti, quei pubblicisti-professionisti, per i quali non ha senso uno stato differenziato.
Invece, tornerà ad essere valorizzata la concezione originaria di un pubblicismo, caratterizzato dall'impegno di collaboratori che da un lato sono portatori di un sapere specialistico oppure commentatori opinionisti e dall'altro fanno giornalismo nei mass media, svolgendo contemporaneamente la propria attività in altri settori professionali.

III. Deontologia

Il tema della responsabilità etica e deontologica è andato costantemente crescendo all'interno della categoria giornalistica. E' generalmente acquisito che il dovere di informare deve accompagnarsi al rispetto della persona.
La Carta di Treviso e il Codice di autoregolamentazione per la privacy sono state tappe importanti di questo processo di consapevolezza, ma è diffusa la sensazione che si debba avanzare ulteriormente su questa strada, specialmente nell'attenzione ai minori e ai soggetti deboli, forse anche con la creazione di un istituto composto da membri giornalisti e non giornalisti quale un Osservatorio media-etica per monitorare nel suo complesso il fenomeno dell'informazione.
In ogni caso la riforma dell'Ordine dovrà prevedere che l'autocontrollo e la salvaguardia della deontologia siano realizzati con strumenti efficienti, liberando il Consiglio Nazionale dal peso del continuo, pletorico esame di ogni ricorso.
La soluzione individuata è di attribuire ad un organo specializzato del Consiglio Nazionale - una "Sezione disciplinare e per la trattazione dei ricorsi" piuttosto ampia (20-30 componenti), rappresentativa del complesso del Consiglio Nazionale ed eletta dal medesimo con voto limitato, regolamentato dal futuro statuto - la trattazione dei procedimenti con poteri deliberanti. Nel caso di procedimenti disciplinari le decisioni della Sezione dovranno essere prese a maggioranza di tre quinti dei componenti, fermo restando che in assenza di tale quorum il ricorso è trasmesso per la decisione al plenum del Consiglio Nazionale. In ogni caso i provvedimenti di sospensione o radiazione saranno comunque sottoposti alla decisione del plenum del Consiglio Nazionale.

Per migliorare e accelerare i provvedimenti disciplinari in sede regionale, sarebbero opportuni i seguenti interventi modificativi:

a) il rafforzamento del requisito della terzietà del giudice disciplinare distinguendolo in qualche maniera dal Consiglio dell'Ordine;
b) necessità di una distinzione tra ruolo inquirente e ruolo giudicante con posizione del collegio giudicante ridotto ad un numero più esiguo di membri rispetto al Consiglio;
c) previsione di termini per il compimento dell'indagine preliminare e per la celebrazione del giudizio una volta aperto il procedimento disciplinare;
d) ridiscussione dell'intero sistema disciplinare almeno per quanto concerne il procedimento davanti i Consigli dell'Ordine in una logica di generale ammodernamento rispetto l'assetto tracciato dal legislatore nel 1963.
Occorrerebbe, infine, introdurre una norma generale che preveda che se l'incolpazione si riferisce a fatti di lieve entità, la decisione di procedere al giudizio disciplinare può essere subordinata al rifiuto di accettazione, da parte dell'incolpato, di un avvertimento scritto, con cui il Consiglio gli contesta la violazione commessa e lo richiama al rispetto dei suoi doveri.
Appare opportuno, infine, la possibilità di limitare i ricorsi alla magistratura ordinaria soltanto alla Corte di Cassazione come avviene per gli altri Ordini professionali.

IV. Giurì per la correttezza dell'informazione

La questione delle garanzie per il cittadino-lettore emerge fra gli aspetti più qualificanti di un Ordine dei giornalisti rinnovato. Proprio perché l'esistenza dell'Ordine è orientata a garantire attivamente la professionalità del lavoro giornalistico e i connessi diritti del giornalista bisogna riservare in una società avanzata eguale attenzione al rispetto dei diritti del cittadino.
Appare urgente dare attuazione concreta al diritto del cittadino di vedere ripristinata la verità dei fatti, qualora fosse stata violata. In proposito parliamo non a caso di verità dei fatti, dal momento che del giornalismo fa parte anche la più ampia libertà di commento, interpretazione ed elaborazione.

Al nuovo procedimento disciplinare, più snello e rapido (indicato al secondo capitolo del presente documento di indirizzo), dovrà affiancarsi un altro istituto: il "Giurì per la correttezza dell'informazione", creato presso il Consiglio nazionale dell'Ordine, che ne approva il regolamento. Ad esso potranno rivolgersi tutti i soggetti che ritengano di essere stati ingiustamente danneggiati da articoli o notizie relativi a fatti falsi e diffusi da qualsiasi organo di informazione - carta stampata, radio-televisione, on line - e per questo chiedono una rettifica, nelle forme previste dalla legge, come unico strumento idoneo a ristabilire presso il pubblico la verità dei fatti con la conseguente tutela dell'immagine e della dignità del ricorrente.

Lo strumento innovativo del Giurì è caratterizzato dalla rapidità della soddisfazione. Il ricorso, che deve essere accettato da entrambe le parti, va presentato in forma scritta entro 15 giorni dalla pubblicazione della notizia ed esclude di per sé ogni altra azione risarcitoria da parte del ricorrente.
Il lodo arbitrale, che in caso di accoglimento del ricorso contiene l'ingiunzione a pubblicare la rettifica, dovrà essere emesso dal Giurì entro il termine di 15 giorni, salvo casi di forza maggiore.
I componenti del Giurì eserciteranno le proprie funzioni in totale autonomia, restando in carica per tre anni e potendo essere rieletti soltanto una volta.
Secondo i principi dell'ordinamento giuridico generale le decisioni contenute nel lodo arbitrale potranno essere appellate davanti alla magistratura ordinaria, ai sensi degli articoli 827 e seguenti del Codice civile.

Il progetto del Giurì si fonda sulla convinzione che un giornalismo capace di riconoscere rapidamente ed efficientemente i propri errori e che sia pronto a correggerli sul proprio organo di comunicazione, meriti poi di non essere ulteriormente perseguitato con esose richieste di risarcimenti. E questo anche nell'interesse delle imprese editoriali.

V. Formazione permanente

Il tema della formazione permanente è diventato di grande attualità a fronte delle continue innovazioni nel settore dei mass media e di una fluidità del mercato, che non poteva essere prevista dal legislatore del 1963.
Appare opportuno che l'offerta di una formazione permanente sia, almeno per certi aspetti, assicurata e progettata in collaborazione con la Fnsi, per quanto riguarda le condizioni sindacali, e con la Fieg, che dovrebbe essere egualmente interessata ad un continuo aggiornamento degli operatori dell'informazione.
Sin d'ora va stabilito che un Ordine dei Giornalisti rinnovato, tenendo anche conto della dimensione europea in cui viviamo, dovrà essere attrezzato per offrire continue possibilità di arricchimento e di affinamento professionale sia alle nuove generazioni sia a chi opera in quel "periodo di mezzo", che risente delle rapide trasformazioni in atto.

VI. Tutela degli interessi morali e professionali

E' questa un'attività che fa parte evidentemente dei compiti fondamentali di qualsiasi Ordine. Tuttavia è forte l'esigenza di rafforzare gli strumenti atti a potenziare la libera informazione e soprattutto l'accesso alle fonti.
In particolar modo va rigidamente salvaguardato il diritto al segreto professionale, superando contraddizioni e riserve derivanti da interpretazioni restrittive del Codice di procedura penale.
Inoltre va riconosciuta all'Ordine la facoltà di agire o essere convenuto in giudizio o costituirsi parte civile per la tutela dell'autonomia del giornalista e la difesa dei suoi interessi morali, professionali e materiali.

Norme transitorie

La recente decisione del Consiglio di Stato di riconoscere all'esame professionale dell'Ordine il carattere di "esame di Stato" conferma la piena appartenenza dell'Ordine dei Giornalisti al gruppo degli ordinamenti professionali, per i quali è in discussione al Parlamento una legge quadro, destinata a regolare i fondamenti della loro attività.
Al di là della legge-quadro si pone la necessità di un testo normativo snello, che regolamenti le specificità dell'Ordine attinenti alla professione giornalistica.
Tutto il resto, i dettagli del funzionamento dell'Ordine dei Giornalisti, potranno trovare definizione in uno statuto interno.
Va tenuto presente, insomma, che si sta andando verso strumenti normativi snelli, superando il vecchio approccio di una mega-legge sull'Ordine in sostituzione di quella del 1963. In particolar modo è possibile, auspicabile ed urgente - proprio per sensi di responsabilità verso le nuove generazioni che si affacciano al lavoro - realizzare la riforma dell'accesso come prima tappa di una riforma generale dell'OrdineLa recente decisione del Consiglio di Stato di riconoscere all'esame professionale dell'Ordine il carattere di "esame di Stato" conferma la piena appartenenza dell'Ordine dei Giornalisti al gruppo degli ordinamenti professionali, per i quali è in discussione al Parlamento una legge quadro, destinata a regolare i fondamenti della loro attività.
Al di là della legge-quadro si pone la necessità di un testo normativo snello, che regolamenti le specificità dell'Ordine attinenti alla professione giornalistica.
Tutto il resto, i dettagli del funzionamento dell'Ordine dei Giornalisti, potranno trovare definizione in uno statuto interno.
Va tenuto presente, insomma, che si sta andando verso strumenti normativi snelli, superando il vecchio approccio di una mega-legge sull'Ordine in sostituzione di quella del 1963. In particolar modo è possibile, auspicabile ed urgente - proprio per sensi di responsabilità verso le nuove generazioni che si affacciano al lavoro - realizzare la riforma dell'accesso come prima tappa di una riforma generale dell'Ordine.
Il giornalismo italiano chiede di svilupparsi in un quadro di riferimento stabile e certo. Siamo convinti che sia interesse del Parlamento, del Governo, degli Editori, di tutte le organizzazioni di categoria, ma soprattutto della società civile nel suo insieme garantire e potenziare la libera informazione e l'indipendenza del giornalista, segno distintivo della cultura, della democrazia, della civiltà di un Paese.

Marco Politi
Presidente della Commissione Giuridica dell'Ordine de Giornalisti

(Considerazioni finali: la Presidenza e l'Esecutivo hanno ritenuto opportuno, sulla base del dibattito svoltosi nei mesi scorsi in Consiglio Nazionale, di andare al confronto con le istituzioni e le forze parlamentari sulla base di un "Documento di indirizzo" che illustrasse i contenuti essenziali della riforma dell'Ordine dei Giornalisti, senza entrare prematuramente nei dettagli di un articolato.
Tra l'altro va tenuto presente che necessariamente la riforma si realizzerà attraverso una molteplicità di strumenti legislativi: legge-quadro degli ordinamenti professionali, testo specifico riguardante l'Ordine dei Giornalisti, statuto dell'Ordine nel quale saranno regolati tutti gli aspetti del funzionamento interno.
Insieme ai colleghi della Commissione Giuridica - Pierluigi Boroni, Rino Felappi, Antonio Cembran, Ezio Berard, Maurizio Bono, Francesco Naddeo e con il contributo di Vittorio Roidi e Francesco De Vito - ci siamo dunque attenuti al compito di presentare uno schema di documento il più possibile snello e di essenziale comprensione per i nostri interlocutori istituzionali.
Il documento è frutto di un dibattito sviluppatosi in Consiglio Nazionale a partire dal 1997 e proseguito nelle sessioni del Consiglio dall'ottobre 2001 in poi oltre che nella Consulta dei Presidenti e nei convegni dell'Ordine o di altre organizzazioni di categoria. Esso recepisce inoltre i contributi delle altre Commissioni del Consiglio Nazionale e le proposte pervenute direttamente alla Presidenza, all'Esecutivo, alla Commissione Giuridica).

(4 luglio 2002)