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Le regole dell'internet

La responsabilità extracontrattuale dei provider - 2

di Giuseppe Cassano e Iacopo Pietro Cimino - 19.02.04

 
Considerazioni a margine della prima relazione della Commissione UE in merito all'applicazione della direttiva n. 31/2000*

Prima parte

Nella sostanza, dunque, il «meccanismo» di responsabilità operante ai sensi della direttiva è basato sul presupposto della cosiddetta conoscenza del fatto e mancata attivazione. Per cui se qualcuno «segnala» ad un hosting provider la presenza di un contenuto asseritamente illegale ospitato in Internet per conto di un cliente, quel provider diviene - per ciò solo - corresponsabile nell'eventuale illecito realizzato dal proprio avventore qualora non provveda immediatamente a rimuovere detto contenuto dalla Rete.

Come già abbiamo avuto modo di affermare il provider, così operando (e cioè, oscurando le informazioni diffuse on line dal proprio cliente), si rende tuttavia potenzialmente inadempiente (ex art. 1218 c.c.) nei riguardi del proprio predetto avventore, per il caso in cui il contenuto rimosso dalla Rete si dovesse rivelare, in seguito, lecito ed assolutamente inoffensivo.
Tralasciando le considerazioni di carattere teorico-dogmatico sulla imputabilità del provider per atti compiuti dai propri clienti, tutto ruota allora attorno al concetto di notification.

Così l'art. 16 del DLgs 70/2003 dispone che il provider è ritenuto responsabile degli illeciti qualora: "a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso".

Il problema è «scottante» per l'interprete, tenuto conto che, come già abbiamo avuto modo di affermare e come oggi confermato anche dalla Commissione UE nella relazione sulla attuazione della direttiva 31/2000/CE, in assenza di una regolamentazione ad hoc è sufficiente a «far scattare» la corresponsabilità del provider (assieme a quella principale del proprio avventore) una «qualsiasi» comunicazione (anche magari una semplice e-mail) inviata dal soggetto che si presume leso. Dal che ne deriva consequenzialmente l'obbligo giuridico del provider di rimuovere il contenuto immesso on line dal proprio cliente, ad ogni (verosimile) segnalazione di illecito pervenutagli.

Da una parte, dunque, il provider ha l'obbligo giuridico di attivarsi al fine di impedire il perpetrarsi di violazioni commesse on line dai propri clienti mediante la porzione di server loro concessa. D'altra (come già detto), è tenuto a valutare attentamente l'attendibilità delle notification che gli perverranno, se non vorrà rendersi contrattualmente inadempiente nei riguardi del proprio cliente per l'ipotesi in cui il contenuto rimosso dalla Rete si riveli affatto illecito o illegittimamente utilizzato.
La situazione del provider è inoltre aggravata dalla assenza nel DLgs 70/2003 di una disposizione analoga a quella contenuta, ad esempio, nella normativa statunitense, laddove si dispone che, nell'ipotesi di cui sopra, sarà il soggetto che ha inviato la notification ad essere direttamente tenuto a risarcire il cliente per l'inadempimento contrattuale del provider.

Il problema costituito dalle notification è tanto sentito, anche nell'ambito comunitario, che nella precitata prima relazione sulla attuazione della direttiva 31/2000 è dedicato all'argomento un intero paragrafo.
La prima considerazione che muove l'estensore della relazione è che al momento di adottare la direttiva si decise, in seno all'Unione, di non disciplinare le procedure di «notifica e rimozione», limitandosi solamente l'articolo 16 della direttiva ed il considerando n. 40 ad incoraggiare l'autoregolamentazione in questo campo.
Tale impostazione è stata (purtroppo) acriticamente seguita anche dagli Stati membri, al momento di recepire la direttiva nelle rispettive legislazioni.

Tra gli Stati membri soltanto la Finlandia ha, infatti, inserito nella propria legislazione una disposizione che stabilisce una procedura di «notifica e rimozione», anche se unicamente in rapporto alle violazioni del diritto d'autore.
Per tutti gli altri Stati membri tale problematica rimane ancora aperta, restando relegata nella sfera di una autoregolamentazione che tarda a mostrarsi, tenuto conto che - come anche riferito dalla Commissione UE - il solo Belgio ha sinora stabilito una procedura di coregolamentazione orizzontale, mediante l'adozione di un protocollo di cooperazione con l'associazione locale dei fornitori di servizi Internet (il documento è disponibile al sito www.ispa.be/en/c040201.html).

Conscia, dunque, della grave lacuna determinatasi a seguito della inattività delle parti sociali, la Commissione, nella propria relazione sulla attuazione della direttiva n. 31/2000, ha allora: «attivamente incoraggiato gli interessati a sviluppare questo tipo di procedure».
Appare pertanto necessario che, in sede di autoregolamentazione, si determinino almeno gli elementi minimi di validità delle «notifiche», stabilendo, altresì, modalità uniformi per le procedure di «rimozione». Ciò soprattutto tenuto conto che si avrà comunque per l'Internet provider nel prossimo futuro (come già osservato, anche da altri) un ruolo inedito ed allarmante da novello «censore telematico», privo di toga o corona.

A monte restano, infatti, in considerazione i penetranti (ed inquietanti, anche alla luce del disposto di cui all'art. 21 Cost.) poteri di sindacato e controllo sull'informazione e sulla libertà di manifestazione del pensiero on line attribuiti dalla direttiva n. 31/2000 (ed in seguito dal DLgs 70/2003) ad un soggetto privato quale è (e rimane) l'Internet provider.

In conclusione venendo al piano comparatistico risulteranno utili ad orientare l'interprete le seguenti ulteriori considerazioni finali.
Più restrittiva dell'art. 16 DLgs 70/2003 risulta essere la corrispondente norma francese dettata dalla Loi n. 719/2000, la quale - a seguito di intervento abrogativo da parte del Conseil constitutionnel - nel determinare in capo al provider l'obbligo giuridico di attivarsi (sanzionabile anche penalmente) richiede l'emanazione di un provvedimento dell'autorité judiciaire.

Al riguardo si noti, inoltre, come il Conseil constitutionnel francese abbia dichiarato la contrarietà alla Costituzione di una disposizione della Loi n. 719/2000, per molti versi simile a quella dell'art. 16, proprio per la parte in cui affermava che il provider sarebbe incorso in responsabilità (anche penale) nel caso di omessa rimozione del contenuto ospitato on line, a seguito di semplici esortazioni alla rimozione pervenutegli dai presunti offesi.
Ha affermato, in tal senso, il Conseil constitutionnel che, omettendo di precisare le condizioni di forma di una tale responsabilità ed inoltre, non determinando le caratteristiche essenziali del comportamento colpevole, tale da determinare, all'occorrenza, la imputabilità degli interessati, il legislatore transalpino aveva disatteso i dettami che gli derivano dall'articolo 34 della Costituzione.

In ragione di ciò, il Conseil constitutionnel ha dichiarato pertanto la illegittimità costituzionale dell'art. 43-8 della predetta legge, nella parte in cui disponeva che: «- ou si, ayant été saisies par un tiers estimant que le contenu qu'elles hébergent est illicite ou lui cause un préjudice, elles n'ont pas procédé aux diligences appropriées» (nella libera traduzione degli autori: "- o se, essendo stati portati a conoscenza da un terzo che reputa illecito il contenuto ospitato [dal provider], oppure ritiene che detto contenuto gli causi un pregiudizio, non hanno proceduto alle appropriate diligenze").
Ma vi è di più.

Per valutare la fondatezza e legittimità delle notification che perverranno, i provider saranno tenuti ad affrontare gli elevati costi necessari ad apprestare uffici ad hoc, che si avvalgano della collaborazione di qualificato personale specializzato.
Muovendo da tali considerazioni riveste allora grandissimo interesse una recente decisione con la quale la Corte federale austriaca di giustizia costituzionale ha dichiarato incostituzionale la «Sezione 89» del Telekommunikationsgesetz (Legge di telecomunicazione), nella parte in cui impone(va) che le spese necessarie ad attivare le previste «misure di monitoraggio» dei contenuti veicolati sulle reti di trasmissione fossero poste a carico degli stessi fornitori di servizi di telecomunicazione.

Ha rilevato, al riguardo, la Suprema corte austriaca che: «la determinazione di chi deve sopportare le spese deve essere proporzionata allo stato ed agli interessi dei fornitori di servizi di telecomunicazione. Orbene, poiché dalla norma non si rivela alcuna considerazione per la regola di base della proporzionalità e poiché essa non riesce a limitare i carichi finanziari, la Sezione 89 del Telekommunikationsgesetz, nell'ultimo comma, è da ritenersi incostituzionale (omissis). Il fatto, poi, che lo Stato possa aver affrontato restrizioni di bilancio, non è, in sé stesso, sufficiente a giustificare la corrente regolamentazione delle spese prevista dalla Sezione n. 89 del Telekommunikationsgesetz» (Der Österreichische Verfassungsgerichtshof - VfGH, G 37/02 Ua - Sentenza del 27 febbraio 2003, nella libera traduzione curata dagli autori).
   

* Queste pagine sono la trascrizione dell'intervento svolto nell'ambito del corso di Diritto dell'Internet dell'European School of Economincs. Tali pagine integrate e con un apparato di note compiute confluiranno nel volume G. Cassano "Corso di Diritto dell'Internet. Manuale per la didattica"

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