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InterLex - RIVISTA DI DIRITTO TECNOLOLOGIA INFORMAZIONE

 

2017, l'internet delle cose e la società vulnerabile

Privacy e sicurezza - Manlio Cammarata - 9 gennaio 2017
La società dell'informazione

"La società vulnerabile" era il tema centrale del Forum del 1995, il primo nucleo di questa rivista. Dopo ventidue anni il problema della sicurezza è sempre in primo piano. Anche in funzione delle "cose" connesse via internet.

Quando parlavamo di "Comportamenti e norme nella società vulnerabile" non potevamo immaginare che dal neonato World Wide Web potessero nascere fenomeni come le reti social e l'internet delle cose. Ma era già evidente che il tema  della sicurezza sarebbe stato cruciale nello sviluppo della Rete.

Sicurezza dei sistemi interconnessi, sicurezza delle organizzazioni e delle persone. Che significa anche sicurezza delle informazioni sulle persone. In una parola quella che per semplicità chiamiamo privacy.
E' il caso di ricordare che alla fine del Forum fu dato in anteprima l'annuncio dell'approvazione della direttiva UE sulla protezione dei dati personali.

Facciamo un salto di ventidue anni. E' ufficiale: i capi dell'intelligence USA hanno confermato che hacker russi hanno violato i computer della candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti e dei suoi collaboratori, e diffuso documenti riservati al fine di influenzare la competizione elettorale. Un perfetto esempio di che cosa significa l'espressione "società vulnerabile".

Molti di noi pensano che problemi come quelli che da mesi agitano gli Stati Uniti non ci riguardino. Ma anche la nostra sicurezza, come privati cittadini, è minacciata. Nei nostri personal computer, tablet, telefonini sono sempre presenti software che registrano e comunicano a qualcuno dove siamo, che cosa facciamo, con chi siamo in contatto e persino che cosa c'è scritto nelle email che mandiamo e che riceviamo.

La cosa strana è che la maggior parte di queste intrusioni non è opera di hacker misteriosi. E' compiuta dai produttori di software, che lo dichiarano apertamente con le "informative sulla privacy", che nessuno ha la pazienza di leggere quando installa una app che sembra inoffensiva.
"Che m'importa?  Non ho niente da nascondere", è spesso la risposta di chi viene messo in guardia dai rischi dell'uso incauto degli apparecchi connessi in rete.

Invece ognuno di noi ha una serie di informazioni che dovrebbe proteggere a ogni costo. Non solo il numero di telefono, l'indirizzo e le preferenze sessuali dell'eventuale amante, ma prima di tutto le credenziali per accedere e compiere operazioni sul proprio conto corrente bancario, per fare un solo esempio.
"Google dovrebbe vuotarmi il conto? Ma va!"

Google no, ma potrebbe farlo un hacker che violi i sistemi di Google (è già accaduto più di una volta con Yahoo!) e si impadronisca del tuo profilo, insieme a milioni di altri. E non solo sfrutti le tue password e vuoti il tuo conto corrente, ma diffonda le tue email personali e di lavoro, con notizie che vorresti tenere riservate, come le tue opinioni politiche e il tuo stato di salute.

"Profilo" è una parola-chiave: Le intrusioni "dichiarate" nei nostri sistemi sono per lo più dirette a disegnare il profilo di ogni utente, con fini commerciali (ma giustificate con espressioni ridicole, oltre che menzognere, tipo "per migliorare la tua esperienza di navigazione".

Alla parola-chiave "profilo" si associa un'altra parola chiave: "rischio". Il rischio non è alto o medio o basso in assoluto, ma in relazione al "profilo" di colui che rischia e alla posta in gioco. Un'automobile "connessa" non solo può trasmettere molte informazioni sui percorsi e sulle abitudini del proprietario, ma può anche essere controllata a distanza da un malintenzionato con l'attivazione o la disattivazione dei freni o di altri organi essenziali.

C'è una serie di rischi che sembrano piccoli, legati a piccoli sistemi, come l'impianto di riscaldamento o il frigorifero. Che sono, o saranno presto "intelligenti", connessi in rete col tostapane, l'automobile e, naturalmente, con lo smartphone.
Questa è the internet of the things, l'internet delle cose. E l'internet delle cose è anche un pacemaker, che può trasmettere al medico lo stato del  cuore di chi lo porta, o la pompa di insulina di un diabetico: apparecchi connessi alla rete e quindi esposti ad attacchi (oltre che a interferenze casuali) che possono uccidere una persona.

La filiera che connette il nostro telefono "intelligente" ad altre persone è lunga e complessa. Ogni passaggio può essere bersaglio di un attacco informatico. Per esempio, se l'apparecchio è violato da un delinquente, questi potrebbe non solo sfruttare le informazioni che contiene, ma anche usarlo per violare altri sistemi, molto più critici. 

Ma perché accade tutto questo? Gli esperti ci spiegano come i nuovi sistemi "intelligenti" siano intrinsecamente insicuri, perché i loro produttori si preoccupano più di venderli che di proteggerli. E' possibile, dicono sempre gli esperti, che un hacker "entri" nel tuo frigorifero e da lì percorra la rete dal tuo smartphone fino ai server della CIA.

Probabilmente i server della CIA sono più protetti (più intelligenti?) di un tostapane, ma il rischio c'è. Non solo per le possibili incursioni di hacker esterni, ma soprattutto per le fughe di notizie causate da un operatore interno, un insider. Ed è più difficile difendersi da un insider che da un hacker, come dimostra la storia di Edward Snowden. Per non parlare di Wikileaks.

Ecco perché il concetto di "società vulnerabile" resta attuale. Dai grandi sistemi degli stati, o delle multinazionali, o dei social network, fino al giocattolo all'apparenza più inoffensivo, la sicurezza di tutti è sempre più a rischio.
Non è una bella prospettiva.

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