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 Nomi a dominio

Il rispetto della legge non è facoltativo
di Manlio Cammarata - 21.09.2000

La responsabilità penale può essere facoltativa? Ovvero, una persona può decidere se essere soggetta alla legge che definisce certi comportamenti come reati? Evidentemente no. In tutte le società civili ci sono norme che prevedono qualche forma di punizione per chi commette determinati atti, e nessuno può sottrarsi alle leggi penali.
Eppure in Italia c'è qualcuno che non ha cognizione di questa regola elementare. Si legge infatti nelle cosiddette "Regole di naming", emanate dall'ente incaricato (da chi?) di redigerle:

L'assegnatario si assume la piena responsabilità civile e penale dell'uso del nome a dominio stesso. A tale fine il richiedente e' tenuto ad inviare alla RA una lettera di Assunzione di Responsabilità (lettera di AR) secondo lo schema predisposto dalla RA.

Dunque, secondo questi signori, la responsabilità penale si può assumere per regolamento o per contratto, e della legge si può - o si potrebbe - fare a meno. Questa è solo una delle amenità contenute in quell'inqualificabile guazzabuglio che regola in Italia la delicata materia dell'assegnazione dei nomi a dominio sull'internet.

La questione è seria, perché la crescente importanza economica dei nomi a dominio, determinata dall'inarrestabile sviluppo degli aspetti commerciali della Rete, richiede norme certe, comprensibili, facilmente applicabili e, soprattutto, conformi all'ordinamento giuridico.
Non occorrono leggi nuove. Come dimostra una giurisprudenza uniforme - con la sola, contestatissima eccezione dell'ordinanza del Tribunale di Firenze dello scorso 29 giugno -  i nomi a dominio rientrano nella normativa sui marchi e sui segni distintivi. Sul punto non è il caso di dilungarsi in questa sede, perché l'argomento è stato trattato ampiamente anche su queste pagine (si vedano, da ultimi, gli interventi di Cassano e Venitucci in questo stesso numero).

Il problema è come evitare il sorgere di contese su una materia che può presentare aspetti complessi, ma è sostanzialmente semplice, e come far sì che l'eventuale contenzioso possa essere risolto in tempi compatibili con i ritmi frenetici della new economy.
Appare evidente che molti problemi possono essere evitati in partenza, nella fase della registrazione del nome, con regole ben fatte,  prevedendo nello stesso tempo procedure efficaci per risolvere gli inevitabili "malfunzionamenti" del sistema. Ma rispettando la conformità di regole e procedure con l'ordinamento giuridico del nostro Paese, con la nostra cultura giuridica.

Le attuali "regole di naming" non rispondono a questi requisiti. E' un testo che contiene disposizioni tecniche, norme di comportamento, richiami impliciti quanto inutili alla legge, previsioni "normative" deliranti e via elencando, il tutto senza alcun rispetto dell'ortografia e della grammatica.
Non è neanche chiara quale sia la natura di questo testo: un regolamento, un contratto, o che altro?
Dunque il primo punto da chiarire è la natura giuridica del rapporto che intercorre tra l'utilizzatore del nome a dominio e l'ente di registrazione (e prima ancora dovremmo capire qual è la funzione giuridica di questo ente, dal momento che le cosiddette authority sono una figura sconosciuta nel nostro ordinamento e che le "autorità indipendenti" sono tutt'altra cosa).

Se guardiamo la sostanza del rapporto con il richiedente, vediamo che l'ente di registrazione svolge un servizio, che consiste nell'inserire in un data base la denominazione scelta dal destinatario del servizio stesso. Dunque l'ente non "assegna in uso" il dominio, per il semplice fatto che non ha alcun diritto su esso (vedi, per un approfondimento I veri problemi giuridici dei nomi a dominio).
I diritti sul nome a dominio e le responsabilità per eventuali usi illeciti sono in capo alla persona fisica o giuridica che ha ottenuto la registrazione. Tutto questo deriva dalla legge e nessuna sedicente "autorità" può scrivere regole che siano contrarie o comunque non conformi alla legge. 
Ora, se la sostanza del rapporto che si instaura tra l'ente di registrazione e il titolare del dominio è la prestazione di un servizio dietro corrispettivo, è evidente che le cosiddette "regole di naming" dovrebbero essere semplicemente  le "condizioni generali di contratto", regolanti i rapporti tra i due soggetti contraenti. 

Tutto il resto, e in particolare le indispensabili regole tecniche, il cui minuzioso rispetto è essenziale per il funzionamento del sistema, costituiscono un "protocollo" tra l'ente di registrazione e il mantainer.
Naturalmente nel contratto di servizio devono essere inserite le clausole riguardanti  eventuali vizi della richiesta di registrazione, con l'indicazione dei casi in cui l'ente procede alla sospensione o alla revoca della registrazione stessa, compresa l'osservanza di decisioni arbitrali conseguenti a procedure di contestazione. Le regole per la composizione di controversie non farebbero parte delle condizioni generali del contratto e la loro accettazione dovrebbe essere facoltativa.

E qui arriviamo al punto più dolente. Le  regole adottate nello scorso mese di agosto mantengono la strana procedura arbitrale delle release precedenti (sono numerate come se fossero un software!), e aggiungono una nuova procedura contenziosa, ripresa da quella introdotta alcuni mesi fa dalla ICANN (si veda l'articolo di Fogliani).
La prima presenta una caratteristica a dir poco singolare: gli arbitri non possono essere nominati liberamente dalle parti, ma devono essere scelti in un elenco predisposto dall'ente. La seconda si fonda su una complicata quanto superflua struttura a base di "enti di attuazione" e di cosiddetti "saggi", che ha una funzione comprensibile in ambito internazionale, perché consente di saltare i problemi di legge applicabile e di foro competente, ma non ha senso per la risoluzione di controversie che sorgono tra soggetti italiani in seguito a rapporti che sono regolati dalla legge italiana.

Il fatto è che tutto l'edificio pseudo-normativo messo in piedi dall'ente di normazione è una cattiva copia della contrattualistica americana, le cui complicazioni derivano dall'assenza di codici tipica della Common Law, con la conseguente necessità di stabilire caso per caso una lunga serie di definizioni, principi e procedure, che nei paesi di diritto positivo (come l'Italia) sono oggetto di norme di legge.
La procedura arbitrale può essere semplicissima (come in qualsiasi contratto di assicurazione,  o negli statuti delle società): ciascuna parte nomina, in piena libertà, il proprio arbitro; i due nominano il terzo - in caso di mancato accordo si ricorre al Tribunale - e l'ente si obbliga a dare esecuzione alle decisioni del collegio arbitrale. Con un sovrappiù di zelo si potrebbe stabilire che il terzo arbitro deve essere scelto tra persone che possano vantare, oltre all'ovvia conoscenza del diritto, anche una sufficiente competenza tecnica, magari riconosciuta dall'ente di registrazione.

Un'ultima osservazione riguarda proprio l'ente che deve emanare le regole, perché  il buon senso e l'ordinamento dell'internet vogliono che questo soggetto sia separato dalla struttura tecnica che procede alle registrazioni. Sembra chiaro che in Italia la competenza su questa materia dovrebbe spettare all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

(Si veda la risposta: Regole di naming e rispetto della legge)