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 A futura memoria

In questa sezione di InterLex sono raccolti vecchi articoli, pubblicati originariamente su carta, che per un motivo o per l'altro tornano di attualità
Pubblica amministrazione: incomincia il futuro?
di Manlio Cammarata - Ottobre 1994

da MCmicrocomputer n. 144

L'organismo di coordinamento dell'informatizzazione dello Stato è attivo da più di un anno e mezzo. Cerchiamo di capire che cosa sta facendo e quali sono le sue strategie per far funzionare l'informatica pubblica

Da molti mesi su queste pagine non si parla di un tema trattato spesso nel passato: il processo di innovazione nei sistemi informativi della pubblica amministrazione. Il perché è presto detto: mancavano fatti che costituissero "notizie", cioè argomenti abbastanza importanti da richiedere una cronaca e un'analisi giornalistica. Però, a volte, anche l'assenza prolungata di notizie può essere un fatto interessante, una notizia. Ed è quindi sorta la curiosità di andare a vedere che cosa succede nell'organismo preposto allo sviluppo dei sistemi informativi pubblici, l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione (AIPA).
Per fare meglio il punto della situazione, è opportuno riassumere brevemente gli antefatti. Fino alla fine del '92 non c'era in Italia un organismo con specifiche funzioni di governo dell'informatica delle pubbliche amministrazioni. Nell'ambito del Dipartimento della Funzione Pubblica era attiva la "Commissione per i coordinamento dell'informatica nella pubblica amministrazione", nota anche come "Commissione informatica" o "Commissione Scatassa", dal nome del suo presidente. Era un organo consultivo, privo di qualsiasi potere di incidere realmente sullo sviluppo dell'informatica pubblica. La Commissione informatica studiava, delineava politiche di sviluppo, emetteva circolari piene di buoni propositi e anche di buone idee. I progetti intersettoriali del '90, per esempio, anticipavano alcune impostazioni di fondo valide ancora oggi.
Ma con la riforma della pubblica amministrazione, avviata di fatto con le leggi 142 e 241 del '90, una commissione consultiva non bastava più. E infatti la legge 421/92, sulla riforma del pubblico impiego, attribuiva al Governo la delega per la creazione di un organismo specifico per il coordinamento dei sistemi informativi della pubblica amministrazione. Poco dopo il professor Guido Mario Rey, presidente dell'ISTAT era nominato commissario straordinario per il settore. Qui incomincia la storia di oggi.
L'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione nasce formalmente il 12 febbraio 1993 con il Decreto legislativo n. 39, con Rey presidente. Ma bisogna aspettare la fine di maggio perché l'Autorità diventi operativa, con la nomina dei suoi quattro membri e del direttore generale.

Qualcosa di nuovo

L'istituzione dell'Autorità non è il solo punto importante del DL 39. In esso vengono poste basi solide per un corretto sviluppo dell'informatica pubblica, dai piani triennali delle singole amministrazioni (destinati a confluire in un piano triennale generale), alla riforma sostanziale delle procedure per il progetto, l'acquisizione e la gestione dei sistemi informativi. In particolare, il decreto contiene norme generali per gli studi di fattibilità e per il monitoraggio delle iniziative di automazione di maggiore rilievo, oltre ad alcune innovazioni di grande impatto organizzativo, come l'articolo 3, che stabilisce: "Gli atti amministrativi adottati da tutte le pubbliche amministrazioni sono di norma predisposti tramite sistemi informativi automatizzati", e più avanti introduce il concetto di "firma elettronica", una vera rivoluzione per la cultura burocratica del nostro Paese.
C'è grande attesa per il primo intervento pubblico del presidente dell'Autorità, al Forum per la pubblica amministrazione che si tiene a Roma in aprile. Ma Rey, sotto qualche aspetto, delude. Dobbiamo organizzarci, dice, devo studiare bene la situazione, ne riparliamo alla fine di giugno del prossimo anno, quando presenterò al Governo la relazione prevista dal DL 39.
Intanto l'Autorità produce le sue prime circolari e presenta un piano-stralcio per il '94, in attesa del piano triennale 1995-97. In altri interventi pubblici il presidente non si sbilancia troppo nell'esporre programmi o delineare strategie. Lamenta le difficoltà operative di un organismo ancora in formazione e annuncia una linea di fondo delle azioni future: l'informatica pubblica deve essere vista in un quadro globale, basta con le commesse settoriali che risolvono solo problemi circoscritti alle singole amministrazioni.
All'inizio del '94 l'Autorità presenta il suo primo consuntivo: la "Relazione di sintesi" traccia il bilancio del primo semestre di attività ed enuncia alcune linee fondamentali per l'evoluzione dei rapporti tra committenti e fornitori. Riporta anche i risultati delle prime indagini svolte per conoscere il reale stato di automazione delle amministrazioni centrali.
Nel frattempo vengono nominati, presso tutte le amministrazioni centrali, i responsabili dei sistemi informativi, un'altra importante innovazione introdotta dal DL 39. A questi viene inviata, in marzo, un'importante circolare che stabilisce norme di massima per la redazione dei progetti.
Alla scadenza del 30 giugno il primo piano triennale è pronto e viene presentato al Presidente del Consiglio dei Ministri. E lì rimane, pressoché segreto, come vedremo tra poco.

Le critiche

Ma intanto spira un vento di fronda nei confronti dell'Autorità. I fornitori si fanno i conti in tasca e concludono che la pubblica amministrazione italiana è sempre più avara di commesse. C'è la crisi economica, d'accordo, c'è anche l'effetto Tangentopoli che ha reso gli amministratori pubblici molto prudenti. Ma l'Autorità, invece di fare qualcosa per rilanciare gli investimenti, sembra volerli frenare, ritardando l'emanazione delle nuove norme per gli studi di fattibilità e per la stesura dei capitolati.
Più in sordina si manifesta lo scontento delle amministrazioni. Non c'è dubbio che l'Autorità, al cui "parere" devono obbligatoriamente essere sottoposti i contratti di maggiore rilievo, ha sottratto ai burocrati una non trascurabile fetta di potere; inoltre la legge impone regole nuove e più vincolanti per le procedure d'appalto. Si dice poi che la richiesta del parere dell'Autorità rallenti il procedimento. Il parere deve essere emesso entro sessanta giorni, che decorrono dalla notificazione dell'apertura del procedimento, e questa può essere ritardata da eventuali richieste di chiarimenti da parte dell'Autorità. Inoltre, nei casi in cui è richiesto anche il parere del Consiglio di Stato, si possono aggiungere altri sessanta giorni.
Ai primi di luglio il presidente dell'IBM, Lucio Stanca, affida alle colonne del Corriere della Sera un atto di accusa nei confronti della pubblica amministrazione, senza citare l'Autorità, con il titolo: "Tangentopoli, gli appalti e la sindrome del prezzo". Rey gli risponde dalle pagine del Sole 24 Ore, ma il testo è pubblicato il 18 agosto, quando tutti sono in ferie. Nell'articolo Rey trascura le "querule lamentele relativi agli scarsi finanziamenti per il settore (le risorse finanziarie non sono in questo momento il punto centrale)" e afferma: "L'informatica deve essere innervata nel sistema decisionale del Paese e nel suo sistema amministrativo. Tutti, operatori e utenti, devono essere consapevoli che ci si sta muovendo verso un mondo nuovo, di cui forse molte coordinate ci sfuggono e ci sfuggiranno per molto tempo, a noi e a molti altri, ma una cosa è certa: non possiamo stare fermi". Traccia quindi un modello in cui le pubbliche amministrazioni devono uniformarsi a un'unica strategia di informatizzazione, devono collaborare e interconnettersi, e devono essere pronte ad adattarsi ai cambiamenti. Su questa base, prosegue il presidente dell'Autorità, è stato elaborato il piano triennale 1995-97, che "potendo esercitare una visione sull'insieme della PA centrale, ha coordinato gli interventi in modo tale da configurare una 'rete di aziende' in cui ogni amministrazione rappresenta un elemento fortemente interrelato e interconnesso agli altri, tanto da consentire, in prospettiva, un punto di contatto unico per ciascun servizio o prestazione" (di alcuni importanti aspetti del piano triennale si parla nel riquadrato).

Difficoltà operative

Ecco dunque diversi buoni motivi per andare a vedere che cosa succede negli uffici dell'Autorità e fare qualche domanda al suo presidente.
"L'informatica? - fa l'usciere di una sede distaccata della Presidenza del Consiglio - La palazzina qui dietro, terzo piano". Ma al terzo piano un cartello regolamentare avverte: "Vietato l'ingresso ai non addetti ai lavori". In materia di informatica mi ritengo un addetto ai lavori, ed entro. Ma nell'appartamento non c'è informatica, solo lavori in sospeso di una squadra di imbianchini. Una rapida indagine mi porta a scoprire che "l'informatica" è al quarto piano. Dove, con tutta evidenza, gli imbianchini hanno terminato da poco il lavoro...
Tra pareti immacolate mi accoglie Antonio Ricci, responsabile delle relazioni esterne dell'Autorità. Dottor Ricci, in giro si dice che l'autorità batte la fiacca. E' vero? "Lavoriamo al limite delle possibilità umane - risponde - l'organico dovrebbe essere di centocinquanta unità, e siamo solo cinquanta, per di più tutti provvisoriamente distaccati da altre amministrazioni. Abbiamo già fatto due traslochi e questa non è ancora la sede definitiva. La nostra situazione è provvisoria anche sul piano funzionale, perché Corte dei Conti e Consiglio di Stato non si decidono ad approvare i regolamenti che ci porteranno all'autonomia finanziaria e gestionale. Eppure abbiamo portato a termine moltissime iniziative. Sono stati nominati i responsabili dei sistemi in tutte le amministrazioni, abbiamo compiuto un'indagine sul patrimonio informativo degli enti, abbiamo analizzato oltre centocinquanta banche dati. Alla fine di marzo di quest'anno, su 94 richieste di parere sui piani di informatizzazione ne avevamo esaminate 85: per 34 abbiamo emesso parere favorevole, per 24 parere contrario, 21 sono state definite fuori dalla procedura dell'articolo 8 del DL 39, 6 sono in corso di istruttoria o in attesa del parere del Consiglio di Stato".
E il piano triennale? Perché non viene tenuto ufficialmente nascosto? "Le linee generali - risponde Ricci - sono note. Il piano 1995-97 è nato dal basso, perché è stato redatto sulla base dei piani triennali elaborati dalle amministrazioni. Abbiamo individuato una serie di progetti "trasversali", che interessano diversi enti. Vogliamo finalmente ragionare non a compartimenti stagni, ma seguendo una linea generale. Deve essere chiaro che vogliamo far fare un salto di qualità al Paese. Per dare una forte credibilità a questa inversione di tendenza, anche in termini di trasparenza e di una visione diversa del rapporto tra clienti e fornitori, abbiamo elaborato qualcosa come 350 nuovi progetti. Abbiamo presentato il piano al ministro della Funzione Pubblica e al presidente del Consiglio nei termini stabiliti dalla legge. Ma deve restare riservato, perché sarà inserito nella legge finanziaria per il '95, e non sarebbe opportuno diffondere in anticipo le cifre relative agli stanziamenti. Con l'approvazione della finanziaria tutto sarà reso pubblico".
Ci sono anche altri problemi di interesse strategico. Per esempio le disposizioni relative al documento e alla firma elettronica, che renderebbero operativa la previsione dell'articolo 3 del DL 39, che stabilisce che gli atti amministrativi adottati da tutte le pubbliche amministrazioni sono di norma predisposti tramite sistemi informativi automatizzati. O l'importantissimo progetto del "mandato elettronico di pagamento", che semplificherebbe e renderebbe molto più rapide molte procedure contabili. Anche qui il dottor Ricci ha la risposta pronta: "Sul mandato elettronico stiamo lavorando e siamo a buon punto. Non è semplice, perché richiede importanti modifiche alla legge sulla contabilità dello Stato, per le quali stiamo elaborando un progetto".

Un'autorità poco... autorevole?

Se l'accusa ha buoni motivi per criticare il lavoro svolto dall'Autorità, la difesa non manca di solidi elementi, basati su dati di fatto. Non è compito di una rivista di informatica giudicare se l'una o l'altra abbiamo ragioni più forti, ma si impone un ragionamento più generale, che inquadri i dati disponibili nella situazione complessiva dei sistemi informativi pubblici.
Non c'è dubbio che il decreto legislativo 39/93 ha disegnato le linee generali di un modello innovativo, che appare funzionale sotto molti aspetti. La creazione dell'Autorità e le sue prime iniziative segnano un momento di stacco deciso con le prassi precedenti e riconducono a una visione unitaria tanti progetti che in passato procedevano ciascuno per proprio conto. L'inversione di tendenza è nei fatti, ma è indiscutibile che non si può invertire la marcia di un convoglio senza prima fermarlo. Ed è naturale che a qualcuno dia fastidio l'arresto, e che ad altri possa non piacere la nuova direzione. Ma l'andazzo precedente doveva in qualche modo finire.
Data questa premessa, ci si deve chiedere se nel suo primo anno e mezzo di vita l'Autorità abbia soddisfatto le attese iniziali. Qui il discorso diventa difficile, perché da una parte c'è una palese insufficienza strutturale, ma dall'altra forse si poteva procedere più speditamente su alcuni punti (come le regole per i capitolati, gli studi di fattibilità e i monitoraggi), che potrebbero limitare gli inconvenienti legati all'inversione di tendenza nella politica di informatizzazione degli uffici. Forse l'Autorità soffre degli stessi mali del sistema che ha il compito di innovare: la lentezza burocratica e la complessità delle procedure che non le permettono di essere completamente operativa con i tempi che la gravità della situazione generale richiederebbe, si riflettono anche al suo interno. Ma un anno e mezzo dovrebbe bastare a produrre poche norme operative, visto che il nucleo di esse è già contenuto nelle disposizioni dell'Unione Europea, come osserva il presidente Rey nell'intervista.
Più importante è il discorso sulle scelte strategiche, sulle linee-guida che l'Autorità deve indicare per rendere effettiva la svolta tanto attesa. E qui si inserisce un aspetto più generale, legato alla visione d'insieme che ha determinato la costituzione dell'organismo. All'interno della Presidenza esiste il Dipartimento della Funzione Pubblica, un quasi-ministero che ha il compito specifico di progettare e rendere operativa una profonda riforma della pubblica amministrazione. L'articolo 4 DL 39/93 ha creato l'Autorità come un'entità autonoma "che opera presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con autonomia tecnica e funzionale e con indipendenza di giudizio". Questo significa che chi determina le strategie generali dell'innovazione dell'intera organizzazione non ha il controllo di chi guida l'innovazione dei mezzi che fanno funzionare l'organizzazione stessa, il che è discutibile. La buona volontà di collaborazione tra Dipartimento e Autorità potrebbe venir meno, portando a sfasamenti la cui eliminazione investirebbe la Presidenza e rallenterebbe qualsiasi progresso. Forse è proprio l'indipendenza funzionale tra Dipartimento e Autorità che rende poco incisive, o poco visibili, le linee strategiche individuate da quest'ultima. Molte indicazioni appaiono corrette, dal coordinamento dei progetti (con le relative conseguenze per la scelta degli standard), al cambiamento dei rapporti tra fornitori e clienti. Sono soluzioni previste da tempo, come molte previsioni contenute nel piano triennale, che richiamano i "progetti intersettoriali" di buona memoria.
Ma tutto questo non si traduce, forse anche per una forma di "understatement" in qualcosa che appaia come un Progetto, con la P maiuscola, una proclamazione di principi che renda l'idea di un'azione con obiettivi importanti e ben definiti. Questa situazione è nello stesso tempo causa ed effetto di una percezione di basso profilo dell'Autorità da parte di molti addetti ai lavori. Con un facile gioco di parole si potrebbe dire che l'Autorità appare poco autorevole. Forse per questo il presidente Rey ha concluso l'intervista dicendo: "Vorrei che mi prendessero sul serio".

L'intervista
Rey: piano piano andiamo avanti.

Guido Mario Rey, professore ordinario di politica economica e finanziaria presso la facoltà di Economia e Commercio della Terza Università di Roma, è diventato presidente dell'AIPA dopo aver presieduto per molti anni l'Istituto Centrale di Statistica. Questo è il luogo dal quale si può veramente avere una visione globale, a trecentosessanta gradi, della situazione del Paese in ogni settore. E probabilmente questa impostazione è anche alla base della sua concezione dei sistemi informativi pubblici, come si può intuire dal contenuto dell'intervista.

Professor Rey, l'istituzione dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione è stata salutata, all'inizio, come un'idea risolutiva per i problemi di un settore vitale per la società italiana. Ora, a distanza di un anno e mezzo, sembra che le critiche siano più dei consensi. Critiche che riguardano il presente, l'azione svolta in questa prima fase, e critiche che riguardano in qualche modo il futuro. Incominciamo, se non le dispiace, dalle prime: si dice, in particolare da parte dei fornitori, che le commesse della pubblica amministrazione siano calate drasticamente. Uno studio dell'ANASIN, Sempre stando ai "si dice", rivelerebbe un calo del sette per cento nel '93, e non è poco. Responsabile dello stallo, oltre ai fattori dell'economia in generale, sarebbe proprio l'Autorità, che ritarderebbe l'emanazione di alcuni regolamenti considerati essenziali per la ripresa delle commesse: in particolare i modelli di capitolato e le norme per gli studi di fattibilità e per monitoraggio. In mancanza di questi punti di riferimento, dicono i fornitori, non si può andare avanti. E' vero?

Il fatto che ci siano delle critiche lo trovo normale, giusto, corretto. Sarei preoccupato se non ci fossero. Perché se non ci fossero queste critiche significherebbe che la nostra capacità di incidenza è molto bassa, significherebbe che siamo soltanto un organo di studio che non dà fastidio a nessuno, e potrebbe interessare solo la spesa pubblica, la Corte dei Conti. Alcune critiche sono giustificate, altre sono ingiustificate. Alcune dipendono da fatti che non possono essere attribuiti a noi, quindi si tratta di mettere le cose al punto giusto ed esaminarle nei termini più corretti. Non credo che il fermo della spesa per l'informatica delle pubblica amministrazione abbia molta attinenza con l'Autorità, a parte il fatto che si continuano a citare le cifre del '93 e sul nuovo non si dice nulla. Se andiamo a guardare i "pareri" che abbiamo emesso, le assicuro che siamo a dieci volte tanto. Da questo punto di vista sono assolutamente tranquillo. La faccenda dell'ANASIN è abbastanza stravagante, i casi sono due: o mi dicono che c'è un'Autorità anche nel settore privato, oppure c'è qualcos'altro, qualcosa di strutturale che deve essere visto. Che ci sia un problema strutturale, credo che sia un fatto di dominio pubblico, che non riguarda solo l'Italia, riguarda in mondo. Che loro volessero avere un aiuto è un altro discorso, ma questo l'ho dichiarato fin dal primo giorno: l'Autorità non ha come compito fondamentale il sostegno dell'industria.

D'accordo, non ha il compito di sostenere, però può frenare. Perché, se per far partire nuove procedure occorrono nuove regole, e le regole non vengono, le procedure non partono.

Questo è un altro discorso, questo è il secondo punto e ci arriviamo tra poco. Sul piano degli investimenti informatici sono assolutamente tranquillo, sulla base di un'ipotesi strategica che invece l'industria non vuole, o non ha voluto prendere in considerazione. L'ipotesi della crescita degli investimenti informatici della pubblica amministrazione secondo il sentiero tradizionale era arrivata a un punto di saturazione, per cui da quella strada non avrebbero potuto tirar fuori più nulla, indipendentemente dall'Autorità, perché era una strategia giunta al termine. La strategia era quella dell'informatizzazione tutta interna alle singole amministrazioni su alcune funzioni. Ma ormai i grossi investimenti erano stati fatti, una strategia diversa non poteva essere gestita dalle singole amministrazioni.

Lei vuol dire che è stato chiuso un periodo commesse facili...
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E' dal punto di vista strategico che contesto l'idea che ci sia un freno. La fermata era nelle cose, quella strategia non aveva respiro. Quindi mi aspettavo, mi aspetterei, di avere un supporto per un'azione di interconnessione strategica. Che però, e questo è il punto sul quale io gioco in attacco, richiede da parte dei fornitori un cambiamento organizzativo nei rapporti con la pubblica amministrazione. Fuor di metafora, se loro continuano a ragionare sulla base della percentuale di fatturato da assegnare al rappresentante presso la singola amministrazione, questo significa che hanno ancora una visione legata alla singola amministrazione, al singolo contratto. Questo è un punto strategico non trascurabile, che solo alcune imprese cominciano a capire. Noi puntiamo a contratti che consentano di allocare parti della commessa su tutto il territorio nazionale, e allora per loro esiste il problema di come assegnare la percentuale di fatturato per la parte consegnata in un luogo piuttosto che in un altro. Questa oggi è la vera difficoltà delle imprese, non è soltanto un problema di regole nostre, è un problema che deriva dalla strategia della pubblica amministrazione che cerca di chiudere un sistema incasellato per farlo diventare un "sistema" e basta. E' la fine del regime feudale, non è cosa da poco. Allora, lamentarsi della caduta del fatturato, ammesso che ci sia... Francamente, io mi preoccuperei più del futuro.
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Ma questi famosi regolamenti, quando arriveranno?

E qui entro nella seconda parte. Abbiamo avuto una lunga stagione di dibattito sui temi degli studi di fattibilità, dei monitoraggi, dei contratti, e credo che ormai siamo arrivati a buon punto, penso che fra poco dovremo incominciare a far emergere delle novità. Tuttavia non credo che sia questo il problema. Premesso che noi i regolamenti dobbiamo farli, questo discorso è anche un alibi, perché le regole comunitarie sono lì da qualche anno, e quello su cui noi puntiamo sono le regole comunitarie. I regolamenti possono aiutare a rendere più facile il lavoro, ma le regole sono quelle. Molte volte ho la sensazione che si vogliano modificare le regole senza porsi il problema di come renderle più fluide. Noi ci proviamo, ma i pilastri sono definiti, e tutto quello che noi abbiamo nella nostra normativa è nelle regole comunitarie. Molte volte invece c'è il tentativo di far finta che quelle regole non ci siano. C'è il fatto che il passaggio dal passato al futuro impone degli adattamenti. Il mondo non inizia a una certa data, questo è ovvio, si possono difendere e valorizzare gli investimenti fatti, c'è un discorso di culture aziendali, c'è un problema di rapporti. Per carità, la storia è uno dei grandi punti che ci consente di muoverci con sicurezza, con tranquillità, però bisogna cambiare, e piano piano ci muoviamo. E qui ho sovente la sensazione di avere interlocutori molto prudenti, così come è prudente la pubblica amministrazione, così come è prudente l'Autorità. Mi rendo anche conto che da parte loro ci sono certe esigenze, però ho visto anche che da quest'altra parte, dalla parte della pubblica amministrazione, ci sono interlocutori molto dinamici, molto pronti. Da questo punto di vista il panorama è molto più vivace. Una volta che è stato accettato il fatto che noi facciamo sul serio, qualcosa si muove.

Che cosa si muova, professor Rey, non è chiaro. Al Forum del '93, nel suo primo discorso fatto come presidente dell'Autorità, lei non ha esposto programmi di lavoro, progetti, strategie. Lei ha detto: sto studiando la situazione, vi dirò qualcosa l'anno prossimo, in giugno. Giugno è passato, siamo in settembre...

In giugno ho parlato...

Evidentemente non sono abbastanza informato, oppure lei ha parlato a voce troppo bassa... Ci dite che è stato esaminato un gran numero di piani di informatizzazione delle amministrazioni, ma forse sarebbe necessario qualcosa di più. Quando l'Autorità afferma che gli standard sono importanti, che la rete è importantissima, dice cose giuste, ma che non bastano a disegnare un "progetto" nel senso più ampio del termine. Qual è la strategia generale? Su quali linee deve muoversi l'innovazione? E come si colloca l'innovazione del settore informatico nel quadro dell'innovazione della pubblica amministrazione? Perché è chiaro che le tecnologie devono essere inserite in un contesto organizzativo, e questo contesto organizzativo, lo si ripete da anni, deve essere rinnovato a fondo.

La risposta è che le strategie ci sono, le abbiamo esposte in un documento inviato all'inizio dell'anno a tutti i responsabili dell'informatica della pubblica amministrazione. Dire che l'Autorità non ha una strategia non è giusto.

Non ho detto che non ce l'ha, ho chiesto se c'è, perché il pubblico non la conosce, in giro non se ne parla.

Il DL 39 dice che i piani di informatizzazione delle amministrazioni devono essere fatti sulla base di indirizzi strategici emanati dall'Autorità, e noi questi indirizzi li abbiamo emanati. Se poi lei non li conosce, questo è un altro problema, si potrà dire che l'Autorità è "chiusa", o che l'ufficio stampa non fa abbastanza bene il suo lavoro. E' più grave che non le conoscano i fornitori.

Quello che sanno o non sanno i fornitori è un altro discorso. Il mio compito non è riferire ai fornitori, è riferire ai lettori di Mcmicrocomputer, cioè a moltissime persone che seguono con interesse questi problemi, e che chiedono di essere informate.

Ma questa è un'obiezione che ci viene dal mondo dell'industria. Le due grandi critiche sono: primo, che noi abbiamo impedito lo sviluppo dell'informatica dal '93, secondo, che l'Autorità non ha una visione strategica dell'informatica nella pubblica amministrazione e quindi si balocca emettendo pareri, stabilendo il cinque per cento in più o il cinque per cento in meno. Sì, d'accordo, c'è anche questo, però dire che manca la strategia è troppo. Che lo dica lei, che è un giornalista, potrebbe essere considerato come un'accusa nei miei confronti o nei confronti del mio ufficio stampa. Ma che l'industria mi dica di non conoscere le strategie dell'Autorità mi sembra strano. Significherebbe che per la prima volta siamo riusciti a spezzare un certo tipo di rapporti tra clienti e fornitori.

Non sarebbe da buttar via, come primo risultato... Ma veniamo al dunque: l'Autorità ha informato delle sue strategie i responsabili dell'informatica nelle singole amministrazioni. Possiamo esserne informati anche noi?

Diamo un significato preciso alle parole: le strategie non sono chiacchiere a vuoto. Una parola in più o in meno cambia tutto. Il concetto fondamentale che è alla base della nostra strategia è quello di "condivisione dei sistemi informativi". Noi non parliamo di "informatica nella pubblica amministrazione, parliamo di "sistemi informativi della pubblica amministrazione". Questo i fornitori non lo vogliono capire. E l'attuazione di questa strategia, pur nel rispetto assoluto dei campi di rispettiva competenza, che è una delle mie nevrosi, alla fine deve trovare qualcuno che offre e qualcuno che domanda. Se chi offre si pone in qualche modo non in sintonia con chi domanda, io non posso attuare la strategia. Potrò poi dire che non è colpa mia, ma al suo lettore questo non interesserà. E' importante invece avere una chiara condivisione dei principi, in modo che quando uno annuncia una strategia, ci sia qualcun altro che l'accetta, in diversa misura, o addirittura non la condivide, ma almeno sappiamo di cosa parliamo. Il mio punto di fondo è questo: noi parliamo di sistemi informativi, non parliamo di informatica. E questo è scritto nella legge, il DL 39/93. Ora si dice che ci siamo inventati i sistemi informativi automatizzati, leggi: informatica. No. Da questo punto di vista, una volta impostato lo schema, derivano alcune conseguenze. La prima è che, evidentemente, si usa il principio dei sistemi informativi perché quello che deve essere condiviso è l'informazione. allora la cosa fondamentale non è il fatto che ci sia qualcuno che elabora l'informazione, ma che chiunque elabori la sua informazione la possa condividere: ecco il discorso degli standard, delle regole. La seconda considerazione è: se io dò soltanto un supporto per risolvere un problema locale specifico, questo entra nella schema che abbiamo chiamato "dell'informatica", ma ai fini del sistema informativo, se non riesco a trovare qualcun altro che possa utilizzare questo supporto, direttamente o indirettamente, rielaborato o non rielaborato, è come se io dicessi che sto dando gli strumenti per fare l'informatica segretariale, l'office automation: Ma neanche questo mi interessa più di tanto. Terzo, devo avere un sistema che faccia viaggiare rapidamente e in maniera poco costosa le informazioni. Quarto, che ognuno sappia quali sono le regole con cui si creano i sistemi informativi e con cui si dialoga. Quinto, ed è la cosa più importante, nessuno deve pensare di avere una riserva sull'informazione, a meno che questa non venga stabilita da una normativa specifica. Tutto questo ha come corollario il fatto che se condivido le informazioni posso anche condividere i software che elaborano le informazioni, e quindi significa che a questo punto non occorre far fare tante volte il software, ne basta una. C'è un altro particolare: le macchine ognuno può sceglierle come gli pare, però devono consentirgli di parlare. Perché altrimenti avrò anche le macchine migliori del mondo, ma mi risolveranno solo un problema specifico, mentre devono appartenere a un dominio più ampio, perché altrimenti si dovranno sopportare altri costi. Infine, ed è la cosa più difficile, bisogna far capire che la gestione, e soprattutto la progettazione di sistemi informativi complessi, richiede una capacità di intelligenza che compete al cervello dell'amministrazione, e non alle braccia. Non mi interessa il problema di come gestire le braccia, perché si possono trovare tante diverse soluzioni, ma il cervello deve sapere che cosa possono fare le braccia. Da questo punto di vista la strategia di ieri, in cui si discuteva soltanto delle braccia. è completamente diversa da quella di oggi.

Torniamo quindi a una mia domanda di poco fa: in che modo tutto questo si inserisce nel quadro della tanto auspicata riforma della pubblica amministrazione? Perché va bene parlare di sistemi informativi invece che di informatica, su questo punto siamo perfettamente d'accordo, ma poi questi sistemi informativi dove li mettiamo? A chi affidiamo la gestione delle informazioni?

Il discorso rientra nei limiti che ho detto poco fa: io non intendo essere, neanche in via subordinata, colui che ha come strategia la riformulazione dello schema organizzativo della pubblica amministrazione, questo è fin troppo ovvio. Io ho come unica aspirazione che la gente mi prenda sul serio e che quindi sappia che se va nella direzione che ho indicato troverà certamente una struttura che la aiuterà a realizzare quei disegni. Noi siamo pronti a dare tutta la nostra collaborazione. Dopo di che è evidente la risposta a un'altra domanda: se le persone non sono in grado di capire il concetto di "sistemi informativi", e se gli lasciamo l'iniziativa, non si va da nessuna parte. Ma io confido in un grande aspetto della natura umana, che è l'imitazione. Sono convinto che se piano piano incominciamo a far partire questo tipo di progetti, poi il sistema si espande naturalmente. Il mio compito è quello di dare a coloro che fanno questo tipo di progetti la certezza che troveranno sempre qualcuno pronto ad aiutarli. Poi forse non sempre ci riuscirò, ma questo è un altro discorso. Devono sapere che hanno un interlocutore serio, direi proprio da un punto di vista "aziendale". Solo facendomi identificare con questa funzione, sono in grado di dare una visione strategica non più solo dei sistemi informativi automatizzati, ma dell'Autorità, perché nessun altro può garantire questa indipendenza, questa "terzietà". Se siamo credibili su questo punto, l'Autorità diventa uno strumento imprescindibile, perché altrimenti non c'è nessun altro sistema istituzionale che possa far parlare tra loro le amministrazioni pubbliche.