FORUM MULTIMEDIALE
LA SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE

 

COMPORTAMENTI E NORME NELLA SOCIETÀ VULNERABILE

 


INTERVENTI - 25


Internet: miti, sicurezze, abitudini
di Bernardo Parrella


Non è certo un buon inizio "ingessare" la complessità della società dell'informazione con il tentativo di definire comportamenti ammissibili (o meno) e relative norme giuridico-repressive. E' un po' come se l'avantielenco telefonico, anziché dare istruzioni per effettuare chiamate urbane o intercontinentali, fornisse innanzitutto dettagliati avvisi che spiegano cosa sia consentito dire o meno attraverso la cornetta, con tanto di pene previste in caso di flagranza. E perché non farlo, dopotutto? Non è forse vero che il telefono rimane di gran lunga il mezzo di comunicazione più usato nel mondo per commettere attività criminali d'ogni tipo e portata, dalle chiamate intimidatorie notturne agli attentati terroristici internazionali? E ciò nonostante consuetudini sociali stabilite da decenni, complessi sistemi di intercettazione, precedenti e dispositivi legislativi, pene incluse.
Peccato però che simili iniziative avrebbero effetti "laterali" più che catastrofici facili da immaginare. Dopo aver letto tali schede informativo-criminali, come fare a convincere il solitario abitante d'una baita d'alta montagna alpina o l'anziano di un villaggio caucasico che da quello strano aggeggio tondo e bucherellato non fuoriesce un proiettile vagante ma reale voce umana? Bè, dirà qualcuno, se stavolta è andata più o meno bene, non è il caso d'insistere, meglio smetterla con questa storia dell'accesso universale alle moderne tecnologie: non si sa mai in quali pericolosi criminali potremmo tutti trasformarci.
Ecco gli ottimi motivi per cui - in Italia ben più che altrove - magistrati, legislatori, organi d'informazione e quant'altri vanno sì occupandosi di telematica ma quasi tutti ben decisi a stabilire in primis "comportamenti e norme nella società vulnerabile", come recita il titolo di questo forum. E perché mai sorprendersi, quando la recente storia italiana radiotelevisiva, editoriale, culturale è lì a testimoniare di spartizioni, lottittazioni e monopoli intoccabili? Nessuna illusione, quindi: Internet e la telematica vanno prima di tutto delimitati e regolamentati, mitizzati e criminalizzati. Non importa se le leggi risulteranno inapplicabili ed inutili, se resteremo nuovamente ultimi sulla scena internazionale. O se qualche genitore impaurito impedirà l'uso di quei "micidiali aggeggi" al figlio sedicenne. Con lo scontato obiettivo di voler "difendere" l'intero corpo sociale, urge una forte limitazione alla libera circolazione delle idee per via telematica.

Fantascienza? Lo speriamo di cuore. E' comunque un fatto come oggi scarseggi quell'approccio ampio ed articolato che la natura stessa del medium elettronico richiede, e poco si fa per comprendere, interpretare e partecipare al positivo sviluppo di potenzialità e partecipazione interattiva. Nascono così una serie di miti o "leggende telematiche" che non hanno alcuna ragione d'esistere, primo fra tutti quello sulla sicurezza dei sistemi connessi ad Internet. "La sicurezza è perduta in cyberspace," recita un recente titolo del New York Times, mentre esperti, ed addetti ai lavori vanno ripetendo da tempo come l'assoluta sicurezza dalle indebite appropriazioni di dati riservati per via telematica è cosa impossibile a realizzarsi, proprio come per rapine in banca o furti d'appartamento nella vita reale. Ma pare siano in pochi a crederci: a scanso di spiacevoli sorprese meglio informare alla svelta ed innalzare fili spinati.

Nel 1994 sono state 2.241 le intrusioni illegali nei network su Internet, quasi il doppio dell'anno precedente: questo il dato riportato dal Computer Emergency Response Team (CERT), l'agenzia para-statale statunitense che segue l'andamento degli "incidenti" su Internet. E un sondaggio condotto lo scorso novembre dalla rivista Information Week e dall'azienda di consulenze internazionali Ernst & Young rivela che, sempre relativamente al 1994, oltre la metà delle 1270 grandi aziende interpellate ha subito perdite finanziarie dovute ad intrusioni nei propri sistemi computerizzati, con 17 compagnie che dichiarano perdite superori al milione di dollari. Altre statistiche fissano in oltre 500 milioni di dollari l'ammontare delle perdite dovute ai "furti elettronici" dei numeri di carte di credito nello scorso anno, mentre un recente numero del Security Insider Report segnala il caso di acquisti effettuati illegalmente via carta di credito per un valore di 300.000 dollari. "L'episodio non è però accaduto online, e la stragrande maggioranza dei furti elettronici non avvengono via Internet," dice Stanton McCandlish, attivista online della Electronic Frontier Foundation (EFF). "È vero, però, che tale fenomeno, finora alquanto raro, va facendosi sempre più frequente, grazie alla maggior presenza del traffico commerciale su Internet ed alla contemporanea scoperta di continui buchi nella sua sicurezza. E ovunque girino soldi è ovvio che ci sia anche chi voglia approfittarne illegalmente." Più in generale, troppo spesso col termine "crimini informatici" si accomunano pratiche e comportamenti che poco o nulla hanno a che fare con le attività online: falsari tecnologici, spioni aziendali, scaltri telefonisti, impavidi corruttori. Ed anziché legislazioni nazionali del tutto inattuali ed inapplicabili (non esistono confini in ciberspazio, giusto?), già oggi gran parte dei problemi possono essere risolti con un pizzico di buon senso e responsabilità personali, semplici precauzioni tecnologiche da parte degli amministratori e soprattutto efficaci programmi di encriptazione.

Per banche e grandi aziende, come anche che per i sostenitori del pieno diritto alla privacy, è proprio la crittografia la chiave di svolta del futuro. Il digi-cash avanza inarrestabile a spingere shopping online e transazioni varie, con implicazioni che "potrebbero trasformare la vita economica e finanziaria del mondo," come scrive Business Week, mentre effettuare operazioni bancarie online è pratica che va diffondensi con successo tra i clienti di banche come la Wells Fargo. Il cui vice-presidente rileva: "Molte delle recenti intrusioni sono il risultato di aver lasciato le porte aperte. Se in banca lasciamo spalancate le porte delle casseforti, la gente vi entra con i carrelli della spesa," dice un della medesima Wells Fargo. Insiste il direttore didattico della National Computer Security Association: "Soltanto una minima percentuale dei danni prodotti è da attribuire agli hacker criminali. I maggiori colpevoli sono quei lavoratori incuranti che divulgano in giro le password e i vari impiegati che mirano a fare sabotaggi indiscriminati."
Non sono evidentemente d'accordo i rappresentanti del quarto potere, che di recente hanno nuovamente "deviato" il proprio pubblico gonfiando esageratamente il mito-Mitnick e le sue gesta da "super-hacker", subito dopo esser stato arrestato a marzo dall'FBI. "Mitnick ha semplicemente dimostrato come sia facile penetrare nei network di oggi, a causa della mancanza di protezione crittografica e della scarsa attenzione di gestori ed amministratori. Il suo arresto non renderà per nulla più sicuri i network connessi ad Internet: lui ha fatto capolino proprio dove poteva esser visto, ed è stato beccato. Esistono centinaia o migliaia di persone che usano le medesime tecniche e non vengono nemmeno notati." Così risponde John Gilmore, noto crypto-attivista della Bay Area e membro del direttivo EFF.

Un'immediata conferma è venuta nuovamente dall'autorevole fonte CERT, che nella settimana successiva alla cattura di Mitnick, segnalava quasi 30 intrusioni di una certa gravità avvenute su Internet. Senza contare che il file contenente i 20.000 numeri di carte di credito che il "Condor" avrebbe rubato, senza mai usarle, dai computer della Netcom (noto fornitore di accesso ad Intenet nell'area di San Francisco), pare girasse già da diversi mesi tra gli hacker, come riporta l'edizione autunnale della fanzine "2600".
Ma allora, sono forse i "cyber-terroristi" i colpevoli di ogni attentato contro la sicurezza di Internet? Gente come Ramzi Yousef, tanto per intenderci, mente high-tech dell'attentato del febbraio 1993 al World Trade Center di New York. La risposta stavolta la troviamo proprio nello stesso pezzo in cui Newsweek introduce quel termine ad effetto: "I terroristi hanno trovato un modo semplice ed economico per eludere i poliziotti: minimo o nessun uso della tecnologia. Non comunicano via Internet, ma faccia a faccia, e per distruggere usano detonatori impossibili da bloccare: auto-bomba e fanatici suicidi."
Di chi la colpa allora? In realtà, oggi i reati commessi via computer rientrano pienamente nella casisitica comune (rapine, estorsioni, diffamazioni, minac- cie, pornografia, infrazione del copyright), con la sola esclusione dell'omicidio. "Negli ultimi cinque anni i 'reati via computer' sono tali solo nel senso che una rapina in banca compiuta con una macchina per la fuga è un 'reato via automobile," afferma Jim Thomas, professore di criminologia presso la Northern Illinois University.

Questione complessa, quindi, quella della sicurezza su Internet, con la preoc- cupazione maggiore sul versante economico-finanziario, dove l'efficace soluzione di aprire il mercato del software d'encriptazione rimane ancora tabù per l'amministrazione Clinton: è vietato pubblicare, diffondere ed esportare qualsiasi programma non approvato dal governo che consenta la codifica (con successiva decodifica) dei propri messaggi trasmessi per via telematica. Divieto che le organizzazioni a difesa dei diritti civili e i sostenitori della privacy individuale vanno da tempo contrastando attivamente. Mentre la causa giudiziaria contro Phil Zimmermann, autore del notissimo Pretty Good Privacy (PGP), è ben lungi dal concludersi, due mesi fa la EFF ha lanciato un'ulteriore iniziativa legale assistendo e sostenendo pubblicamente la denuncia contro il governo federale presentata da Dan Bernstein, studente di matematica presso la University of California di Berkeley. "Bernstein ha realizzato un'equazione d'encriptazione, ovvero un algoritmo, e vorrebbe pubblicarlo insieme ad una tesi che lo illustri e un programma che lo implementi. Lo studente vorrebbe anche discutere la sua ricerca in incontri pubbici e simposi tecnici. Ma il problema è che attualmente il governo considera il software d'encriptazione come una minacciosa arma fisica e pone pesanti divieti alla sua diffusione." Così si legge nel documento diffuso dalla EFF, che spera prima o poi di poter portare in tribunale (e sulle prime pagine dei giornali) l'intera vicenda.
Intanto, PGP e altri programmi crittografici sono ampiamente diffusi ed usati in ogni paese del mondo, rendendo pressoché vane le velleità governative USA (e degli altri paesi che vorrebbero seguirne le orme). Anche perché, come detto sopra, il settore commerciale-industriale spinge fortemente per l'uso della crittografia a garanzia delle transazioni per via telematica.

Un momento, però. È vero che al momento tali tecnologie paiono garantire affidabilità e riservatezza, ma il diavolo potrebbe sempre metterci la coda. Com'è accaduto lo scorso aprile con il pubblicizzatissimo arrivo su Internet di "Satan," software in grado di scandagliare ogni network alla ricerca di eventuali falle che potessero favorire intrusioni illegali. "È virtualmente certo che qualcuno lo userà per delinquere, e ciò è detestabile. Ma non è possibile scegliere a chi dare qualcosa e a chi negarla. Si sta cercando di mettere specifici obblighi alla conoscenza per sta- bilire a chi è giusto vada trasmessa, e questo è un errore," ha dichiarato il co-autore di Satan, Dan Farmer, ex-esperto del CERT e programmatore presso la californiana Sun.
In realtà il programma riunisce tecniche note da tempo ai più smaliziati cibernauti e non ha affatto provocato "la morte di Internet" come prevedevano alcuni giornali USA. Anzi, il diavolo ha dimostrato una volta di più come l'(in)sicurezza regni sovrana, e quanto sia utile conoscere per tempo le falle del proprio sistema cui porre rapido riparo - continuando a cercarne altre indefinitamente.

Insomma, le sfide della moderna società dell'informazione non ci permettono (giustamente) di stare ad impigrire sulla poltrona. Il mondo online non è meno (o più) sicuro di quanto lo sia ogni altro mezzo di comunicazione. E nemmeno è più (o meno) sinistro di quanto accade ogni giorno nelle nostre vite reali. Nel bene e nel male, il telefono fa ormai parte integrante della nostra quotidianità, usi ed abusi compresi: apprezziamo ed esaltiamo i comportamenti utili e positivi (in stragrande maggioranza) e siamo attrezzati per far fronte come possibile ad illegalità e crimini vari. Esattamente lo stesso va accadendo per la telematica, che lo si voglia o meno.
E' bene che ogni soggetto sociale se ne renda conto (e ne partecipi) il prima possibile.
(Adattamento di un articolo apparso sul numero di Aprile '95 del mensile Virtual - 26.06.95)


Bernardo Parrella, giornalista free-lance e collaboratore di Agorà Telematica, vive e lavora a San Francisco (oltre che in cyberspace: berny@well.com)


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