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INTERVENTI - 24


Le difficili regole della tecnologia informatica
di Giuseppe Corasaniti

A voler considerare ciò che avviene all'interno delle strutture pubbliche (quasi sempre pur con lodevoli eccezioni) occuparsi di informatica e di comunicazione o di automazione è sempre occuparsi di qualcosa di "innovativo" e in quest'aggettivo vi è quasi un malcelato senso di irrisione (simile a quello che anticamente accompagnava i filosofi) o quanto meno di estraneo alla realtà dell'apparato istituzionale (non escluso, si intende, quello universitario).
Affiorano quasi sempre contrapposte tendenze all'ottimismo oppure al timore sulle conseguenze limitative per le libertà individuali legate all'abuso dell'informatica o delle tecnologie. Perciò non basta auspicare un quadro normativo completo e coerente senza prima chiedersi se nell'elaborazione normativa (ed in questo senso anche entro quale sua dimensione: interna,internazionale, comunitaria) debba prevalere proprio un minimo di attenzione verso la tecnologia stessa, verso la sua evoluzione, verso tutte le sue implicazioni ed applicazioni possibili, nessuna esclusa. E il dibattito oggi non può che complicarsi se si considera che non basta certo fermarsi ai "dati personali" perché nell'ambito della comunicazione e nelle forme possibili della stessa bisogna ricomprendere dati aggregati (secondo il quadro normativo tradizionale) o potenzialmente "aggreganti" come testi, ipertesti, immagini digitalizzate, suoni,immagini sonorizzate, fotografie,sequenze cinematografiche e così via, tutto ciò insomma che può essere elaborato,trasmesso e ricevuto in forma "digitale".

Il problema non è solo quello di definire i nuovi "servizi a valore aggiunto", ma di garantire la riservatezza di singoli e gruppi (particolarmente interessata nelle trasmissioni in rete) senza perciò precludere ogni possibile uso dell'elaborazione informatica e della diffusione telematica.

Che nella normativa europea si guardi al passato anziché al presente e al futuro appare fin troppo ovvio. Manca una regolamentazione recente e la Convenzione europea del 1981 è stata concepita più tenendo conto delle esigenze di grandi centri di elaborazione di dati personali (pubblici e privati) richiedenti tecnologie avanzate e risorse elevate che non sulla considerazione della diffusione dell'informatica individuale e distribuita, nella quale entra in gioco la "libertà informatica" anche sotto il profilo della efficiente organizzazione privata e pubblica, per elaborare informazioni e renderle immediatamente utilizzabili nel modo più efficace possibile.

Il primo problema che si pone è se le ragioni di riservatezza possano giustificare l'elaborazione di impianti normativi a carattere autorizzatorio, anche se solo tendenzialmente, sulla base di obblighi ricorrenti di comunicazione (formale) ad autorità di garanzia. Il secondo problema è se può lo Stato riservarsi un ruolo di "coordinamento" per favorire un uso razionale delle tecnologie da parte delle amministrazioni pubbliche.
Orbene, per quanto attiene alla riservatezza il problema centrale non è tanto nella regolazione delle tecnologie, ma semmai nella regolazione delle attività (private e pubbliche) che mediante le tecnologie (o semplicemente esercitando una posizione dominante in maniera incontrollabile) possono creare o favorire situazioni di discriminazione o di disagio idividuale o sociale. Non è che ovunque in Europa l'introduzione di normative statali, peraltro assai rigide, abbia ridotto le violazioni concrete della privacy. Sono aumentate, è vero, le comunicazioni burocratiche rivolte alle autorità di garanzia ed ogni elaborazione suscettibile di classificare informazioni personali "sensibili" (come quelle attinenti alla salute, allo stato patrimoniale, alla condizione personale, politica, religiosa) richiede particolari oneri nei confronti del soggetto (pubblico o privato) che assume iniziative informative (dalla registrazione esplicita del consenso alla rettifica, alla cancellazione alla raccolta dei dati in modo pertinente rispetto allo scopo dichiarato e così via) .

Ma quel che conta non è l'attività pubblica di vigilanza, ma sopratutto l'attività in qualche modo "interna" promossa nell'ambito stesso dell'elaborazione, per prevenire utilizzazioni dei dati non conformi al rispetto dei diritti individuali. Bisogna abbandonare l'assurda pretesa di "governare" le tecnologie, perché esse, frutto dell'uomo, trovano proprio nell'uomo, nella società, nello sviluppo sociale ed economico che riescono in concreto ad attivare la migliore regola possibile, quella che si basa sulla libertà stessa e che è consapevole di quanto ogni tecnologia è prima di tutto estensione delle intuizioni degli uomini, dei limiti degli uomini.
Ogni tecnologia porta perciò in sé i problemi degli uomini e può essere regolata solo con attenzione ai rischi ed ai benefici che si collegano alla sua introduzione, al suo uso o al suo abuso o al suo mancato uso. Rischi e benefici, beninteso, che toccano il senso stesso della realtà sociale, i caratteri, gli equilibri, i modi di essere delle relazioni umane, politiche, economiche e sociali in un certo momento storico prima che le linee del progresso tecnico, sempre in espansione.

Perciò ogni apparato pubblico di "vigilanza" e "coordinamento" mostra ogni giorno di più i suoi limiti e la sua sostanziale inadeguatezza. Laddove è stata prevista una qualche forma di coordinamento istituzionale (anche in Italia con l'istituzione dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione) essa finisce, gioco forza, per diventare una struttura frenante, se non altro per ragioni di carattere tecnico ed economico, prevedendo nuove procedure e imponendo una programmazione "tecnica" ogni giorno più obsoleta, tenendo conto delle crescenti tendenze alla standardizzazione delle procedure, alla interattività ed all'interscambio informativo tra sistemi diversi, alla progressiva riduzione dei costi per hardware e software .
Forse andava percorsa un'altra strada: quella della promozione di procedure automatiche per il miglioramento e l'ottimizzazione dei risultati conseguiti dalle pubbliche amministrazioni, e prima ancora quella della massima diffusione ed utilizzazione dell'informatica all'interno delle pubbliche amministrazioni centrali e locali, quella del miglioramento, proprio attraverso le tecnologie informatiche, dei rapporti tra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni, dalla costruzione di procedure semplificate per l'accesso ai servizi, alla progettazione di software applicativo già all'interno delle amministrazioni interessate anziché ricorrere alle consuete consulenze esterne .

Da anni, da troppo tempo, sono in corso nel nostro Paese solo "sperimentazioni" e l'informatica resta il fiore all'occhiello da esibire solo negli incontri di studio e nei convegni e non lo strumento del lavoro quotidiano. Le tecnologie richiedono, comunque una sola regola essenziale, quella secondo la quale "la persona giusta va al posto giusto" ,regola difficile da elaborare e da applicare in Italia ,se non altro per questioni generazionali.
Eppure Bill Gates il creatore della "Microsoft", l'uomo che l'ha applicata con coraggio e che ha rivoluzionato tutto il sistema delle comunicazioni nel mondo con l'introduzione dei sistemi operativi più diffusi, non ha neanche quarant'anni.
(26.06.95)

 


Il prof. Giuseppe Corasaniti, magistrato, è docente di diritto dei mezzi comunicazione alla LUISS


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