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Secondo convegno del Forum multimediale "La società dell'informazione"
LA LEGGE E LA RETE
Roma, 12 novembre 1997
Il diritto fra tomi e bit
di Giovanni Pascuzzi
(Associato di Diritto privato comparato, facolta' di Giurisprudenza, università di Trento)

Le tappe dell'evoluzione del diritto sono segnate anche dalle forme per il cui tramite, nelle diverse epoche e nei diversi luoghi, lo stesso diritto e, più in generale, la tradizione e la cultura giuridica sono stati rappresentati e trasmessi.

Un esame diacronico dei fenomeni che hanno contraddistinto i periodi storici consente di affermare che le modalità con le quali il patrimonio conoscitivo dei giuristi è stato esposto e reso accessibile sono tutt'altro che indifferenti rispetto ai contenuti: al contrario, tali modalità improntano i tratti e l'essenza di ogni esperienza giuridica. Le trasformazioni nei mezzi espressivi hanno comportato cambiamenti nelle regole operazionali e nel modo stesso di organizzare il pensiero.

Alcuni snodi fondamentali nel progresso del genere umano coincidono con l'affinamento dei modelli comunicativi cui corrispondono altrettanti punti di svolta (più o meno fondamentali) nella storia del diritto. Mi limito a citarne alcuni: il passaggio dalla espressione gestuale al linguaggio articolato; l'uso della scrittura; l'invenzione della stampa; l'avvento dei computer.

Già partendo dalle situazioni più risalenti, è facile evidenziare come ognuno di questi passaggi si accompagni ad un mutamento dei tratti tipici del fenomeno giuridico.

L'epoca del c.d. diritto muto (in cui solo la fedeltà alla regola garantiva l'esistenza e la validità della stessa) si caratterizza per l'inesistenza di qualsiasi forma di concettualizzazione.

La disponibilità di un linguaggio articolato ha consentito al diritto di affrancarsi dalle sue manifestazioni più primitive. Eppure le forme di rappresentazione delle regole e dei precetti, rese possibili da quella evoluzione (ancorché diverse da quelle proprie del periodo anteriore) appaiono ancora lontane dallo scenario che ha poi contraddistinto la modernità. Nelle società senza scrittura il patrimonio giuridico viene consegnato alle generazioni successive in forma orale. E questo comporta l'impossibilità di discorsi complicati, esclude l'astrazione e la generalizzazione, implica, piuttosto, l'uso di formule brevi e ripetitive.

Quanto precluso dalla oralità è stato, viceversa, consentito dalla scrittura. Il passaggio dall'una all'altra forma espressiva ha inciso profondamente su impostazioni mentali e modelli di costruzione del pensiero. La possibilità di fissare segni sulla carta ha assolto storicamente funzioni diverse. Negli stadi più antichi il ricorso a papiri, tavolette di legno, epigrafi ed altri tipi di materiale scrittorio rappresentava il mezzo utile a conservare un certo messaggio per un periodo di tempo più o meno lungo. Successivamente si è fatta strada (fino a divenire prevalente) la funzione di garantire la diffusione del messaggio nello spazio. Inutile dire che l'invenzione di Gutemberg ha fatto da propulsore a questo tipo di finalità, costituendo, a propria volta, uno snodo molto significativo: la cultura giuridica che si produce attraverso un'ampia utilizzazione della stampa è molto diversa da quella che poteva contare su rari manoscritti. La stampa ha comportato la stabilizzazione e standardizzazione dei testi (e del linguaggio). La disseminazione di volumi in numero cospicuo ha cambiato le modalità di studio e riflessione: in particolare ha reso possibile raffronti e paragoni sì da facilitare l'emersione di contraddizioni nelle conoscenze ricevute ma anche la nascita di nuovi saperi. In ogni caso la scrittura (manuale o a stampa) ha permesso risultati quali il consolidarsi di assetti politici (si pensi a cosa ha rappresentato la redazione del Domesday Book per i conquistatori normanni dell'Inghilterra), il sorgere di una classe di esperti, la nascita di una tradizione giuridica colta.

La storia tracciata a grandissime linee (che pure non si è ripetuta a tutte le latitudini e manca di alcuni capitoli su cui incentrerò in seguito l'attenzione) giunge a compimento nelle esperienze giuridiche occidentali ormai da tempo caratterizzate da elementi quali l'astrazione, il ragionamento complesso, i discorsi del diritto e sul diritto. L'esperienza di civil law e quella di common law utilizzano il linguaggio come strumento di elaborazione della conoscenza ed affidano alla parola scritta la rappresentazione e diffusione della propria cultura giuridica. Le leggi, la giurisprudenza, gli insegnamenti dei dottori, sono consacrati in documenti cartacei che ne garantiscono la conoscibilità e la trasmissione.

Nel tempo questa documentazione, unitamente ai tentativi di razionalizzarla, commentarla e interpretarla, ha dato vita a opere di vario tipo, che individuano i diversi generi letterari: raccolte di leggi, commentari, enciclopedie, trattati, casebooks, monografie etc. hanno contraddistinto luoghi ed epoche, incorporando il distillato delle culture giuridiche. Non è un caso, del resto, che Fritz Schulz abbia scritto la sua celebre Storia della giurisprudenza romana facendo leva proprio sull'esame dei generi letterari che hanno caratterizzato i periodi dell'esperienza giuridica romana.

Ancorché succinta, la comparazione diacronica tra le epoche prese in considerazione ha confermato l'assunto secondo cui il modo di produrre cultura giuridica e i suoi stessi contenuti sono legati a filo doppio alle forme con le quali detto patrimonio culturale è rappresentato e trasmesso.

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Nel mondo moderno la cultura giuridica è stata (fino ad ora esclusivamente) costruita, conservata e trasmessa utilizzando supporti cartacei. Lo scenario, per molti versi consolidato, sta rapidamente cambiando grazie all'informatica che consente di conseguire i medesimi fini utilizzando supporti diversi.

L'uno e l'altro approccio hanno caratteristiche e tratti specifici. Si tratta di analizzarli e di evidenziare in che modo le loro peculiarità condizionino o modellino le esperienze giuridiche che, volta a volta, si affidano alla carta o al bit per rendere conoscibili i formanti legale, giurisprudenziale, dottrinale.

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L'evoluzione dei mezzi espressivi ha sempre comportato scontri (e, quindi, reciproche influenze) tra culture non omogenee. Il 'vecchio' ha tentato di contrastare il 'nuovo' sovente dipingendolo come inutile se non addirittura pericoloso.

Restano emblematiche, sotto questo profilo, le considerazioni che Platone affida a Socrate nel Fedro e nella Settima lettera. Si tratta di una difesa della cultura orale contro l'avanzare della scrittura. Quest'ultima, secondo Socrate, distruggerebbe la memoria e indebolirebbe la mente. A suo dire la scrittura sarebbe disumana perché permette di ricreare al di fuori della mente ciò che in realtà può esistere solo al suo interno. La scrittura sarebbe inerte perché non può rispondere. La storia ci insegna che quelle profezie non erano lungimiranti: almeno a giudicare dall'ampio uso che si fa della scrittura, e dagli indiscutibili progressi che la stessa ha propiziato.

Oggi, atteggiamenti analoghi di chiusura e prevenzione sono riservati, da parte di molti, al 'nuovo' rappresentato dagli strumenti informatici. Paradossalmente (o significativamente) vengono utilizzati argomenti simili a quelli esposti nell'opera di Platone. Anche il computer viene considerato disumano. L'argomento della pigrizia (indebolimento delle facoltà intellettive) viene tirato fuori, ad esempio, quando si stigmatizza l'uso delle calcolatrici da parte degli studenti. Anche i computer non sarebbero in grado di giustificare autonomamente i messaggi di cui sono portatori. Dati i precedenti ci si può chiedere se sia produttivo abbandonarsi a scetticismi spesso dettati semplicemente dalla paura di non essere in grado di padroneggiare le nuove tecnologie.

Alcuni pongono in esponente il senso di disorientamento che verrebbe provocato dalla disponibilità illimitata di informazioni resa possibile dagli elaboratori. Io credo che analogo senso di smarrimento si provi entrando nelle librerie dove è arduo trovare, tra le migliaia di pubblicazioni, quelle interessanti o utili. Dalla parte dei computer c'è il fatto che essi offrono potenti sistemi di selezione e ricerca.

Altri sottolineano che usare il PC per la lettura è scomodo e presuppone la disponibilità di apposite attrezzature. A costoro si può ribattere che gli elaboratori oggi prodotti sono sempre più maneggevoli sì che verosimilmente non è lontano il giorno in cui potranno raggiungere le dimensioni dei libri. Senza contare che la fruizione di questi ultimi (se non già di 'attrezzature') presuppone l'esistenza di editori, distributori, librai, e così via.

Altri ancora pongono l'accento sulle difficoltà legate all'uso delle tecnologie informatiche e sulla necessità di acquisire una nuova forma di alfabetizzazione tanto per adoperare le macchine come utenti quanto per produrre applicativi come autori (es.: costruire ipertesti). L'uso di ogni mezzo espressivo presuppone l'acquisizione di particolari professionalità. La scrittura (lineare) è di utilizzo così comune e naturale che quasi si dimentica il tempo che i bimbi impiegano ad impadronirsene. Ma il discorso è più generale. Anche comporre, suonare e ascoltare (per apprezzare) un brano musicale comporta l'uso di un alfabeto particolare, di una tecnologia, di una educazione. Si tratta di attività che costano tempo e fatica. Eppure nessuno le considera come investimenti talmente gravosi da scoraggiare definitivamente l'uso (e il godimento) di un mezzo espressivo che ha sempre contraddistinto le vette più nobili ed evolute della civiltà umana.

Ciò che deve essere evitato sono i paragoni sterili o, peggio, le dichiarazioni affrettate di obsolescenza. Non avrebbe senso sostenere, ad esempio, che il libro è superato. Del resto, il 'nuovo' non ha mai soppiantato definitivamente il 'vecchio'. I nuovi mezzi espressivi (ovvero: le nuove forme di manifestazione del pensiero) non uccidono ciò che già calca la scena. La scrittura non ha ucciso l'oralità. Così come la fotografia e la televisione non hanno ucciso il libro. Il nuovo si affianca a ciò che esiste non lo soppianta. Ecco perché sono anacronistici scetticismi e paure.

L'ottica in cui porsi è differente.

L'informatica ci mette a disposizione nuove forme espressive, nuovi modi di conservare, rappresentare e trasmettere la conoscenza. Questo libro ha obbedito ad uno stimolo che è anche una sfida culturale. Cominciare ad indagare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie.

Comparando vecchi e nuovi approcci è stato più facile comprendere cosa il modo di essere della nostra cultura giuridica deve all'utilizzo della scrittura lineare e dei supporti cartacei.

Nello stesso tempo è emersa la possibilità di usare le nuove tecnologie per raggiungere forme diverse e più appaganti di produzione della conoscenza. Si tratta di percorsi evolutivi che meritano, quantomeno, di essere esplorati.

Secoli fa l'uomo ha inventato i libri. E i libri hanno plasmato l'uomo e il suo pensiero. Oggi l'uomo ha inventato i computer. Il resto della storia abbiamo appena cominciato a scriverla.

Estratto da Giovanni Pascuzzi, Il diritto fra tomi e bit: generi letterari e ipertesti, Cedam, Padova, 1997 (Collana del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università di Trento)

(25.03.97)

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