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Le relazioni - 34

Dieci anni di liberalizzazione delle telecomunicazioni: un bilancio su cui riflettere

di Paolo Nuti* e Andrea Valli** - 09.06.05

(Abstract - Il testo integrale dell'intervento, completo di note può essere scaricato da qui in formato .pdf)

 
Il rapporto di marzo '05 del Communications Committee ("COCOM") della Commissione europea fornisce una dettagliata fotografia al primo gennaio 2005 dello sviluppo della larga banda in Europa dal quale, in prima lettura, l'Italia esce a testa alta. Colpiscono, in particolare, il tasso di crescita del numero di connessioni attive (oltre il 600% da ottobre 2002), il raddoppio di connessioni da gennaio 2004 a gennaio 2005 e il terzo posto, alle spalle di Francia e Regno Unito, per nuove linee attivate nel corso dell'ultimo anno.

Nonostante la crescita degli ultimi anni, con 8,1 collegamenti larga banda ogni 100 abitanti l'Italia resta peraltro al di sotto degli 8,6% della media dell'Europa allargata a 25 paesi e, quel che è peggio, al di sotto dei 10 della vecchia Europa a 15. Il rapporto offre il dettaglio di questa crescita, ma evidenzia anche una prima anomalia: da luglio 2002 a luglio 2003 la quota di mercato dei nuovi entranti è passata dal 23,5% al 36,2 per poi ridursi progressivamente al 26,9% a gennaio 2005. La stessa fonte mostra anche come l'espansione della larga banda sia ormai legata essenzialmente al DSL.

Ma, mentre il numero di collegamenti DSL continua a salire, quello di collegamenti non DSL è sostanzialmente fermo al luglio 2004 e di conseguenza scende la loro incidenza. Considerato che la quota media europea dei nuovi entranti è del 45,7% e che le linee non DSL vanno attribuite in massima parte ai nuovi entranti, la quota DSL dei nuovi entranti in Italia oggi si attesta al di sotto del 22-23% (ma nel 2000, non esaminato nel rapporto considerato, era maggiore del 40%), contro una media europea del 34,2%.
Emerge di conseguenza la scarsa efficacia in termini di capacità di apertura del mercato ai nuovi entranti , della vecchia regolamentazione operante in Italia.

Ma la situazione reale, nel nostro paese, è, a nostro avviso, notevolmente peggiore di quella sin qui prospettata: il rapporto COCOM non entra nel merito delle caratteristiche delle linee DSL e quindi non emerge una anomalia tutta italiana: circa due terzi delle linee DSL dell'incumbent sono a tempo e le altre hanno 4 Mbit/s di velocità massima, ma solo 20kbit/s di banda riservata.
C'era una volta il sogno di un mercato aperto per l'offerta via Internet di servizi (si pensi alla VoIP, alla videotelefonata, alle teleconferenze, alla VPN, al remote office) e di contenuti (in primis IPTV). Il .fattore abilitante di questo mercato aperto sarebbe stato l'accesso a Larga Banda.

Scordatevelo: circa la metà dei 4,7 milioni di italiani a larga banda a fine 2005 sono fidelizzati dall'accesso a tempo ai soli SoIP (Services over IP) dell'incumbent (a meno di non pagare 2 volte per uno stesso servizio), e tutti i clienti di accesso dell'Iincumbent hanno delle limitazioni strutturali alla ricezione di contenuti IPTV non residenti sulla sua piattaforma di "content distribution".

Che senso ha pagare una telefonata VoIP 1,7 Eurocent al minuto a Skype + 3,3 Eurocent minuto a Telecom Italia? Costa meno usare il vecchio telefono o il servizio VoIP dell'incumbent.
In sostanza, se l'obiettivo è quello di mettere il Paese sulla Larga Banda in concorrenza, lo stiamo mancando a favore di un paese fidelizzato alla piattaforma di servizi e contenuti dell'incumbent. Con risvolti, sul fronte del controllo dei contenuti e dell'IPTV che richiederebbero anche una attenta valutazione sotto il profilo della libertà di informazione.

La spiegazione di questa situazione è nel confronto tra finalità e modelli di regolamentazione tra la vecchia normativa per la fornitura di reti aperte (ONP), attuata in Italia con il DLgs 103 e il DM 420 del 1995.
Il fine perseguito era assicurare che i concorrenti potessero accedere alla rete dell'incumbent per fornire i propri servizi (ad es. prevedendo adeguata pubblicità delle interfacce) ed il modello impiegato era la concorrenza intra brand (cioè tra servizi forniti dall'incumbent e da operatori terzi sulla rete dell'incumbent).

Il modello adottato dalla regolamentazione ONP, dopo la prima liberalizzazione, è un mix tra concorrenza intra brand e inter brand (tra servizi offerti su reti diverse e in concorrenza).
Tale approccio, fino ad allora equilibrato, è stato però negli anni progressivamente spinto verso una maggiore tutela della concorrenza tra reti (o inter brand), con l'adozione di misure di regolamentazione che spesso penalizzavano i Service Provider non infrastrutturati che desideravano avvalersi - dietro equo compenso - della rete dell'incumbent (secondo il modello della concorrenza "intra brand").

In seguito il regolatore europeo ha costruito le basi della nuova regolamentazione impiegando concetti e strumenti tipici dell'antitrust e sembra aver fatto conseguire alla convergenza tra tecnologie e servizi anche una convergenza (o, più propriamente, una commistione, con gli esiti che vedremo...) fra principi della regolamentazione e della concorrenza.

Il nuovo "pacchetto regolamentare", si premura di assicurare l'armonizzazione della regolamentazione sotto tre profili: nella definizione dei mercati da regolamentare; nell'individuazione delle imprese da regolamentare e nell'adozione delle misure di regolamentazione, prevedendo "procedure atte a garantire l'applicazione armonizzata del quadro normativo nella Comunità".
Il modello seguito è quello del favore della concorrenza inter brand, tra operatori infrastrutturati fornitori di rete, con una limitazione della regolamentazione e maggior peso ad un intervento ex post.
Tale approccio forse è stato suggerito dal presupposto (erroneo, si vedrà) che il progresso tecnologico è suscettibile di cambiare e limitare il potere di mercato dell'incumbent.

Ma alla prova dei risultati di mercato il modello non funziona.
Giova ricordare che in origine Telecom Italia, l'incumbent italiano, non era presente se non marginalmente nel mercato dei servizi Internet e che solo a seguito dell'acquisizione nel 1995 di uno dei principali ISP dell'epoca, Video On Line, riuscì ad arrivare 40-45% del mercato (e ancora oggi la quota di mercato dell'incumbent sui servizi dial up - aperti alla concorrenza per effetto della regolamentazione ONP - è marginale: segno che il quadro regolamentare ONP ha funzionato e che le sue finalità erano corrette).

Invece, nonostante i notevoli investimenti effettuati dai nuovi entranti dal 1998 ad oggi, al 31 marzo 2005 Telecom Italia ha circa il 77% del mercato dei servizi di accesso in tecnologia ADSL e dei servizi basati su questa tecnologia, con una crescita inesorabile della quota di mercato (in particolare dall'1.1.2002, quando Telecom deteneva circa il 63% dello stesso).
In sostanza, il mercato e, particolarmente, quello dei servizi innovativi, anziché aprirsi alla concorrenza, si è ulteriormente concentrato nelle mani dell'incumbent.
Come è stato possibile? C'è stata una failure della regolamentazione e, se sì, perché?

La spiegazione è nei limiti del nuovo modello di regolamentazione (hands-off/light regulation), in particolare negli "effetti rete" e nell'assenza di chiari obblighi di interoperabilità.
In un mondo di comunicazioni elettroniche convergenti, ricco di nuovi servizi ed applicazioni voce, dati e video, offerti al cliente per il tramite del medesimo collegamento di accesso, vi è una forte interdipendenza tra accesso, da un lato, e servizi e contenuti, dall'altro, di guisa che le condotte poste in essere sull'accesso possono produrre effetti anche sulla distribuzione di servizi e contenuti (e viceversa). Tale interdipendenza è peraltro rafforzata dai notevoli "effetti rete" che caratterizzano tali mercati.

Il regolatore europeo (e quindi, suo malgrado, quello nazionale), trascinato dall'ottimismo di una dinamica solo procompetitiva del mercato, si è dimenticato del tutto dell'assunto economico fondamentale del settore delle comunicazioni, mercato caratterizzato da notevoli "effetti rete".
I nuovi servizi di comunicazioni elettroniche (in particolare, i servizi di basati su IP - video chiamate, VoIP, etc. - in ragione dell'esistenza di diverse tecnologie impiegabili per la loro offerta, possono presentare problemi di interoperabilità che non possono essere risolti se non con la collaborazione dei diversi OTAG.

Il valore di un bene "a rete" (come i presenti servizi), per ciascun utente, aumenta esponenzialmente con l'aumentare del numero di utenti collegati alla rete (supponendo che il guadagno marginale di ciascun utente dal poter comunicare con un altro utente è "1", il guadagno marginale complessivo degli "n" utenti appartenenti a quella rete, che deriva dal collegamento di un utente aggiuntivo alla rete, non è "n*1" ma "n*(n-1)").

In assenza di adeguati obblighi di regolamentazione, ed in particolare di interoperabilità, per i nuovi servizi IP tra la rete di Telecom e quelle dei concorrenti, in caso di rifiuto di Telecom di fornire le specifiche tecniche necessarie per garantire l'interoperabilità, gli utenti dei concorrenti saranno incentivati a migrare verso Telecom per poter fruire di tali servizi con il maggior numero di utenti (potendo comunicare con più del 76% del mercato delle linee xDSL, anche qualora il proprio operatore di accesso offrisse un servizio innovativo similare o superiore a quello offerto da Telecom.
Inoltre, l'offerta di servizi e contenuti verrà a rafforzare ulteriormente i già consistenti "effetti di rete" (rectius, in assenza di interoperabilità, perniciose esternalità di rete) a favore di Telecom, che detiene la più larga base di abbonati ai servizi ADSL.

E' in grado l'attuale regolamentazione di dare una risposta adeguata, volta ad assicurare la concorrenza dei nuovi servizi?
La risposta è negativa, a giudizio di chi scrive.
Come dare credito, allora, alla tesi di chi sostiene la necessità di liberare gli investitori in infrastruttura (nella sostanza, oggi, gli incumbents), dai lacci della regolamentazione, salvo che per l'acceso alle infrastrutture non replicabili? In questo modo, si eliminerebbe ogni prospettiva di regolamentazione per i mercati più "subdoli" e che più ne avrebbero bisogno: cioè quelli caratterizzati da una struttura oligopolistica e, quindi, da performances povere (es., sovrapprofitti oligopolistici).

Piuttosto che orientare la "rotta" verso strade sconosciute, non è più opportuno cercare di applicare più efficacemente la nuova regolamentazione?
A tal fine, occorrerebbe in primis, individuare gli operatori da assoggettare ad eventuali obblighi di regolamentazione effettuando un'analisi prospettica che non si limiti a glorificare la spinta pro-competitiva del progresso tecnologico, ma tenga in debita considerazione i fattori di concentrazione dei mercati convergenti delle comunicazioni elettroniche e, in particolare. gli effetti rete (privilegiando misure di regolamentazione che assicurino accesso, interconnessione ed interoperabilità tra servizi).

Inoltre, quanto ai nuovi mercati, occorre verificare attentamente se questi si trovino a valle di un mercato consolidato (così, i servizi su IP rispetto alla fornitura di accesso a larga banda) ed impedire che un'impresa possa fare leva sulla posizione dominante detenuta su quest'ultimo per estenderla nei nuovi mercati, nel qual caso occorrerebbe imporre all'impresa dominante sul mercato consolidato rimedi che ne impediscano il leveraging sul nuovo mercato.
In mancanza di un pronto ed efficace intervento, accesso e servizi, mercati distinti ma tra loro interferenti, torneranno progressivamente - ma inesorabilmente - al monopolio.
 

* Presidente di MC-link
** Avvocato in Roma

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