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Le relazioni - 22

Diritto e informatica: questo matrimonio non s'ha da fare!

di Pasquale Costanzo* - 06.06.05
 
1. A dar retta all'ottimo notaro Maccarone, il suo intervento in questo Forum L'informatica di Don Chischiotte, sarebbe frutto di una disobbedienza al comune amico Manlio Cammarata, al quale mi lega, oltre la stima, il ricordo dei primi passi mossi nel settore che ancora tanto ci appassiona. Poiché il cattivo esempio (se di questo veramente si tratta), è più trascinatore di quello buono, mi si perdonerà se intendo con queste poche righe riallacciarmi alla traccia di Maccarone per quanto riguarda l'aspetto accademico delle nostre discipline.

2. Comincerò col condividere in pieno i rilievi mossi a quella sorta di "esame in appalto" che è divenuta l'utilizzazione dell'ECDL nelle prove idoneative d'informatica o negli esami d'informatica giuridica tout court. E questo anche a prescindere dalle pur credibili doglianze circa il suo rendimento didattico, vuoi per gli aspetti problematici legati all'asservimento "all'uso acritico di una sola piattaforma" (vedi Qualche ipotesi di lavoro per la commissione open source di Andrea Monti), vuoi persino in punto di opportunità/legittimità dato che, come si legge nella decisione del 14 giugno 2004, n. 5632, del Tribunale Amministrativo del Lazio, "la c.d. 'Patente europea del Computer' non è (.) un titolo di studio o abilitazione riconosciuta dall'Unione Europea, ma esclusivamente un marchio industriale, tutelato da un  brevetto comunitario (n. 655274) registrato anche in Italia", laddove anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel parere del 26 febbraio 2004, ha ritenuto "problematico il consolidamento di una preferenza assoluta da parte della Pubblica amministrazione per una unica determinata certificazione, in quanto il conseguente effetto di favore per gli operatori che offrono tale certificazione - in associazione o meno a una preliminare attività di formazione - potrebbe determinare una restrizione della concorrenza nel settore".

3. Più radicalmente peraltro mi pare contestabile l'idea di far apprendere (investendo un bel po' delle risorse sempre più scarse destinate ai corsi di giurisprudenza) a baldi giovanotti e a signorine in età da marito rudimenti d'informatica che oggi anche i bimbi delle elementari padroneggiano senza esitare, quando invece si sarebbe dovuto più propriamente puntare sulla professionalizzazione informatico-giuridica dei futuri operatori del diritto (come non solo il sottoscritto ma gran parte di chi si occupa nell'Università di queste cose dice da anni inascoltato). In altri termini, la conoscenza del sistema computer e delle sue elementari applicazioni informatiche e telematiche andrebbe ormai presupposta così come si fa per lo scrivere e far di conto, considerato che, se è vero, sulla base dei rilievi di Maccarone, che il ricorso al pc ha valenze essenzialmente ludiche per la maggior parte dei giovani, la pratica del peer-to-peer non è neanche un'operazione tanto banale.

4. Ampliando ancor più la visuale, è tuttavia lo stesso insegnamento dell'informatica giuridica e del diritto dell'informatica che appare oggi versare in una situazione critica che mette a dura prova coloro - oggi ormai non più tanto giovani - che hanno scommesso sul razionale sviluppo della disciplina e su una presa di coscienza libera da giochi di consorterie del legislatore universitario.
Ritornando alle origini, si ricorderà come la prima apparizione della disciplina, con l'etichetta in certo modo onnicomprensiva (o reputata tale) di "informatica giuridica", avvenne nell'ambito del raggruppamento scientifico-disciplinare della filosofia del diritto. Una tale scelta, se costituiva un doveroso omaggio a chi come Losano e Frosini avevano pionieristicamente coltivato certi interessi di studio, pose subito però il problema del ritaglio della parte giuspositiva, ossia dello studio di quella parte dell'ordinamento che, sotto l'incalzare di normative specifiche civilistiche, amministrativistiche e penalistiche, andava costituendosi come un vero e proprio corpus normativo dotato di una fisionomia autonoma.

5. A ciò sembrò porre rimedio la riforma dei raggruppamenti scientifico-disciplinari allorché anche il "diritto dell'informatica" fece ufficialmente il suo ingresso, distribuendosi sensatamente tra diritto privato e diritto pubblico, e facendo intendere un assestamento dell'informatica giuridica principalmente sui suoi aspetti logici e metodologici. Poiché le sistemazioni razionali sono fastidiose, venne successivamente decretato che il diritto dell'informatica era invece da intendersi essenzialmente come una disciplina privatistica con buona pace della problematica delle libertà, ivi compresa la privacy, nonostante che giurisdizioni costituzionali dell'emisfero occidentale ne avessero messo a fuoco la coessenzialità più con il tema della libertà che con quello del diritto dei contratti.

6. Nel frattempo però almeno l'informatica giuridica continuava il suo percorso nell'alveo degli studi filosofici, con l'effetto di proporre all'accademia i primi cattedratici della disciplina, condizione (anche se non la sola) per l'avvio di scuole e di ricerche nel pianeta università.

7. Inopinatamente anche questo germoglio sembra destinato a disseccarsi, dato che, come si legge nel decreto del ministro dell'Università e della Ricerca del 18 marzo scorso, il settore della filosofia del diritto dovrà limitarsi a studiare i "profili filosofico-giuridici" dell'informatica giuridica, la quale, dal canto suo, non si capisce bene dove sia finita (parce sepulto!).

8. Certo: alcune battaglie sono state già ingaggiate e forse anche tutti coloro a cui stanno a cuore le nostre discipline pensano che non sia il caso di rassegnarsi. Intanto però navigo malinconicamente sulle molteplici pagine estere che il Web propone in tema di "Computer and Law" (678 referenze con Google in data odierna). Il pessimismo è di rigore!
 

* Università di Genova: http://www.costituzionale.unige.it 

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