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 Commercio elettronico

L'avvocatura italiana nell'era di internet
di Francesco Luongo - 08.01.01

Da professionisti a imprenditori del diritto: questo sembra essere il nuovo ruolo predestinato all'avvocatura italiana. In tal senso l'azione del Governo, che nel dare attuazione a numerose direttive comunitarie ha avviato una spiccata opera di deregolamentazione che coinvolge anche gli ambiti professionali.

Le critiche dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato sul sistema di accesso e di organizzazione delle professioni, considerato "protezionistico" e ingiustificatamente restrittivo della concorrenza, e la nuova "bozza Mirone" sul riordino delle professioni rappresentano i tratti salienti di una tendenza alla deregulation non sempre condivisa dai destinatari.
Non mancano, del resto, pronunce giurisprudenziali in merito alla qualificazione della l'attività professionale come attività d'impresa. La Corte di giustizia europea, nella sentenza del 18 giugno 1998 (causa C-35/96) ha ribadito questo punto, qualificando l'attività degli spedizionieri doganali come avente natura economica ai fini della concorrenza, respingendo l'obiezione avanzata dal Governo Italiano sulla incompatibilità della natura intellettuale dell'attività svolta dagli spedizionieri con la nozione di impresa prevista dalla disciplina sulla concorrenza.

La stessa Corte d'appello di Torino (sent. 11 luglio 1998, n. 791) , pronunciandosi sulla correttezza della qualificazione delle attività professionali come impresa ai fini della applicabilità delle disposizioni di cui alla L. 287/90 sulla concorrenza ha statuito: "L'attività dell'avvocato ha evidentemente natura economica essendo costituita da una prestazione intellettuale contro una remunerazione con l'assunzione a proprio carico dei rischi economici e finanziari connessi a detta attività, ai sensi degli artt. 2222, 2229 c.c. . trattandosi di attività inclusa nell'ambito di applicabilità degli artt. 85 e 86 del Trattato di Roma".
Ma proprio quando la dinamica legislativa comunitaria e nazionale, confortata da ormai univoca giurisprudenza, sembrava orientata ad una parificazione tout court del binomio codicistico professionista - impresa, ecco fare il suo ingresso sulla scena la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico.

Una normativa quanto mai attesa da miriadi di imprese e consumatori del vecchio continente alle prese quotidianamente con transazioni via internet, ma che in Italia si è tradotta in un vero e proprio fulmine a ciel sereno per tutte quelle professioni che, al pari dell'avvocatura, muovono i primi ed incerti passi nel mondo della rete.
Nata per regolamentare un commercio cosiddetto "on-line", il cui rilevante fatturato ammonta ormai a circa 17 miliardi di dollari l'anno, la direttiva sull'e-commerce non mancherà, infatti, di avere riflessi determinanti sul confronto in atto anche tra i professionisti del diritto in merito alle problematiche della pubblicità professionale e della consulenza sulla rete.
Primo tratto saliente della norma comunitaria l'espressa affermazione che quanto da essa stabilito si applica anche alle cosiddette "professioni regolamentate" (art. 2 lett. g), definizione asettica che, tuttavia, esprime un primo importante riconoscimento delle peculiarità intrinseche alle libere professioni.

Se fino ad oggi la parificazione tra impresa ed attività professionale sembrava un dato di progressiva acquisizione dall'ordinamento comunitario a quello statale, la direttiva sul commercio elettronico rappresenta una prima importante virata nel senso di una più attenta valutazione delle caratteristiche e dell'opera del libero professionista europeo.
Le nuove prospettive offerte dalla information tecnology sono al centro della attenzione del Consiglio e del Parlamento europeo, il cui obiettivo fondamentale, dichiarato all'art. 1, è e resta "il buon funzionamento del mercato, garantendo la libera circolazione dei servizi della società dell'informazione tra stati membri".
Pur con l'esplicita esclusione della rappresentanza e difesa processuale, anche l'avvocatura italiana viene inevitabilmente coinvolta in una regolamentazione che prevede norme precise per l'esercizio dell'attività professionale nei suoi neonati aspetti telematici.

Il nuovo orizzonte della consulenza on-line, con le innegabili potenzialità legate alla crescita esponenziale delle nuove tecnologie, trovano nel Capo II della citata direttiva specifiche previsioni che mutano radicalmente alcuni presupposti del dibattito interno all'avvocatura italiana. "Gli stati membri - dispone l'art. 4 - garantiscono che l'accesso alla attività di un prestatore di un servizio della società dell'informazione ed il suo esercizio non siano soggetti ad autorizzazione preventiva o ad altri requisiti di effetto equivalente".

Enunciato il principio dell'assenza di autorizzazione preventiva per chi opera sulla rete, il successivo art. 5 prevede precise disposizioni per coloro che intendono fornire beni e servizi in internet.
Innanzitutto dovrà essere presente e facilmente accessibile ai destinatari del servizio ed alle competenti Autorità il nome del prestatore, il suo l'indirizzo, gli estremi per contattarlo direttamente. Ancora, se lo stesso è iscritto in pubblici registri, o, qualora svolga una attività soggetta ad autorizzazione, gli estremi dell'Autorità di controllo. E', tuttavia, la lettera f del citato disposto a segnare un momento fondamentale per il professionista cui è espressamente rivolta. Infatti è resa obbligatoria anche l'indicazione dell'Ordine professionale presso cui è iscritto chi offre il servizio in rete, il titolo professionale e lo Stato membro in cui è stato rilasciato. Infine il riferimento alle norme professionali vigenti nello Stato membro di stabilimento e le modalità di accesso alle medesime.

E' evidente dunque come la direttiva autorizzi espressamente, escludendo qualsivoglia limitazione, la comunicazione commerciale di promozione dei propri servizi, purché essa avvenga in modo chiaramente identificabile.
Per il legislatore comunitario anche il legale ha diritto di pubblicizzare fornire i propri servizi nella attuale "società dell'informazione" e l'art. 8 della norma, con specifico riferimento alle professioni regolamentate, individua quale obiettivo fondamentale degli Stati che tale opportunità venga fornita nel rispetto delle regole professionali relative.
Indipendenza, dignità, onore della professione, segreto professionale, lealtà verso i clienti ed i colleghi, da insormontabili ostacoli vengono considerati nella direttiva sull'e-commerce semplici parametri, sia pur importanti, su cui sviluppare codici di condotta elaborati dalle associazioni professionali per permettere ai propri membri lo svolgimento dell'attività promozionale e di consulenza in internet.

La regolamentazione da parte degli Ordini viene quindi espressamente limitata alla previsione delle informazioni che possono essere fornite a fini latu sensu commerciali. Un ruolo di grande importanza viene attribuito dall'art. 16 ai consumatori, considerati non solo quali destinatari di una specifica tutela, ma anche quali soggetti organizzati in associazioni (riconosciute nel nostro ordinamento dalla L. 281/98) chiamate per ciò stesso a collaborare attivamente nella predisposizione dei codici di autoregolamentazione.
Quanto esposto rappresenta dunque un vero e proprio ordigno ad orologeria per il mondo forense italiano che non potrà non prendere atto di una direttiva cui l'ordinamento statale dovrà adeguarsi entro il 9 novembre 2001.

Se da un lato ampi settori dell'avvocatura, tra cui naturalmente le nuove generazioni, sembrano essere disposti a vivere senza remore i nuovi scenari aperti dall'evoluzione tecnologica, altra significativa parte del mondo forense si dichiara apertamente sfavorevole alla consulenza on-line ed alla pubblicità professionale, ritenuta in contrasto con l'art. 19 del Codice deontologico (divieto di accaparramento della clientela).
In mancanza della chiara regolamentazione di un nuovo dagli aspetti sempre più mutevoli, appaiono comprensibili i timori di chi considera l'attività giuridica sulla rete e la connessa pubblicità come un vero e proprio snaturamento della professione legale.
Una serena valutazione dell'attuale contesto è dunque necessaria, ma essa, tuttavia, non può e non deve prescindere da quanto di certo è acquisito nella normativa comunitaria e nazionale. Le richiamate incertezze sul nuovo ruolo dell'avvocatura sono, infatti, destinate a divenire falsi problemi per un duplice ordine di motivi normativo e contestuale.

Innanzitutto l'esaminata direttiva sull' e-commerce ammette senza riserve la possibilità della consulenza on-line da parte del professionista; ad essa va ad aggiungersi il decreto legislativo 67/2000 che, dando attuazione alla direttiva comunitaria 55/97 relativa alla pubblicità comparativa, ha modificato il precedente decreto legislativo 74/92 sulla pubblicità ingannevole, estendendo le possibilità di comparazione anche tra i professionisti.
Vieppiù che la stessa 55/97 è stata già oggetto di una significativa decisione della Commissione (n. 267/99) riferita al Codice deontologico dei mandatari abilitati presso l'Ufficio europeo dei brevetti. Tale codice è stato, infatti, considerato restrittivo della concorrenza nella parte in cui vieta la pubblicità comparativa ed in quella in cui vieta e rende più difficile l'offerta di servizi agli utenti. In essa si legge testualmente che ". la Commissione, pur riconoscendo che il valore del professionista e la qualità delle prestazioni costituiscono elementi essenziali di concorrenza fra membri di una libera professione, ritiene che la nozione di concorrenza comporti anche altri elementi quali gli onorari e la pubblicità " (punto 40). Viene inoltre precisato che ".per pubblicità si intende non solo l'informazione esatta per l'utente ma anche la promozione dei servizi, compreso il raffronto con un concorrente e con i servizi forniti dai concorrenti. Inoltre i liberi professionisti devono avere la libertà di procurarsi attivamente i clienti." (punto 41).
In sostanza "l'offerta di servizi, quando verta su informazioni esatte e precise, e la pubblicità comparativa, quando confronti aspetti rappresentativi e verificabili e non sia ingannevole, servono ad accrescere a loro vantaggio l'informazione degli utenti e costituiscono elementi importanti del processo concorrenziale " (punto 41).

Questi in estrema sintesi i riferimenti normativi in materia di consulenza on-line e pubblicità professionale, di cui il CNF non potrà non tenere conto nella difficile opera di regolamentazione e mediazione cui è chiamato.
Ma è soprattutto il contesto paradossalmente "virtuale" in cui il professionista del diritto italiano si trova ad operare che desta non poche preoccupazioni, da tempo espresse nei sempre più numerosi circoli di giuristi telematici. Internet presenta oggi centinaia di siti web di associazioni di categoria, di consumatori ovvero imprese o semplici privati che offrono quotidianamente consulenza on-line, anche gratuita, sulle più svariate problematiche giuridiche.
Le cosiddette news letter permettono oggi al navigatore di internet di inserire il proprio quesito e di ottenere poche ore dopo la risposta nella propria casella di posta elettronica con un semplice clic.
Risultano pertanto, condivisibili quegli orientamenti del mondo forense che auspicano la ricerca di prospettive e soluzioni che possano essere condivise dalla gran parte dell'avvocatura italiana in una fase di particolare importanza per una ridefinizione del proprio ruolo in aderenza ai pregnanti cambiamenti della società e del mercato.

In considerazione dei pericoli di truffe ed abusi su internet lesivi della dignità e del decoro professionale, nonché del fondamentale principio di affidamento dei clienti utenti, è evidente, che la soluzione più pratica ed agevole per assicurare che la consulenza on line e la pubblicità professionale si svolgano con le opportune garanzie di correttezza passa attraverso I consigli dell'Ordine.
Secondo una evoluzione già indicata da molti all'atto della citata riforma deontologica dell'ottobre scorso, all'inevitabile diffusione della attività telematica dei giuristi non può non fare riscontro un controllo destinato all'organo naturalmente destinato a tale compito.
Auspicabile quindi la definizione di un codice di autoregolamentazione da parte del CNF, conforme alle esposte normative comunitarie e nazionali, che sviluppi e chiarisca il giusto modus operandi per i tanti legali già presenti sulla rete e per coloro che, con l'incertezza del neofita, si apprestano ad entrarvi.

Del resto proprio dalla consapevolezza che certezza vuol dire anche sicurezza per l'intera categoria forense, nasce l'idea di una preventiva registrazione del sito professionale al proprio consiglio dell'Ordine di appartenenza che, in base alla vigente normativa ed alla imminente regola nazionale, ne vaglierà contenuti e requisiti in modo da garantirne il rispetto dei fondamentali principi di correttezza, verità, dignità, decoro segretezza e riservatezza.
Lo stesso Consiglio potrebbe concedere l'utilizzo di un banner o bollino autorizzativo numerato e registrato presso il CNF, che il legale apporrebbe sul proprio sito al fine di assicurare il consumatore circa l'effettivo possesso dei requisiti professionali e permetterne un più agevole riscontro.
Il monitoraggio dei siti legali presenti sul territorio facilmente effettuabile attraverso i tanti motori di ricerca presenti nella rete permetterebbe, infine, di smascherare e denunciare eventuali abusi e conseguenti pericoli per gli utenti.

Il connesso e necessario aggiornamento tecnologico degli Ordini potrebbe essere agevolato dall'inserimento nel processo di informatizzazione su larga scala avviato dal Ministero delle Giustizia e di cui il "processo telematico" rappresenta l'ormai fattibile realtà grazie all'ultimo tassello normativo del Regolamento sulla tenuta degli atti e dei registri approvato dal Consiglio di stato il 13.01.00.
A fronte di tante intrusioni nel mondo della consulenza giuridica da parte di un numero sempre maggiore di soggetti non sottoposti a regole certe ed a predeterminati requisiti di professionalità, l'avvocatura italiana ha oggi la possibilità di garantire il proprio ruolo rendendo un servigio a tutti i cittadini europei, la cui richiesta di aiuto nel frastagliato mondo delle normative comunitarie e nazionali può essere soddisfatta oggi con davvero minimi sforzi, sia tecnologici che deontologici.