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Firma digitale

Processo telematico: in difesa della segretaria

di Daniele Coliva - 06.10.05

 
Il processo civile telematico sta prendendo forma in maniera concreta, almeno sotto il profilo degli strumenti tecnici e normativi. Tuttavia trascorrerà ancora un po' di tempo prima che gli atti processuali siano dematerializzati in via definitiva.

Una prima realizzazione pratica è però già funzionante: è il cosiddetto sistema "Polisweb", mediante il quale gli avvocati possono consultare i registri di cancelleria (anch'essi già informatizzati) per estrarre le informazioni concernenti le cause in cui assistono una parte (in termini tecnici: nelle quali sono costituiti). La consultazione avviene in due modi: o mediante postazioni situate all'interno dei locali giudiziari, ovvero tramite internet, dal proprio studio, senza limiti di orario.
Le informazioni alle quali l'avvocato accede sono ovviamente riservate, dal momento che i processi civili non sono pubblici e il difensore è tenuto al segreto professionale, e la loro comunicazione o diffusione potrebbe avere ovvi effetti dirompenti sulla sfera personale degli interessati, che si tratti sia di persone giuridiche sia di persone fisiche.

Il problema cardine diventa allora l'identificazione dell'utente che, se eseguita con strumenti informatici, deve garantire sufficiente certezza in ordine alla corretta individuazione del soggetto legittimato ad accedere a quei dati.
Nel mondo "cartaceo" (chiamamolo così in contrapposizione a quello dei bit) non è sempre necessaria la presenza attiva del difensore. Il più delle volte l'accesso ai dati di cancelleria è compiuto da collaboratori o dipendenti ed è il funzionario dell'ufficio a verificare sommariamente la legittimazione, che il più delle volte è svincolata da qualsiasi procedura formale.

Nel mondo informatico, invece, tale libertà di forme non è concepibile e l'identificazione deve essere un procedimento rigorosamente formale: i computer sono alquanto vulnerabili a comportamenti fraudolenti e quindi non essendo seriamente ipotizzabile la costruzione di un meccanismo di identificazione "sicuro" esclusivamente meccanicistico è necessario introdurre l'elemento umano nel procedimento di identificazione.

Le Regole tecnico-operative per l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile (DM 14 ottobre 2004) definiscono l'autenticazione (termine errato) come operazione di identificazione in rete del titolare della carta nazionale dei servizi o di altro dispositivo crittografico, contenente un certificato di autenticazione, secondo la previsione dell'art. 62; quest'ultima disposizione stabilisce al terzo comma che Fino all'entrata in vigore delle regole tecniche relative alla carta nazionale dei servizi, l'autenticazione dei soggetti abilitati esterni avviene mediante dispositivo di crittografia contenente al suo interno un certificato di autenticazione e la corrispondente chiave privata protetta da PIN. La chiave privata, lunga almeno 1024 bit e generata all'interno del dispositivo crittografico, non deve essere estraibile dal dispositivo stesso. In buona sostanza, il difensore inserirà una smart card in apposito lettore ed al momento opportuno fornirà al sistema il PIN necessario per completare il processo di identificazione.

Poiché però non è consentita la rivelazione del PIN a soggetti terzi e nemmeno l'affidamento ad altri soggetti del dispositivo crittografico, in quanto ciò frustrerebbe l'intero sistema consentendo una inammissibile "circolazione dell'identità" separata dalla persona fisica, l'accesso ai dati delle cause civili non potrà, quanto meno secondo lo schema di base, essere effettuato se non dall'avvocato stesso, con esclusione di qualsiasi possibilità di delega a collaboratori.

Ecco dunque il paradosso. Tralasciando ogni considerazione sulle capacità informatiche di una buona parte dei membri della categoria alla quale appartengo, lo strumento informatico-telematico nella sua rigorosa applicazione determina una situazione peggiore di quella preesistente. L'attività di consultazione dei dati contenuti nei registri di cancelleria non può che essere svolta solamente dall'avvocato, il quale non potrà delegare ad alcuno l'utilizzo dello strumento di identificazione. E' indubbio che ciò rischia o di ostacolare fortemente la diffusione del nuovo strumento informatico, ovvero di dare luogo ad una prassi illecita di utilizzo di smart card e pin ad opera di collaboratori e segretarie. E' opportuno precisare che l'illiceità è solo nell'uso, non nell'accesso ai dati, che comunque fanno parte dei fascicoli di studio, ai quali costoro hanno accesso in ogni caso.

Si potrebbe pensare allora che non ci sia nulla di male nel far passare la segretaria per l'avvocato, dal momento che sotto il profilo sostanziale si riprodurrebbe la medesima situazione che si verifica nell'ipotesi di accesso fisico alla cancelleria. In realtà, questa prassi è perniciosa per due ordini di ragioni: in primo luogo perché dà luogo ad una violazione di elementari norme di sicurezza in contrasto con corretti principi di trattamento di dati personali (ed espongono a responsabilità ai sensi dell'art. 2050 c.c.); in secondo luogo, perché nella fase di attuazione la smart card non conterrà solamente il certificato di "autenticazione", ma sarà anche un dispositivo di firma digitale qualificata e pertanto ancor più pericoloso, per ovvie ragioni.

Sarà pertanto necessario che i certificatori accreditati rilascino dispositivi che non contengano anche la firma digitale qualificata, ma solo le credenziali necessarie per l'identificazione e, per la consultazione da parte di collaboratori del difensore, la nomina a sostituto ai sensi dell'art. 9 del r.d. lgs. 1578/1933 (Con atto ricevuto dal cancelliere del Tribunale o della Corte d'appello, da comunicarsi in copia al Consiglio dell'ordine, il procuratore può, sotto la sua responsabilità, procedere alla nomina di sostituti, in numero non superiore a tre, fra i procuratori compresi nell'albo in cui egli trovasi iscritto. Il sostituto rappresenta a tutti gli effetti il procuratore che lo ha nominato. Il procuratore può anche, sotto la sua responsabilità, farsi rappresentare da un altro procuratore esercente presso uno dei Tribunali della circoscrizione della Corte d'appello e sezioni distaccate. L'incarico è dato di volta in volta per iscritto negli atti della causa o con dichiarazione separata).

A prima vista, dunque, la segretaria non avrà più alcun accesso. Ma, tecnicamente, una soluzione ci sarebbe: dovrebbe essere munita, su richiesta dell'avvocato, di una smart card specifica che consenta solo l'accesso ai dati dei registri di cancelleria, senza permettere il compimento di alcun atto riservato al solo difensore, il quale rimarrebbe in ogni caso responsabile del suo utilizzo. In caso contrario, l'ineluttabile "formalismo informatico" determinerà il ridimensionamento di una figura fondamentale dello studio legale.

Insomma, occorre individuare un punto di incontro tra le giustissime esigenze di sicurezza e quelle, altrettanto legittime, di duttilità ed efficienza della professione, in modo tale da consentire allo strumento informatico di svolgere la sua funzione fondamentale, cioè lavorare meglio e non invece essere un ostacolo ulteriore, specialmente per le realtà professionali più piccole.

 

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