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Testo unico: un passo avanti o due indietro?
di Piero Casciani* - 05.10.2000

Sulle pagine di InterLex è in corso un acceso dibattito sulla bozza di "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa" approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 29 agosto scorso.
Com'è noto, con questo provvedimento si comincia a dare attuazione a quanto previsto dall'art. 7 della legge di semplificazione 1998 (n. 50/99), che prevede un programma di riordino delle norme legislative e regolamentari, mediante l'emanazione di testi unici riguardanti settori omogenei.

Tra i criteri cui il Governo deve attenersi nella redazione dei testi figura quello del

coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica nella normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo.

Ora è evidente che il punto centrale dell'operazione sta proprio nella ricerca dell'equilibrio ottimale tra le esigenze di modifica necessarie a garantire la coerenza di un "testo unico" e i limiti di fedeltà alla normativa vigente che un'opera di coordinamento, e non di riscrittura, impone, come sono evidenti le difficoltà che derivano dalla stratificazione delle norme legislative e regolamentari da riordinare.
Per questo è necessario un confronto approfondito del testo redatto dalla Funzione pubblica con la normativa preesistente, per individuare sia i casi nei quali la fedeltà al testo vigente rischia di riprodurre le stesse difficoltà preesistenti, sia i casi nei quali le modifiche apportate rischiano di stravolgere quanto il legislatore ha inteso sancire.

A quest'ultima fattispecie sembra appartenere la questione degli "accertamenti d'ufficio", affrontata dall'art. 43 della bozza di testo unico, in particolare dal comma 1, che recita:

Le amministrazioni pubbliche non possono richiedere atti o certificati concernenti stati, qualità personali e fatti di cui all'articolo 46, per i quali sono tenute o ad acquisire d'ufficio le relative informazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, dell'amministrazione competente e degli estremi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, o ad accettare la dichiarazione sostitutiva dell'interessato.

La nuova formulazione sembra voler mettere assieme le previsioni dell'art. 18, comma 2, della legge 241/90:

Qualora l'interessato dichiari che fatti, stati e qualità sono attestati in documenti già in possesso della stessa amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione, il responsabile del procedimento provvede d'ufficio all'acquisizione dei documenti stessi o di copia di essi

con quelle dell'art. 7, comma 1, del dpr 403/98

Qualora l'interessato non intenda o non sia in grado di utilizzare gli strumenti di cui agli articoli 1 e 2, i certificati relativi a stati, fatti o qualità personali risultanti da albi o da pubblici registri tenuti o conservati da una pubblica amministrazione sono sempre acquisiti d'ufficio dall'amministrazione procedente, anche con la procedura di cui al comma 2, su semplice indicazione dell'interessato della specifica amministrazione che conserva l'albo o il registro

E qui già appare evidente un primo errore in quanto non risulta corretto il riferimento esclusivo alla norma regolamentare segnalato dalla bozza di testo unico (R), laddove il riferimento ad una norma di legge è con tutta evidenza confermato dalla esplicita abrogazione dell'art. 18 della legge 241/90, prevista all'art. 75 della stessa bozza di testo unico.

Nel merito della questione, si possono formulare alcune osservazioni.

  1. il nuovo testo recato dall'art. 43 appare restrittivo già rispetto al solo regolamento 403/98, laddove quest'ultimo affermava il dovere delle amministrazioni di procedere all'acquisizione d'ufficio non solo dei certificati elencati dall'art. 1, ma anche di quelli previsti dall'art. 2, mentre il nuovo testo fa riferimento esclusivo alle certificazioni elencate nell'art. 46 (che recepisce l'art. 1 del dpr 403/98), e non a quelle previste dall'art. 47 (che recepisce l'art. 2 del dpr 403/98);
  2. la nuova formulazione appare più confusa della precedente, che all'art. 7, comma 1 del regolamento individuava il criterio di alternatività tra i due strumenti (dichiarazione sostitutiva o accertamento d'ufficio) nella mancanza di volontà o nella impossibilità dell'interessato di utilizzare la dichiarazione sostitutiva;
  3. l'elemento più preoccupante è l'inserimento, assolutamente non richiesto da alcuna esigenza di coordinamento e che assume al contrario una connotazione esclusivamente restrittiva delle possibilità di utilizzo della norma, della indicazione da parte dell'interessato non solo dell'amministrazione competente, che già era contenuta nella norma preesistente, ma finanche "degli estremi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti", che rappresenta una sorta di pietra tombale sulla possibilità di utilizzo di tale procedura.

Ma il problema più grave è l'abrogazione operata dal testo unico di tutto l'art. 18 della legge 241/90, che, oltre al già citato comma 2, prevede, al comma 3:

Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare.

Infatti, mentre il comma 2 individua una procedura di acquisizione d'ufficio attivata a richiesta della parte interessata, il comma 3 stabilisce tout court un principio di organizzazione di carattere generale, un dovere delle pubbliche amministrazioni di scambiarsi le informazioni tra di loro e non utilizzare il cittadino utente come una sorta di fattorino.
Si può dire senz'altro che il principio affermato dal comma 3 dell'art. 18 non è mai stato appieno realizzato, o addirittura che non è stato per nulla realizzato, ma questo non può comportare che esso debba essere cancellato dalla normativa, implica semmai la constatazione che il ritardo delle pubbliche amministrazioni ad adeguarsi ammonta già a dieci anni.

Che il principio affermato dall'art. 18 della legge 241/90 sia di grande valenza nei rapporti tra gli utenti e la pubblica amministrazione è peraltro stato recentemente riaffermato dall'esplicito riferimento a quella norma contenuto nello "Statuto dei diritti del contribuente" (legge n. 212 del 27 luglio 2000), che, all'art. 6 comma 4, ha inteso confermare appieno quel dovere di accertamento d'ufficio purtroppo ancora scarsamente praticato.
Per di più, l'intervento modificativo proposto nel testo unico sarebbe - di già - il primo caso di specie di verifica della affermata inderogabilità dei principi sanciti dallo Statuto del contribuente.

Se infine l'ipotesi di abrogare il principio statuito dall'art. 18 della legge 241/90 solleva perplessità sul piano giuridico, ancor meno comprensibile appare sul piano politico, se è vero che tale principio è stato con grande enfasi riaffermato recentissimamente nel piano di azione per l'e-government (22 giugno 2000).

In tale documento è possibile leggere in premessa (pag. 5, "La visione dell'amministrazione elettronica del Paese") che la "visione dell'Amministrazione che si propone al Paese, e che può essere concretamente realizzata proprio grazie alle possibilità oggi offerte dalle tecnologie ICT, si può sintetizzare nelle seguenti proposizioni:

  • il cittadino potrà ottenere ogni servizio pubblico, cui ha titolo, rivolgendosi ad una qualsiasi amministrazione di front-office abilitata al servizio, indipendentemente da ogni vincolo di competenza territoriale o di residenza;
  • all'atto della richiesta di un servizio, il cittadino, oltre agli strumenti di identificazione personale, non dovrà fornire alcuna informazione che lo riguarda e che sia già in possesso di una qualsiasi amministrazione dello Stato.;
  • il cittadino non dovrà conoscere come lo Stato è organizzato per la erogazione dei servizi o a quali amministrazioni si deve rivolgere, ma potrà richiedere servizi esclusivamente in base alle proprie esigenze, non in base alla conoscenza di quale amministrazione fa che cosa;"

Proprio l'enfasi con la quale viene proposta tale visione dell'amministrazione impone che non venga cancellato dall'ordinamento un principio che, quasi fortunosamente, già da dieci anni è stato affermato dal legislatore.

* Funzionario del Ministero delle finanze