Pagina pubblicata tra il 1995 e il 2013
Le informazioni potrebbero non essere più valide
Documenti e testi normativi non sono aggiornati

Firma digitale

Effetti probatori: si torna ai principi del processo civile - 1

di Gianni Buonomo* - 09.12.04

 
L'articolo 18 del decreto legislativo sul riordino delle disposizioni vigenti sulla cosiddetta società dell'informazione (pomposamente definito "codice delle amministrazioni digitali") approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri del 11 novembre 2004 segna una vistosa inversione di tendenza sul delicato tema dell'efficacia probatoria dei documenti informatici e sembra accogliere le numerose critiche che accompagnarono l'emanazione del decreto legislativo n. 10 del 2002 in occasione del recepimento della direttiva comunitaria sulle firme elettroniche (n. 93 del 1999).

Il testo approvato il mese scorso (che, va ricordato, dovrà essere nuovamente e definitivamente approvato una volta acquisito il parere obbligatorio del Consiglio di Stato e delle commissioni parlamentari), dispone che "Il documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile." e riproduce integralmente, nella prima parte, il testo dell'articolo 5 del DPR n. 513 del 1997 ("Il documento informatico, sottoscritto con firma digitale . ha efficacia di scrittura privata ai sensi dell'art. 2702 del codice civile").

Frutto di evidente compromesso tra i sostenitori del sistema introdotto dal decreto legislativo n. 10 del 2002 attualmente in vigore e quanti da tempo invocano, invece, una definizione dell'istituto più rispettosa del vigente sistema processuale, è la seconda parte dell'articolo 18, ove è affermato il principio secondo cui "L'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che sia data prova contraria".
Prima di affrontare - con la dovuta attenzione e dopo la definitiva emanazione del provvedimento - l'analisi del nuovo testo normativo è necessario chiarire alcuni principi generali, anche a fine di non limitare il dibattito che si va sviluppando in questi giorni ad un ristretto gruppo di iniziati.

In primo luogo, non è vero, da un punto di vista storico e giuridico, che l'attuale formulazione dell'articolo 10 del testo unico sulla documentazione amministrativa (DPR. 445/2000) secondo cui "Il documento informatico, quando è sottoscritto con firma digitale. e la firma è basata su di un certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura, fa. piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritto" è diretta ed immediata conseguenza della direttiva comunitaria n. 93 del 1999.
La direttiva impone agli Stati membri di provvedere affinché le firme elettroniche avanzate, basate su un certificato qualificato e create mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura, (1) ".posseggano i requisiti legali di una firma in relazione ai dati in forma elettronica così come una firma autografa li possiede per dati cartacei " e siano ammesse come prova in giudizio e che (2) ".una firma elettronica non sia considerata legalmente inefficace e inammissibile come prova in giudizio unicamente a causa del fatto che è in forma elettronica." (art. 5 comma 2).

La direttiva comunitaria, in sostanza, impone agli Stati membri di equiparare alla sottoscrizione autografa, quanto agli effetti probatori, una firma elettronica avanzata, basata su un certificato qualificato e generata con un dispositivo sicuro, ovvero di non escludere la rilevanza giuridica di una firma elettronica per il solo fatto che essa non può essere apposta su un documento cartaceo.
La direttiva, in particolare, non prevede in alcuna norma che le firme elettroniche possano conferire al documento informatico una efficacia probatoria maggiore di quella che assume nel processo una scrittura privata munita di sottoscrizione autografa.
Né poteva essere altrimenti, posto che il principio ispiratore della legislazione sopranazionale è il cosiddetto principio di non discriminazione dei documenti informatici rispetto ai documenti cartacei e non già un principio, per così dire, di favore.

Il documento costituisce, infatti, nel nostro ordinamento come in tutti gli ordinamenti di civil law, un fondamentale mezzo di prova risalente allo jus novum postclassico, quando venne introdotta nelle prassi negoziali una nuova formalità (la scriptura) per evitare che i negozi di maggior rilievo fossero lasciati al labile ricordo connesso ad una manifestazione meramente orale o gestuale dei loro autori.
Il documento, dunque, è il mezzo di prova utilizzato, ancor oggi, per conservare nel tempo la prova di un fatto "oggettivo" (ad esempio, la descrizione di ciò che è avvenuto davanti ad un pubblico ufficiale ed ai testimoni) o di un fatto "soggettivo" (ad esempio la volontà negoziale delle parti trascritta nel contratto) ed è costituito da ogni strumento idoneo a conservare nel tempo la registrazione di un atto, di un fatto o di un dato, prescindendo dal corpo recettore sul quale è registrata l'informazione.

Ora, è noto che il vigente codice civile attribuisce un differente valore probatorio nel processo a documenti di speciale rilevanza, redatti con particolari formalità dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, destinati a fare "piena prova" della provenienza dal pubblico ufficiale che l'ha sottoscritto e di tutto quanto il pubblico ufficiale attesta essere avvenuto in sua presenza (atti pubblici: articolo 2700 c.c.)
Di fronte ad un atto pubblico, il giudice è vincolato dalla legge a considerare come vere le circostanze descritte nel documento dal pubblico ufficiale, a meno che non sia stata giudizialmente affermata la falsità del documento attraverso la querela di falso.

La scrittura privata, invece, è un documento che non ha la stessa efficacia probatoria dell'atto pubblico, perché non è redatto da un pubblico ufficiale, ma da un privato.
In particolare, la scrittura privata fa prova soltanto contro chi ha sottoscritto il documento (e non a suo favore) se colui che ne appare il firmatario ne riconosce come vera la sottoscrizione (art. 2702 c.c.) o se la sottoscrizione è "considerata come riconosciuta" dalla legge.
Si ha per riconosciuta, ad esempio, la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, previa identificazione della parte e mediante attestazione che la firma è stata apposta in sua presenza (art. 2703 co. 2, c.p.c.). In questo caso, colui che appare come firmatario del documento non può disconoscere la propria firma, a meno che non ottenga la dichiarazione di falsità dell'atto proponendo querela di falso.

Dunque, può dirsi, con espressione sintetica, che un documento può assumere valore di prova nel processo solo se esso può attribuirsi con certezza al suo autore.
Ciò si comprende considerando che, a determinare il convincimento del giudice sul valore probatorio di uno scritto, prima ancora del suo contenuto, è la certezza che le espressioni di volontà, in esso rappresentate, sono state effettivamente volute da colui che figura come autore del documento.
La firma (da firmare = garantire, confermare) non è altro che il segno con cui l'autore fa proprio uno scritto, cosicché corrisponde a massima d'esperienza il fatto che il documento sottoscritto appartiene (cioè: può essere attribuito) a colui che figura come suo firmatario.

L'unico valore attribuibile al documento informatico, privo di sottoscrizione, prima della legge n. 59 del 1997 era quello proprio dei documenti che non sono sottoscritti, i quali non possono essere utilizzati come prova in un giudizio, a meno che essi non siano copia di un documento sottoscritto (copie fotografiche di scritture: art. 2719 c.c.).
Pertanto, l'unica distinzione che appare giuridicamente rilevante è quella tra documenti informatici che, in quanto firmati, possono essere utilizzati come prova nel giudizio e documenti informatici che, essendo privi di firma, non hanno alcuna rilevanza probatoria.
Il problema, com'è evidente, non è quello della equiparazione della scrittura informatica alla scrittura cartacea (a queste conclusioni, del resto, si arriva anche per via interpretativa considerando che il contenuto rappresentativo del documento prescinde dal supporto sul quale l'informazione è registrata) bensì quello di individuare con certezza l'autore della scrittura informatica attraverso un segno equipollente alla sottoscrizione autografa.

La firma (digitale) apposta o associata al documento informatico è, come tutti sanno, lo strumento crittografico - equipollente alla sottoscrizione autografa - attraverso il quale l'ordinamento presume sino a prova contraria, la provenienza delle dichiarazioni contenute nel documento.
Il documento informatico prodotto in giudizio, dunque, dovrebbe fare "piena prova" della provenienza delle dichiarazioni in esso contenute solo in caso di riconoscimento della sottoscrizione da parte dell'autore (ovvero in caso di autenticazione della firma digitale previo accertamento da parte del pubblico ufficiale, art. 24/2 DPR 445/2000).

L'articolo 6 del decreto legislativo di recepimento della direttiva 1999/93/CE, spingendosi ben oltre i limiti fissati dalla legge di delegazione (che si riferisce al semplice recepimento della direttiva) ha stravolto completamente l'impianto originario della legge n. 59/1997 e del regolamento sulla firma digitale (DPR 513/1997) e, ad un tempo, lo stesso sistema delle prove accolto dal codice civile e fondato sulla tradizionale bipartizione tra atti pubblici e scritture private rendendo del tutto incomprensibili (e, comunque, inutili) tutte le norme del testo unico che, come la disposizione sull'autenticazione della scrittura informatica, presupponevano una sostanziale equivalenza tra scrittura privata e documento informatico sottoscritto con firma digitale.

Disponendo che il documento informatico sottoscritto con firma digitale fa piena prova, fino a querela di falso, delle provenienza delle dichiarazioni di chi l'ha sottoscritto, il DLgs 10/2002 ha, sino ad oggi, sostanzialmente equiparato il documento sottoscritto con firma digitale ad una scrittura con firma autenticata ed ha reso una scrittura privata redatta su supporto informatico conseguentemente non disconoscibile in giudizio dall'autore apparente che assume una frode ai suoi danni.

Peraltro, nessuna norma sovranazionale, tanto meno le disposizioni della direttiva 1999/93/CE, imponeva od impone agli Stati membri dell'Unione di rendere i documenti informatici qualcosa di più dei documenti cartacei. Anche perché il valore probatorio del documento non può certo derivare dal supporto su cui esso è formato o dalla tecnologia utilizzata per apporre la firma elettronica perché è legato alla pubblica fede che la legge attribuisce agli atti redatti dai pubblici ufficiali (si veda anche il mio articolo, scritto "a caldo" quando fu reso noto lo schema del DLgs 10/02 Lo schema governativo stravolge il processo civile).

(Continua sul prossimo numero)
 

* Magistrato, già componente della commissione AIPA sulla firma digitale

Inizio pagina  Indice della sezione  Prima pagina © InterLex 2004 Informazioni sul copyright