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 Diritto d'autore

Brevetti e software: chiarezza è fatta? 
di Roberto Manno - 26.09.03

L'altro ieri, 24 settembre, il Parlamento europeo il ha approvato (in prima lettura, quindi non si tratta di un'approvazione definitiva) la proposta McCarthy di riformare il sistema brevettuale europeo: 361 voti favorevoli, 157 contrari e 28 astensioni (si veda la relazione). Il Parlamento ha approvato una serie di emendamenti all'ultimo testo presentato, dal quale si poteva desumere il rischio di una illimitata possibilità di "brevettare le idee", ponendo un freno inaccettabile alla diffusione della conoscenza e alla libertà del mercato.
La proposta della relatrice britannica, frutto di due anni di studi e sondaggi condotti dalla Commissione Europea per il mercato interno, intendeva comporre una ormai insostenibile situazione di incertezza giuridica.

In Europa, infatti, il software "in quanto tale" viene escluso dalle materie brevettabili dall'art. 52 della Convenzione europea del brevetto del 1973: ad esso è riservata la tutela prevista dal diritto d'autore.
Ciò vuol dire che in Europa i meri programmi informatici vengono protetti nelle loro forme di espressione, e non nell'originalità della formula industriale da loro rappresentata (l'idea).
Tutto questo mentre in altri continenti, ossia i più avanzati (Giappone e Usa), il software viene considerato, alla stessa stregua di ogni innovazione suscettibile di applicazione industriale, come materia brevettabile (va detto in verità che differenze esistono anche tra Giappone e Usa).

In particolare, in USA non solo sono tranquillamente brevettabili i software, ma anche le versioni binarie di metodi per fare affari: si tratta dei business method patents, come il famoso "one-click" di Amazon. Una sentenza della corte d'appello del circuito federale statunitense, la famosa State Street Bank and Trust Co. v. Segnature Financial Group Inc., nel 1998 ha affermato che non è assolutamente vietato, nel diritto USA, concedere brevetti a metodi per condurre affari.
In USA, in altre parole, chi sviluppa un software può godere di protezione molto più forte. Si è visto con il tempo, tuttavia, che il brevetto sul software e soprattutto sui business method patents (la USPTO - l'ufficio brevetti USA - ha istituito una classe apposita, la n. 705) ha posto molti problemi, forse più di quanti non ne abbia risolti.

Torniamo in Europa: chi ha il compito di distinguere tra software "in quanto tale", non brevettabile, da quello non in quanto tale (che agisce cioè in stretta e inscindibile con l'hardware) è l'EPO, (European Patents Office) l'ufficio brevetti europeo, sulla base di propri criteri.
Ebbene, negli ultimi dieci anni, vuoi per la scarsa chiarezza del testo di legge, vuoi per l'abilità dei patent attorney del redigere le domande di brevetto, ne sono stati concessi molti anche in materie di software.
Si è determinata così una situazione di incertezza.

Il testo originario, tuttavia, non portava solo chiarezza: esso apriva le porte alla brevettabilità del software, rimovendo l'ostacolo costituito dall'art. 52 della Convenzione di Monaco.
Come abbiamo visto, la proposta ha subito una serie di emendamenti che ne hanno limitato la portata: anzi, pare che il principio della non brevettabilità del software in quanto tale sia stato riaffermato.
inoltre sono stati affrontati gli altri punti dolenti della disciplina, come la definizione del requisito del technical character (contrapposto al mero useful result della disciplina statunitense).

Al di là degli esiti delle prossime votazioni, l'ultima parola spetterà all'EPO: la chiarezza o la confusione nel mercato interno su un aspetto così importante della Società dell'Informazione dipende dai suoi criteri di esame delle domande.