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 Diritto d'autore

La brevettabilità del software: perché non può funzionare - 2
di Nicola Walter Palmieri* - 10.11.03

Al pari della proposta del 2002, anche quella recente contiene numerosi riferimenti alla direttiva 91/250/CEE, ma nessun accenno alla direttiva 2001/29/CE. È invece proprio questa in conflitto con la brevettabilità del software.
I brevetti di software causano gravi difficoltà a chi voglia condurre una seria ricerca di priorità per evitare di violarli. Con le leggi di superprotezione del copyright (WIPO Copyright Treaty - WCT -Digital Millennium Copyright Act - DMCA - direttiva 2001/29) è impossibile, per un "successivo" programmatore (inventore), effettuare i controlli necessari per evitare di violare i brevetti esistenti. Specialmente le piccole e medie imprese (che non hanno molti brevetti propri da scambiare per tacitare gli attaccanti) corrono il rischio maggiore di azioni legali che avranno, il più delle volte, effetto disastroso sulle loro finanze.

La proposta europea fa salvi gli effetti della direttiva 91/250/CCE rispetto a interoperabilità e decompilazione, ma nulla dice su come intende conciliare la decompilazione e la piena interoperabilità con gli obblighi relativi alle misure tecnologiche di cui all'articolo 6 della direttiva 2001/29/EC. È vero che la direttiva dice di voler lasciare impregiudicata "l'applicazione delle disposizioni concernenti segnatamente i brevetti", ma ancora una volta essa non spiega come intende renderlo possibile.
I brevetti software sono in conflitto con le superprotezioni del copyright perché i brevetti impongono una completa pubblicità dell'invenzione e, in regime brevettuale, è permessa l'analisi in qualunque modo e con qualunque mezzo della invenzione. Invece, nel regime di copyright (e delle leggi che lo completano) la decompilazione del programma per studiarne l'operatività in ogni suo dettaglio non è permessa. Inoltre, nel regime brevettuale è legittimo copiare l'invenzione dopo la scadenza del monopolio, mentre in quello del copyright il divieto di copiatura di tutto il programma, incluse le parti "brevettate", vige per un periodo che copre la vita dell'autore (ora anche inventore) più settanta anni.

Si pone anche la domanda se l'identificazione delle serie di istruzioni di programma, necessaria per l'ottenimento del brevetto, sarà sufficiente e completa per permettere a chiunque, esperto nell'arte, di riprodurre l'invenzione stessa. Se lo è, il requisito della divulgazione dell'invenzione è soddisfatto. Se al contrario servono ulteriori conoscenze per poter scrivere la parte brevettata del codice sorgente, anche queste devono essere rese pubbliche per mettere tutti - anche i concorrenti - in grado di replicare l'invenzione allo scadere del brevetto. Certo, l'invenzione non può essere copiata e utilizzata industrialmente e commercialmente finché non saranno passati i venti anni della protezione; ma durante il periodo di protezione si può sperimentare con il brevetto, sezionarlo per comprenderne il funzionamento, ispirarsi a fare nuove invenzioni, trovare alternative che non violino il brevetto stesso; e, se si vuole, prepararsi ed essere pronti a copiarlo integralmente (in linea di massima) alla fine della protezione.

Questo principio di brevettabilità viene sovvertito nel caso dei brevetti di software perché le leggi sul copyright lo impediscono. Un esempio piccante è quello recente di uno studente della Princeton University il quale rischia la prigione (in applicazione del DMCA) perché ha "scoperto" che premendo il tasto "maiuscole" si blocca l'esecuzione dell'autorun di Windows e quindi l'installazione automatica (e surrettizia) di un software anticopia - contenuto nel CD - sviluppato dalla SunnComm Technologies.

Se il software divenisse brevettabile, il conflitto fra protezione brevettuale e copyright dovrebbe condurre alla abrogazione delle leggi incompatibili con la nuova normativa. In Italia si dovrebbero fare i conti, in sede di attuazione, con le norme interne che non ammettono inconciliabilità delle leggi.
È singolare che l'industria del codice chiuso prema per la brevettabilità del software quando al contempo essa vuole mantenere segreto tutto il codice sorgente (e nascondere eventuali violazioni di brevetti da essa stessa commesse). Il codice chiuso, che gode del supporto della triade WCT-DMCA-direttiva 2001/29, è ideale per impedire ogni sorta di penetrazione nella struttura dei programmi ed evitare attacchi giudiziari da parte dei legittimi "proprietari" di invenzioni abusivamente introdotte e nascoste nei programmi.

Non lo si potrebbe più fare in presenza di un brevetto perché l'occultamento non sarebbe più possibile (salvo il segreto industriale, che non rientra nella protezione brevettuale, ma che non occorre più violare per scoprire se un programma utilizza illegalmente un brevetto altrui, una volta che l'invenzione è pienamente descritta all'ufficio brevetti). Con i brevetti sul software l'industria sarebbe costretta a svelare le serie dei codici e le loro combinazioni: è proprio quello che essa non intende fare. L'industria del software dovrebbe, a rigore, avversare i brevetti sui programmi elettronici, e accontentarsi della superprotezione del copyright.

La reazione all'esagerazione è spesso altrettanta esagerazione di segno contrario. Già si profila, in alcuni ambienti, la risposta estrema alla troppo condiscendente concessione di brevetti (non solo quelli sul software) con la ripresa della diatriba fra favorevoli e contrari alla brevettabilità in genere. Il Premio Nobel James Buchanan, temendo che chi vuole innovare venga scoraggiato perché sono in troppi coloro che possono interporre "veti", propone il riesame dei pericoli insiti nella protezione brevettuale - spesso multipla e interdipendente - che favorisce l'anticommons (la risorsa che molti possono bloccare) contro il "commons" (la risorsa che è disponibile a tutti). Molti ritengono che i benefici del sistema brevettuale sono talmente limitati (o addirittura negativi) che non solo non vi sarebbe giustificazione economica per ampliare i monopoli brevettuali; al contrario, occorrerebbe mitigare gli effetti negativi del sistema con esami più rigorosi, e riduzione del termine e dell'ambito di protezione.

C'è chi suggerisce l'abolizione totale del sistema brevettuale. Fritz Machlup aveva notato, in una relazione al Congresso americano (del 1958) che il sistema dei brevetti causa più danno che beneficio e viene criticato dalla maggioranza degli economisti (il sistema dei brevetti sarebbe stata "la vittoria dei giuristi sugli economisti"). Machlup nota giustamente che ci si potrà liberare dei brevetti e dei loro dannosi effetti solo se, e quando, si sarà riusciti a dimostrare che il campo della ricerca può essere servito meglio e in modo più produttivo, sia per i singoli individui sia per la collettività, in un mondo senza brevetti. È un traguardo al quale sembra ci stiamo avvicinando, con tecnologie rivoluzionarie.

La brevettabilità del software ha il potenziale di aggravare lo spreco di risorse, perché i brevetti software hanno il prevalente scopo di (i) permettere l'accumulo di brevetti "difensivi", (ii) peggiorare la situazione di incertezza su possibili violazioni, e (iii) aumentare i costi di sviluppo, e la litigiosità. Un esempio significativo è la causa intentata da SCO contro la IBM che pende attualmente dinanzi a un tribunale distrettuale in Utah (USA) la quale, ancora una volta, dimostra i potenziali effetti negativi dei brevetti software nell'open source (effetti probabilmente "messi in conto" dai propugnatori della brevettabilità del software). (vedi SCO contro IBM: l'inutile guerra contro il codice aperto).

Il mondo accademico è quasi unanimemente schierato contro la brevettabilità del software: lo considera un impedimento alla creatività. Si teme che molti fra coloro che altrimenti si cimenterebbero con nuove idee non lo faranno per evitare di addentrarsi in un campo minato. Il Consiglio economico e sociale europeo ha chiesto, tempo fa, che il Parlamento europeo disapprovi la proposta, il Comitato delle regioni ha espresso parere sfavorevole, la Commissione tedesca dei monopoli ha messo in guardia dall'insidia di questi brevetti; e numerose altre istituzioni ed esponenti politici hanno espresso dissenso (riferimenti).

La concessione della brevettabilità del software si muove controcorrente rispetto ai moderni concetti economici e agli sviluppi tecnologici d'avanguardia.. Quando si verificano cambiamenti tecnologici veloci - come è il caso del software - la società dovrebbe essere attenta a non allargare i poteri monopolistici, di per sé dannosi, e dovrebbe domandarsi se sia, e in quale misura, giustificabile concedere un allargamento. Nel campo dell'informatica, dove un grande numero di persone fisiche e di piccoli e medi imprenditori partecipa all'attività creativa e innovativa, un sistema massiccio di protezione rischia di gravare negativamente sui processi innovativi stessi. La durata attuale della protezione del copyright e dei brevetti è ritenuta, da molti, eccessiva. Si sostiene che una protezione monopolistica per lungo tempo poteva essere utile quando lo sviluppo industriale avanzava lentamente. Ma, come osservò Walton Hamilton oltre mezzo secolo fa, "la tecnologia si muove ora con incredibile velocità; la sua celere marcia impone che la durata dei brevetti venga ridotta".

La durata della protezione della proprietà intellettuale dovrebbe ridursi proporzionalmente con la riduzione dei tempi della novità. Si verifica l'opposto: più velocemente un prodotto "invecchia" e diventa inutile, più a lungo si tende a proteggerlo. I programmi per elaboratore sono fra i più veloci a invecchiare. Il concedere addirittura doppia protezione (brevettuale e di copyright) per un secolo (più o meno) significa imboccare la via sbagliata. Quale utilità residua per la società? Al momento della pubblica accessibilità (dopo un secolo), l'invenzione ha perso ogni valore.

Insegnare al mondo come è fatta l'invenzione, affinché tutti la possano in seguito copiare e utilizzare, e rendere in tal modo possibile la replicabilità dell'invenzione, fa parte degli elementi di brevettabilità. Nella proposta di direttiva sulla brevettabilità del software si sostiene che non c'è incompatibilità nel concedere simultaneamente entrambe le protezioni, quella brevettuale e quella di copyright; ma non si fa lo sforzo di spiegare come si intende coordinare brevetto e copyright per assicurare la piena, completa e immediata divulgazione, e il diritto di replica dell'invenzione dopo la protezione ventennale. O ritiene la Commissione di poter rendere possibile la brevettabilità del software senza chiedere in cambio la piena e completa divulgazione su come sono fatte le istruzioni brevettate contenute nel programma, e concedere un brevetto che non assicurerebbe (e non permetterebbe) la replicabilità dopo la scadenza del termine, perché nessuno può, durante l'operatività del brevetto (e anche dopo), "sezionare" il programma al fine di (fra le altre cose) conoscere e analizzare i componenti brevettati, e copiare, come si può fare con ogni altra invenzione brevettata, una volta scaduto il monopolio temporaneo? Sarebbe uno sconvolgimento non da poco dei principi del diritto dei brevetti per invenzione.

L'Europa dovrebbe cogliere l'opportunità di rifiutare di seguire l'America nella brevettabilità del software, anzi essa dovrebbe passare avanti agli USA, e stabilire un esempio di serietà scientifica. È comunque probabile che in un prossimo futuro anche i legislatori e tribunali americani rileggeranno con maggiore attenzione la loro Costituzione, le leggi e i precedenti della Corte suprema, e prenderanno le distanze dall'ingiustificato abbassamento delle barriere alla brevettabilità e dalla perniciosa permissività introdotti, negli ultimi vent'anni, con il solerte aiuto della corte d'appello del circuito federale.

Sarebbe questa un'occasione da non perdere per iniziare ad affermare l'impegno di Lisbona, di "fare della Unione Europea l'area più competitiva e dinamica del mondo, basata su innovazione e conoscenza, capace di incrementare i livelli della crescita economica con più numerosi e migliori posti di lavoro e maggiore coesione sociale." Se l'Europa intende favorire i programmatori europei, essa dovrà impedire la brevettabilità del software. (Sorprendentemente, e per nulla in accordo con la logica della permissività rispetto ai brevetti di software, la Commissione categoricamente si oppone - è già qualcosa - alla brevettabilità dei metodi di gestione, anch'essi ammessi in USA).

Se questa proposta di direttiva passa - anche con le significative modifiche apportate - il passo sarà breve alla brevettazione dei programmi elettronici "per se stessi" (o "in quanto tali" come siamo abituati a chiamarli). I "franchi tiratori" (in particolare l'Ufficio Europeo Brevetti e certi tribunali tedeschi) ci hanno già dato un assaggio di come una minoranza agguerrita riesca a imporre le proprie pratiche abusive, violative della legge, fallaci, e non sorrette da esigenza tecnica, economica, o logica.