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 Attualità

Chi sarà lo scemo del villaggio (globale)?
di Manlio Cammarata - 16.09.99

Tre notizie per incominciare.

Prima notizia. Mille miliardi in quattro anni affinché nessun ragazzo o ragazza italiana diventi "lo scemo del villaggio globale". Questo, confrontando le notizie di stampa con la campagna pubblicitaria già in corso, è l'investimento del Governo per colmare il ritardo del nostro Paese nello sviluppo della società dell'informazione.
Si parla di IVA ridotta sui CD-ROM, di sconto fiscale per recuperare il costo delle connessioni (ma l'applicazione sembra problematica), di incentivi per la formazione e via elencando, con un programma che, sulle prime, appare alquanto confuso.

Un dato però è chiaro: finalmente il Palazzo ha capito che la strada maestra per creare sviluppo e occupazione passa per le tecnologie dell'informazione. Lo ha capito con sette anni di ritardo, se si considera che i primi annunci di questa tendenza sono stati fatti da Clinton e Gore nel '92, e cinque anni sono passati dal documento sulle Information Superhighways, che ha avviato una politica economica i cui effetti positivi sono sotto gli occhi di tutti.

Ora si parte in quarta, con tanto di spot pubblicitari, come se un ritardo culturale di questa portata possa essere annullato in un batter d'occhio. Riconoscendo implicitamente che fino a ora gli scemi del villaggio siamo stati noi, ma senza tener conto del fatto che non tutti i ragazzi italiani sono nelle condizioni di trasformarsi da un momento all'altro in internauti, e quindi che un buon numero di loro tra poco tempo sarà ufficialmente qualificato come "scemo del villaggio", con tanto di patente governativa.

In ogni caso, con tutti i "distinguo" e le riserve possibili, l'interesse del Governo per questo settore è una buona notizia: meglio tardi che mai.

Seconda notizia. Anche Telecom Italia offre l'accesso gratuito all'internet. Era inevitabile: dopo le offerte di Tiscali e Infostrada, il più grande operatore nazionale non poteva restare a guardare i suoi abbonati paganti che migravano verso i fornitori della free internet. A quelli che hanno in corso un contratto a pagamento, TIN ha comunicato il passaggio automatico alla classe "Premium", di qualità minima garantita. In questo modo ha messo definitivamente in chiaro ( se qualcuno non l'avesse ancora capito) che nessuno regala niente: chi vuole un servizio di livello decente deve pagarlo.

La verità di questa affermazione può essere verificata da chiunque, in questi giorni, cerchi di collegarsi alla rete sfruttando un abbonamento a costo zero: se ci riesce, la connessione è molto più lenta di quelle che erano possibili solo pochi mesi fa, prima dell'esplosione del numero di utenti causata dalle offerte gratuite.
Proprio mentre sto scrivendo questo articolo, e devo verificare alcuni dati, dei tre abbonamenti di cui dispongo uno solo accetta la connessione e funziona a una velocità accettabile, ma è l'unico a pagamento. Quelli gratis rifiutano addirittura il login (sono le ore 18 del 15 settembre).

Terza notizia. L'Associazione italiana internet providers e Telecom hanno raggiunto un accordo sulla "interconnessione al contrario", in virtù del quale l'operatore nazionale riconoscerà un compenso di 11 lire al minuto a tutti i provider (non solo quelli aderenti all'AIIP) che raggiungano un certo livello di traffico.

Questo significa che tutti i fornitori di accessi di una certa dimensione potranno offrire gli abbonamenti gratuiti, ristabilendo in questo modo un'accettabile situazione di concorrenza sul mercato. I più piccoli dovranno inventarsi altri modi per mandare avanti le loro imprese, oppure riunirsi per raggiungere una dimensione competitiva, oppure chiudere bottega.
Non è una buona prospettiva, dal punto di vista degli interessati, ma se si parte dal presupposto che il mercato dei servizi di telecomunicazioni deve essere un libero mercato, si deve accettare il fatto che le imprese non competitive non possono sopravvivere. Dunque gli imprenditori più capaci si attrezzeranno per rispondere alla sfida, gli incapaci saranno eliminati. E da tutto questo trarrà vantaggio il consumatore.
Ma c'è un altro risvolto positivo: dal momento in cui tutti i fornitori offrono l'abbonamento a pari condizioni (cioè a prezzo zero), la concorrenza non si può più basare sul prezzo, ma sul numero e sulla qualità dei servizi. A tutto vantaggio degli utenti.

A questa notizia si deve aggiungere, per dovere di cronaca, un'altra informazione. Corre voce che AIIP e Telecom Italia abbiano raggiunto un accordo nella vertenza davanti all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con un "risarcimento" di decine di miliardi a favore dei provider che hanno promosso l'azione.
Si tratta ora di esaminare i termini dell'accordo e di capire se questo fermerà l'indagine dell'Anti-trust, perché una decisione formale potrebbe costituire un'importante affermazione di principio.

Qualche considerazione
Se mettiamo insieme le tre notizie, ci accorgiamo che, con ogni probabilità, siamo di fronte a una svolta nello sviluppo dell'internet in Italia. Il problema è capire "quale" sviluppo.
Per il mercato degli accessi la situazione sembra chiara: abbonamento gratis per tutti e chi vuole un servizio di qualità professionale deve mettere mano al portafoglio. A prima vista sembra una soluzione equa, ma si tratterà di vedere se la massa degli abbonati a costo zero non determinerà una tale esplosione di traffico da rendere problematico l'uso della rete a chi vorrebbe farne un uso serio, ma non può permetterselo.

L'espressione "uso serio" potrebbe suscitare l'indignazione di chi sostiene (a ragione!) che anche l'uso giocoso dell'internet merita di essere incentivato, perché costituisce un ottimo mezzo di alfabetizzazione. E allora parliamo chiaro e diciamo "uso intelligente".
Perché il vero problema è che, in questo momento, sembra che si voglia favorire l'uso "stupido". Per capire che cosa si può intendere per "uso stupido", riflettiamo su un dato: l'esplosione del numero degli utenti determinata dagli abbonamenti gratuiti. Per qualcuno è un segno del fatto che il costo è un ostacolo, se non altro psicologico, verso il "salto" nella rete. Ma è possibile anche che, in effetti, all'italiano medio non glie ne importi nulla dell'internet, ma siccome è di moda, e per di più è gratis, tanto vale abbonarsi. E questo non sarebbe un motivo di soddisfazione per chi, da anni, si batte per la diffusione di questo mezzo in virtù dei vantaggi che offre per la crescita culturale, sociale ed economica del Paese.

Se leggiamo con attenzione alcune dichiarazioni di personaggi del mondo delle telecomunicazioni, ci troviamo di fronte a preoccupanti indizi. Afferma, per esempio, Alberto Contri (presidente di Pubblicità progresso e consigliere di amministrazione della Rai) che sono in corso iniziative "per far diventare il computer uno status symbol, com'è accaduto per i cellulari" (da Il Sole 24 Ore del 10 dicembre). Inquietante prospettiva! Sul piano del marketing il ragionamento non fa una grinza, ma dove è finita l'internet come strumento di sviluppo culturale e sociale, l'internet dell'università e della ricerca, l'internet della libertà di espressione, l'internet come motore di progresso e occupazione? Certo, da una diffusione di massa emergeranno, per forza statistica, le opportunità favorevoli. Ma se il prezzo di questi vantaggi sarà quello dell'esplosione di un vuoto consumismo informativo, allora si sarà persa un'altra occasione per sfruttare i vantaggi della società dell'informazione. Ne trarranno un reale beneficio solo i venditori di hardware e software, i gestori dei sempre più affollati "portali", dei "carrelli" per gli acquisti telematici. Per non parlare degli operatori di telecomunicazioni e dei fornitori dei servizi in generale. E gli "internauti" italiani faranno della rete un uso superficiale, consumistico, tutto sommato abbastanza inutile o, appunto, stupido.

Non che tutto questo sia negativo, anzi, sono pur sempre prospettive di sviluppo economico e di occupazione. Ma non si può buttar via, perché non immediatamente redditizio, tutto il contenuto "intelligente" della rete.

Un altro aspetto che merita una riflessione, e conferma le precedenti affermazioni, è l'assenza di proposte di incentivi per lo sviluppo dei contenuti. Nelle intenzioni del Governo ci sono gli sconti fiscali per i costi di connessione (ben vengano!), gli incentivi per l'acquisto di computer e per il riciclaggio di quelli usati (buona idea!), detrazioni fiscali per le aziende che installano siti, ma non c'è una riga su possibili facilitazioni per i fornitori di contenuti. Per esempio, si potrebbe studiare un meccanismo simile a quello delle agevolazioni per la stampa, da assegnare alle pubblicazioni di carattere informativo e culturale che vivono solo in versione telematica.
Non dimentichiamo che, poco tempo fa, si credeva di aver scoperto che lo scarso entusiasmo gli italiani per la rete era dovuto in buona parte all'assenza di contenuti interessanti. Ora si aggiunge che per usare la rete e non trovarsi con l'etichetta di "scemi del villaggio" è indispensabile studiare l'inglese. E' vero solo in parte, perché la conoscenza dell'inglese è senz'altro utilissima per trovare lavoro, migliorare la propria posizione sociale, accedere a più vasti orizzonti di conoscenza. Insomma, per uscire dal villaggio natio ed entrare in quello globale. Giusto.
Ma se nella rete ci fossero più contenuti in italiano, gli italiani potrebbero trovarla molto utile anche senza sapere l'inglese...

In ultima analisi, ch'è il serio rischio che i veri "scemi del villaggio" (globale) saranno proprio gli italiani che, tra uno sconto, uno spot e un incentivo, passeranno le ore in rete a navigare nel nulla.