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Attualità

La Costituzione contesa

di Giuseppe Santaniello* - 05.06.06

 

1. La formula definitoria "La costituzione contesa" riproduce il titolo di un pregevole libro di Pietro Scoppola (pubblicato nel 1998), nel quale si legge: "La costituzione ci appare quasi in bilico fra un passato che è oggetto di radicali ripensamenti e le incertezze di un imprevedibile futuro; sicché non gode più di una presunzione assoluta di legittimità, non è più un punto di riferimento indiscusso, ma l'oggetto di una contesa; è insomma una costituzione contesa. Essa ha posto le premesse di una cittadinanza democratica, ma il senso di tale cittadinanza è incerto fra gli italiani: non è diventato fondamento di una identità collettiva. Incombe sul Paese il sentimento di una perdita di valori condivisi".

Su questi temi l'autore ha sviluppato il filo di una riflessione storica, che, pur tendente a recuperare, per molteplici aspetti, il significato, il nucleo centrale della Costituzione, tuttavia ritiene necessaria una riforma, ma non un nuovo inizio. "Sicché il problema non è quello di ridisegnare da capo, secondo un modello astratto, gli ordinamenti del Paese, quanto di correggerli e aggiornarli sulla base dell'esperienza maturata e delle esigenze di una società cresciuta". Sostanzialmente l'analisi storica così delineata (e che è anche storia di un cinquantennio della repubblica) indica come via per il consolidamento della democrazia quella cultura degli emendamenti, con la quale si sono sviluppati, corretti e consolidati, nei secoli, gli ordinamenti delle grandi democrazie anglosassoni.
E in realtà gli americani, per via di emendamenti, hanno aggiornato la loro Costituzione: hanno introdotto nel tessuto delle norme costituzionali alcuni principi sui diritti civili che non erano stati codificati, poiché la democrazia, proprio perché processo aperto, esige adattamenti nella continuità piuttosto che interventi traumatici.
Le tesi del prof. Scoppola sono abbastanza vicine a noi nel tempo, in quanto pubblicate solo pochi anni orsono.

2. Ma se vogliamo risalire più lontano nelle sequenze temporali, merita di essere ricordata l'analisi svolta, in un libro del 1978, da Enzo Cheli, col titolo "Costituzione e sviluppo delle istituzioni in Italia". Egli poneva, già allora, l'interrogativo: quale è il giudizio che si può dare sul rendimento della Carta Repubblicana, sulle sue possibilità di sopravvivenza e di sviluppo? E faceva richiamo a una analisi svolta da Giuliano Amato, che aveva affermato: "Lo Stato di cui disponiamo è il risultato di una ibridazione complessa, in cui sono confluite tre componenti: "Lo Stato anteriore alla carta Repubblicana, le innovazioni introdotte dai maggiori partiti; il processo di attuazione costituzionale, che però è intervenuto a strati e per ondate successive, innestandosi sulle altre due componenti". E Cheli soggiungeva che, pur senza sottovalutare tale ibridazione costituzionale, tuttavia la Carta repubblicana aveva delineato un rapporto di convivenza tra le forze politiche, e aveva operato da contrappeso verso ogni forma di integralismo e di esercizio autoritario del potere.
Ma dopo aver enunciato tali fattori costitutivi, egli formulava un punto conclusivo, per cui bisognava verificare se un giudizio positivo che investiva il passato fosse tale da reggere la prova del presente, e se la Carta del 1948 disponesse, cioè, ancora di una vitalità e di consenso sociale, adeguato alle difficoltà di un nuovo contesto politico e sociale. Sicché su questo piano il problema, rivolto a stabilire il grado di funzionalità del modello costituzionale, si risolve sostanzialmente nel verificare se, attraverso questa Carta, sussista ancora la possibilità di attivare uno Stato funzionante, in grado di operare su basi di maggiore omogeneità politica e sociale, senza compromettere, ma sviluppando, gli spazi di autonomia e di libertà già conquistati. Questa (affermava Cheli) è la vera scommessa, che si pone al nostro sistema e che non può non passare anche attraverso una nuova lettura del testo costituzionale.
Possiamo rilevare che, a distanza di circa trenta anni, la prospettiva valutativa del Prof. Cheli non era, in quella fase storica, né totalmente positiva né totalmente negativa, ma intravedeva nella trama delle regole della Carta repubblicana, un intreccio di luci e di ombre.

3. Senonché negli anni ottanta vengono in rilievo i primi segni, anche abbastanza accentuati, del revisionismo costituzionale. Nel libro di Paolo Barile "I nodi della costituzione" si dà atto che a trent'anni dall'entrata in vigore della Costituzione sta affiorando, nella dialettica partitica e nel dibattito dottrinale, una fase neocostituente. Sicché, egli scrive, è il momento di operare una ricognizione della Costituzione "vivente" allo scopo di accertare se i meccanismi strutturali che furono escogitati trent'anni fa siano per caso inceppati o troppo invecchiati". La costituzione vivente - egli chiarisce - è cosa diversa da quella che i giuristi chiamano "materiale": quest'ultima è formata dal nucleo (immodificabile senza rivoluzione) delle idee-forze caratterizzanti una data forma di governo: idee sorrette dalla linea politica risultante da quella della maggioranza e quelle delle minoranze. La Costituzione vivente è invece quella che sulla base di un testo "formale" non contraddetto, anche se suscettibile di varie interpretazioni, caratterizza un regime di un popolo in un determinato momento storico.

Ciò premesso, Barile osserva come la crisi che ha investito l'economia e la società italiana non possa non avere ripercussioni sulla legge fondamentale che regge la nostra Repubblica. Attraverso l'ampio saggio viene esaminato un vasto arco di problemi: la presidenza della Repubblica, il Parlamento, i possibili conflitti tra poteri dello stato, il governo dell'economia, le regioni e gli enti locali, la Comunità europea, la cultura, la scuola, la famiglia. Ed egli dice sono "molti e gravi i punti caldi della nostra Costituzione.

4. Negli anni ottanta e novanta le istanze e i progetti di revisione costituzionale si intensificano e si accrescono.
Come ha osservato Valerio Onida nel suo libro "La Costituzione", è a partire dagli anni settanta che inizia a manifestarsi una cultura del revisionismo costituzionale, che crescerà negli anni ottanta fino a conoscere uno sviluppo impetuoso all'inizio degli anni novanta.

5. E si è data vita a numerose commissioni per lo più formate dal Parlamento, in vista dell'elaborazione di progetti più o meno organici di riforme istituzionali. Basti ricordare la commissioni Bozzi del 1983; la c.d. Commissione De Mita-Jotti nel 1992; nel 1994 un comitato di studio promosso dal primo governo Berlusconi; nel 1997 una nuova commissione bicamerale, creata con la legge costituzionale: la c.d. commissione D'Alema. Vanno ricordate la riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione, varata con la legge cost. n. 3 del 2001 e la riforma denominata "devolution", che ben può definirsi come una riforma contesa. Ciò che è accaduto negli ultimi anni sul piano del sistema politico, con la scomparsa o la trasformazione dei partiti storici e la nascita di nuove formazioni su basi spesso interamente nuove, ha aperto la strada alle spinte del nuovismo costituzionale.

E l'autore non manca di avvertire che, però, gli sviluppi e gli esiti di tali nuove esperienze sembrano indicare più i pericoli che i vantaggi delle vagheggiate riforme costituzionali.

Tuttavia va osservato che se il revisionismo costituzionale, così come configurato nelle elaborazioni dottrinali, appare meritevole di considerazione, invece le spinte riformistiche finora realizzate presentano molti punti critici: e particolarmente fra esse quella riforma denominata devolution. Una critica di particolare rilievo si rinviene nel volume di Onida "La Costituzione". Egli pone in risalto che, per ottenere stabilità di indirizzo dell'esecutivo si arriverebbe a concentrare il massimo del potere nella sola persona del premier; e all'obiettivo di questa stabilità si sacrificherebbe drasticamente il delicato meccanismo di pesi e contrappesi che caratterizza i migliori regimi costituzionali (sia quello presidenziale caratteristico dell'America sia quelli parlamentari prevalenti in Europa, che caratterizzano oggi la nostra Costituzione). E prosegue Onida: " l'articolazione della democrazia pluralista tenderebbe a impoverirsi, per di più in un contesto in cui sono venuti meno i partiti di un tempo, espressione di indirizzi ideologici e sedi di elaborazione di programmi e di selezione della classe politica. Se a questo dovesse poi aggiungersi un indebolimento dei poteri di garanzia (dal Presidente della Repubblica all'ordine giudiziario), lo stesso quadro di diritti sancito dalla Costituzione correrebbe il rischio di indebolirsi.
Va notato che la critica del sistema è stata spesso accompagnata dalla tesi secondo cui vive in Italia una costituzione materiale diversa da quella scritta o formale e spesso in contrasto con essa.

E vorrei citare un incisivo saggio di Sabino Cassese (anno 1998) dal titolo "Lo Stato introvabile", secondo cui "Lo Stato italiano si presenta come un ordinamento a doppio fondo, dove l'autoritarismo delle norme scritte è attenuato dal lassismo delle loro applicazioni, l'accentramento delle strutture e dei processi decisionali è equilibrato dal negoziato continuo centro-periferia, la distinzione tra lecito e illecito è spesso soppiantata da più complesse scale di obblighi, per cui un comportamento può essere obbligatorio, raccomandato, permesso, riprovato, vietato".
"E' uno stato che rimane ambivalente, metà sviluppato, metà arretrato, è ancora dualistico, autoritario e liberale, si ingerisce in ogni cosa, senza poi riuscire a far valere gli interessi pubblici che motivano tale ingerenza".

6. L'amara riflessione di Cassese non può non chiamare in causa l'esigenza di una sapiente revisione delle istituzioni di base.
Sulla base degli elementi di valutazione su indicati non può condividersi la formula definitoria enunciata dal prof. Gaetano Rasi nella sua incisiva relazione "La democrazia dimezzata dell'attuale costituzione". Bisogna soprattutto eliminare la contraddizione tra la prima parte della carta, carica di principi basilari, molto avanzati come valori fondanti di una società civile, e la seconda parte, in cui fu delineato un ordinamento che attualmente richiede ammodernamento in taluni punti ai fini degli sviluppi della vita politica e istituzionale italiana.
Bisogna pertanto operare la saldatura tra i valori enunciati e l'attuazione concreta di fattori di organizzazione e di guida del sistema.
Inoltre si pone e va risolto il problema della ampiezza di rappresentanza. Va condiviso il giudizio formulato dal prof. Rasi, secondo cui, nel sistema attuale, in Parlamento attraverso i soliti partiti è rappresentato un cittadino dimezzato; il che determina quelle distorsioni e strumentalizzazioni che rendono inefficiente il sistema. (Egli parla di patologia della vita politica, per cui tutte le principali problematiche della vita civile vengono strumentalizzate ai fini della contesa partitica, falsificando i termini delle questioni e conseguendo soluzioni inadeguate).

7. E ciò fa sorgere il problema del consenso che deve sorreggere la Costituzione. Un sistema costituzionale ha bisogno, per reggersi nel tempo, di un consenso di fondo nella società in cui si sviluppa. Solo la permanenza di tale consenso può far si che, utilizzando i meccanismi delle indicazioni elettorali, i valori e i principi della Carta divengano patrimonio diffuso e permanente della società. Solo in tal modo i cittadini possono sentirsi rappresentati, in quanto sussistono i congegni rivolti ad assicurare il discrimine fra ciò che nel confronto politico è per sua natura opinabile e negoziabile e ciò che deve essere salvaguardato con intransigenza, perché non negoziabile.

Già Paolo Barile (nel volume già citato del 1979) osservava che il punto debole della intera costituzione è da individuare nella rete partitica (alla quale sarebbe affidato il ruolo di tessuto connettivo dell'intero sistema), e che è ricca solo di stazioni di negoziazione. Sicché le assemblee elettive assumerebbero il ruolo di coagulare interessi attraverso la mediazione e la sintesi che ne fanno i partiti; e di trasformare le sintesi in indirizzi da trasmettere ad apparati istituzionali.

Perciò - prosegue Barile - viene in rilievo un punto di divergenza fra due tesi, concernenti la rete, che secondo alcuni deve avvolgere tutto il coacervo della società civile nell'ambito dei partiti, a loro volta operanti nelle assemblee elettive, e secondo altri, invece, deve lasciare spazi liberi a voci e gruppi da non ricondurre forzatamente nell'ambito dei partiti.
L'autore fa anche cenno a coloro che dubitano della attualità del principio della centralità del Parlamento, ritenendo che i veri burattinai siano i partiti.
Ovviamente la critica non si rivolge alla fisiologia dei partiti, che in tale dimensione sono elementi indispensabili per l'attivazione dei circuiti democratici, bensì alla loro patologia, la quale si verifica quando essi si collochino in una dimensione esorbitante e totalizzante, la quale finisce con il sopraffare le vere istanze e i bisogni dei cittadini.

Sulla base delle considerazioni svolte, può trarsi la conferma delle esigenze di ammodernamento costituzionale, che, mantenendo intatti i principi e i valori enunciati nella prima parte della Costituzione, rinnovi in specifici punti l'articolazione delle strutture preposte alla guida del Paese.
Occorre che queste siano saldamente innervate nella coscienza della collettività e siano capaci di costituire il quadro, tendenzialmente stabile e unitario, entro cui la società può ricercare, in libertà e in equilibrio, i progressi e i cambiamenti necessari.
 

 * Già Garante per l'editoria e già componente del Garante per la protezione dei dati personali.

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