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 Attualità

Sapere giuridico e sapere tecnologico
Riflessioni sul convegno "Il sistema dell'informazione nel quadro della liberalizzazione delle telecomunicazioni (Firenze, 20-21 giugno 1997)
di Manlio Cammarata (25.06.97)

Il convegno organizzato dal Dipartimento di diritto pubblico dell'ateneo fiorentino resterà per molto tempo un punto di riferimento essenziale nelle discussioni sugli aspetti giuridici della nascente società dell'informazione e, di conseguenza, sull'attività legislativa. Il numero e la qualità delle relazioni, la scelta dei temi e il vivace dibattito hanno disegnato un quadro d'insieme che non potrà essere ignorato dagli studiosi e dal legislatore.
Tuttavia anche in questa occasione è emersa una certa insufficienza di informazione sugli aspetti tecnologici della materia, con risultati negativi per la chiarezza dei problemi e con la conseguente genericità di alcune conclusioni.
E' una lacuna per molti versi comprensibile, dovuta alla straordinaria velocità dello sviluppo delle tecnologie dell'informazione negli ultimi anni, che ha reso impossibile la nascita di una cultura diffusa della materia. La conoscenza degli aspetti tecnici dell'informazione e della comunicazione è patrimonio quasi esclusivo dei tecnologi, non solo nei suoi risvolti più specialistici, ma anche per quanto attiene alle linee generali dell'evoluzione e allo stato dell'arte delle applicazioni disponibili per la generalità degli utenti. La conseguenza è che il giurista, quando si addentra nel diritto delle tecnologie, non trova punti di riferimento sicuri o fonti informative che gli offrano basi solide per la costruzione delle sue tesi (mentre non incontra difficoltà nell'analisi di realtà consolidate nella cultura della società, come nel diritto di famiglia, nel diritto commerciale, nel diritto pubblico e via discorrendo, e dispone degli strumenti per approfondire le specifiche materie). Insomma, molte volte al sapere giuridico non si accompagna un adeguato sapere tecnologico, che è essenziale per afferrare la natura dei rapporti che si instaurano nell'universo dell'informazione.

Per esempio, non è possibile definire le clausole di contratti che hanno per oggetto servizi di telecomunicazioni se non si conoscono in linea generale gli aspetti tecnici che sono alla base dei contratti stessi. Poniamo il caso di un abbonamento a Internet: diritti e obblighi del fornitore e dell'utente sono strettamente connessi alle caratteristiche dei mezzi e delle procedure impiegate per l'accesso, tanto che l'utente non può pretendere la segretezza totale della corrispondenza telematica (anche nei confronti degli addetti al sistema) se il fornitore non mette in atto determinate misure di protezione, la cui descrizione di larga massima deve essere richiamata nel contratto stesso. Naturalmente non si chiede al legale che predispone il contratto la conoscenza del funzionamento di un mail server, ma almeno che sia in grado di sapere "che cosa è" un mail server e quali percorsi seguano i messaggi.

A un livello più generale - e qui torno al convegno di Firenze - l'insufficiente considerazione degli aspetti tecnologici porta a conclusioni a volte generiche o insoddisfacenti. Si prenda, per esempio, il problema delle norme costituzionali che riguardano Internet. Se ne sono occupati in particolare Aldo Loiodice in "La libertà di comunicazione e i principi costituzionali sull'attività di telecomunicazione tra informazione, corrispondenza e libero mercato" e Alessandra Valastro in "I rapporti tra l'articolo 15 e l'articolo 21 della Costituzione".
La relazione di Loiodice riveste un particolare interesse perché analizza con molta chiarezza il "diritto all'informazione", non esplicito nella nostra Carta fondamentale, ma desumibile dal complesso del testo e riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale. All'autore sfugge un aspetto a mio avviso essenziale nell'analisi della libertà dell'informazione: la diffusione della tecnologia sta cambiando la portata dei diritti che da essa derivano, rispetto ai principi espressi dall'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e presenti solo in parte nella Costituzione italiana. Il mutamento dello scenario globale, nel quale le tecnologie dell'informazione hanno assunto un ruolo di primo piano rispetto a tutti gli altri settori economici, deve determinare un'evoluzione del concetto di informazione verso la natura di "bene fondamentale" della società. Ne deriva che devono essere rivisti i suoi diversi aspetti (diritto di accesso, diritto di essere informati, diritto sociale all'informazione ecc.) proprio in relazione ai mezzi tecnologici che rendono possibile il godimento di questi diritti. Da tutto questo può derivare una definizione del "servizio universale", che non può essere formulata senza tenere conto del contesto tecnologico che può determinarne forme e contenuti.

Altrettanto interessante è l'accurata relazione di Valastro, che indaga sull'applicabilità degli articoli 15 e 21 alle attività telematiche e in particolare a Internet. Il problema è che la Rete viene vista dall'esterno, come un unicum, il che rende l'analisi poco aderente alla realtà e quindi insoddisfacente nelle conclusioni. Di fatto Internet, vista "da dentro" è un insieme di attività diverse, a ciascuna delle quali può applicarsi pacificamente l'una o l'altra previsione costituzionale. Un semplice esame delle procedure di volta in volta impiegate chiarisce la natura giuridica delle diverse funzioni. Per esempio, non c'è dubbio che nel World Wide Web (protocollo HTTP, quello che serve per la navigazione ipertestuale) prevale in larghissima misura l'aspetto della "manifestazione del pensiero" tutelata dall'articolo 21; al contrario, con la posta elettronica (protocolli SMTP, POP3) siamo senza ombra di dubbio nell'ambito della corrispondenza e quindi dell'articolo15. Dal punto di vista tecnico sono funzioni diverse e separate, e da ciò deriva la loro diversa collocazione nell'ambito della tutela costituzionale.

Anche per situazioni a prima vista ambigue, come i chat (colloqui in tempo reale tra diversi soggetti) o i newsgroup (pubblicazione assimilabile a una bacheca sulla quale ciascuno mette i propri messaggi) non è difficile identificare di volta in volta l'aspetto della tutela costituzionale. Infatti i curatori di queste aree possono decidere se esse devono essere accessibili a chiunque abbia accesso alla rete (manifestazione del pensiero, articolo 21) o a utenti identificati, sia pure attraverso uno pseudonimo (comunicazione, articolo 15). Naturalmente i confini possono essere a volte poco definiti, ma l'analisi della procedura indica una differenza che può senz'altro servire alla definizione della natura costituzionale dell'attività esaminata. Il che porta a conseguenze di grande rilievo de iure condendo nell'attuale discussione sull'assetto dell'intero sistema delle telecomunicazioni. Si veda, a questo proposito, un altro intervento presentato a Firenze, quello di Pasquale Costanzo Le nuove forme di comunicazione in rete: Internet.

Un altro spunto per dimostrare la necessità dell'analisi tecnologica come complemento dell'analisi giuridica si trova nella relazione di Vincenzo Zeno-Zencovich "Il sistema integrato delle telecomunicazioni: spunti sistematici critici". L'autore compie una rigorosa ricognizione delle premesse e dei contenuti delle attuali proposte legislative e non gli sfuggono aspetti singolari delle norme più recenti, in particolare di una disposizione del decreto legislativo 11 febbraio 1997, n. 55, che accoglie la direttiva 94/46 CE. Si tratta dell'articolo 20 comma 3, che stabilisce testualmente: Nel caso in cui l'antenna destinata alla ricezione di programmi televisivi via satellite non sia collegata esclusivamente a ricevitori radiotelevisivi si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire cinquecentomila a lire tre milioni.
Il giurista definisce "sconcertante" questa norma e passa oltre, ignorando o non volendo considerare l'aspetto tecnico. Che è molto più che "sconcertante", potremmo definirlo "apocalittico", perché in sostanza vieta la multimedialità! Vieta, per esempio, la connessione a Internet via satellite, perché richiede il collegamento dell'antenna al personal computer, o di vedere la televisione sul monitor o su una parte di esso, come le tecniche attuali consentono.
Volendo essere pignoli, si può anche osservare che questa norma è tecnicamente sbagliata, perché oggi l'antenna parabolica non si può collegare "esclusivamente" al televisore, ma deve passare per il decoder. Al quale, se del caso, potrebbe connettersi il personal computer. Le conseguenze di questa limitazione possono influire sul mercato, perché si vieta di collegare la "padella" al PC, ma non a uno degli ibridi TV-PC che il mercato incomincia a proporre. A meno che non si voglia considerare "ricevitore radiotelevisivo" la scheda TV che si inserisce nel PC. Ma a questo punto la norma sarebbe del tutto inutile.
Quest'ultimo esempio dimostra con molta evidenza come il sapere tecnologico non possa essere separato dal sapere giuridico, quando si parla di normative che riguardano la società dell'informazione.

Una dimostrazione a contrario si ricava dalla già citata relazione di Pasquale Costanzo. L'autore ha potuto compiere un'analisi dettagliata ed esauriente della natura costituzionale delle attività su Internet e di altri aspetti normativi delle telecomunicazioni, proprio per la sua conoscenza della tecnologia e la sua abitudine a servirsene.
Non a caso cita anche fonti reperibili "navigando" sulla Rete, fonti che non possono essere raggiunte da chi si limita a guardare l'oceano informativo standosene sulla riva.