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 Attualità

La "rivoluzione Internet" e il ritardo italiano: una strategia di recupero
di Giancarlo Fornari* - 30.06.99

1. La "rivoluzione Internet" e il ritardo italiano

1.1. Le prospettive

Secondo le previsioni più accreditate, entro i prossimi 5 anni Internet trasformerà il commercio mondiale, le abitudini di vita, la struttura dell'occupazione e dei servizi. Nel settore commerciale, la rete dovrebbe diventare lo strumento quasi esclusivo nei rapporti tra le imprese, il c.d. commercio elettronico "business to business". Forrester Research ha calcolato che entro il 2002 il commercio fra le sole aziende statunitensi raggiungerà un giro di affari di oltre 320 miliardi di dollari, pari al 2,3% del PIL americano. Entro il 2005 questo valore potrebbe toccare il 5% del PIL. Addirittura in settori come quelli dell'informatica, dei cataloghi, dell'energia e dell'editoria il commercio elettronico potrebbe rappresentare dal 20 al 60% del fatturato globale.
La diffusione del Web determinerà, infine, una vera e propria rivoluzione in molti settori, come la pubblicità (in cui l'utilizzo della rete è in fortissima ascesa) e i servizi: in primo luogo quelli legati ai viaggi (dove nell'arco di pochi anni si può prevedere la scomparsa di una quota consistente delle attuali agenzie) e il credito, nel quale - una volta superati i problemi della certezza dell'identificazione - il modello della banca "virtuale" è destinato a diffondersi in modo massiccio.

1.2. Il ritardo italiano

In questo grande processo di riconversione degli apparati economici e produttivi e delle stesse relazioni sociali in funzione della rete, il nostro Paese rischia di rimanere in grave ritardo.
Se guardiamo le quote di mercato europeo per TLC e IT, troviamo che l'Italia si colloca molto indietro rispetto a Francia, Germania e Regno Unito: per l'IT (dati '98) siamo a 8,5 a fronte del 9,5 della Francia, del 20,9 della Gran Bretagna e del 23,2 della Germania. La spesa pro-capite in tecnologie dell'informazione in rapporto al PIL è pari al 3,5% in Gran Bretagna, al 2,65% in Francia, al 2,24% in Germania, e solo all'1,51% in Italia. Per quanto riguarda la diffusione di Internet l'Italia, stando ai dati 97-98, si colloca all'ultimo posto nella scala dei paesi industrializzati; se si rapporta il numero degli utenti al reddito pro-capite la nostra posizione scende ulteriormente.

E' vero che negli ultimi dodici mesi la diffusione degli abbonamenti alla rete si è molto accresciuta, consentendoci di risalire diverse posizioni, ma si tratta di un incremento in larga parte "drogato" dalle offerte a tempo e dalle promozioni di nuovi gestori telefonici che, con il regalo degli abbonamenti, più che accrescere il numero degli utilizzatori di Internet riescono soprattutto a scompaginare il mercato dei provider. Ciò che infatti interessa realmente non è quanti abbonati registrerà la rete al momento in cui l'abbonamento a Internet si potrà trovare nei fustini dei detersivi, ma quanti, tra costoro, saranno anche utenti, e cioè utilizzeranno effettivamente le funzionalità della rete al di là di qualche occasionale contatto. E non vi sono allo stato attuale molti elementi per ritenere che, nella sostanza, la situazione sia grandemente migliorata rispetto a quella degli ultimi due anni. Anche l'ultimo rapporto Assinform (uscito quando questo intervento era stato già stilato) ci conferma che il ritardo dell'Italia in questo settore continua a rimanere grave e preoccupante.

1.3. I rischi

Alla fine degli anni sessanta il nostro Paese è riuscito a perdere l'autobus dell'hardware, quando il famoso "salotto buono" del capitalismo italiano decise che l'Olivetti - che si stava affermando sul mercato degli elaboratori con un know how che la metteva in competizione con le più importanti aziende mondiali - doveva abbandonare il settore dell'elettronica.
Nei decenni successivi abbiamo perso l'autobus del software, così che adesso registriamo una sudditanza totale nei confronti delle multinazionali americane del settore (multinazionali che, anzi, la nostra pubblica amministrazione, con i suoi comportamenti, sta addirittura aiutando, consapevolmente o meno, a consolidare la loro posizione di monopolio).

Rimasti drammaticamente indietro in questi settori strategici corriamo ora il rischio di perdere l'autobus anche per quanto riguarda l'utilizzo della rete. Il fatto che un Paese che ha raggiunto il primato mondiale dei telefonini, con i suoi 20 milioni di abbonati in continua crescita, si collochi dietro la Croazia in quanto a diffusione di Internet rapportata al reddito pro-capite, ci dà la dimensione di un ritardo che rende assai problematiche le nostre prospettive di raggiungere una collocazione adeguata nella futura società dell'informazione. Al nostro interno, oltretutto, l'ineguale diffusione del Web e degli altri strumenti della rete come la posta elettronica rischia di aggravare ancor più le diseguaglianze sociali (in quanto tutte le statistiche mostrano una forte prevalenza dei componenti di famiglie ad alto reddito tra gli utilizzatori di Internet) e le stesse diseguaglianze regionali, visto che attualmente sono presenti in rete solo il 22% dei Comuni del Sud (che sono il 30% dei Comuni italiani), mentre quelli del Centro-Nord - che sono il 70% - fanno registrare il 78% delle presenze (e, ciò che più conta, una diversa qualità del modo di essere in rete).

2. Una strategia di recupero

Per scongiurare i pericoli impliciti in questa situazione è necessario percorrere tutte le possibili strade a disposizione delle autorità di governo. In particolare:

  • occorre ridurre le barriere economiche che ostacolano l'accesso ad Internet e il suo utilizzo
  • occorre ridurre le barriere culturali che rendono difficile l'utilizzo della rete
  • occorre incentivare l'offerta di servizi delle pubbliche amministrazioni, migliorare la loro presenza in rete e accrescere la loro reperibilità anche mediante la creazione di un apposito Portale
  • occorre incentivare la formazione e la ricerca
  • occorre trovare una strategia che metta la Pa in grado di svolgere una politica del software che ci renda relativamente indipendenti dallo strapotere dei monopoli.

3. Ridurre le barriere economiche all'accesso alla rete e al suo utilizzo

Nonostante si senta spesso dire che tariffe telefoniche elevate "non sono un problema", per l'utente con mezzi economici limitati, esse sono un problema serio, eccome. Tariffe elevate non solo scoraggiano un utilizzo più intensivo di Internet, ma creano anche una barriera all'accesso, funzionando come deterrente nei confronti di molti potenziali utilizzatori. Il problema non si pone soltanto a livello di tariffe per gli utilizzatori finali. Secondo dati OCSE, le tariffe applicate in Italia per i circuiti dedicati (che rappresentano le piattaforme indispensabili per l'offerta dei servizi di rete e una voce di costo sostanziale per gli ISP) sono di 8 volte più elevate che in Gran Bretagna e di 2-3 volte superiori a quelle praticate nella grande maggioranza dei paesi europei.
Anche se probabilmente non è proponibile un intervento teso all'abolizione della TUT, si rende comunque necessaria una iniziativa che porti a realizzare consistenti riduzioni tariffarie a beneficio degli utenti telefonici che utilizzano Internet.

Ma un intervento di sostegno sembra necessario anche dal lato dell'hardware, considerata l'ancora scarsa diffusione del PC nel nostro Paese. Sarebbe sbagliato parlare di "rottamazione", in primo luogo perché una operazione di rottamazione si risolverebbe in un incentivo alla sostituzione del vecchio PC (spesso ancora in grado di svolgere egregiamente la sua funzione) con uno più potente, incentivando il consumismo informatico e assecondando le tendenze dei produttori a provocare l'obsolescenza artificiale dei loro prodotti. In secondo luogo perché il problema non è quello di sostituire con uno nuovo il PC di chi già ce l'ha ma quello di aiutare ad acquistarlo chi ancora non lo possiede. Esclusa quindi la rottamazione, si pone il problema di incentivare l'acquisto del PC con interventi che consentano di abbatterne il costo, considerando socialmente produttivo l'investimento in questo campo: assai più produttivo per il futuro del nostro paese di quanto non lo sia, tanto per fare un esempio, l'investimento nel pozzo senza fondo delle ferrovie. Pur nel rispetto dei limiti della finanza pubblica andrebbero quindi previsti interventi di abbattimento di parte del costo di acquisto dell'hardware, quanto meno per mettere alla pari l'acquisto e l'uso del PC con quello del telefonino. Pochi infatti tengono conto, quando considerano i motivi dello spropositato aumento delle utenze di telefonia mobile nel nostro paese, che queste sono fortemente incentivate sul piano fiscale, almeno per quanto riguarda i titolari di partita IVA, che possono defalcare il 50% del costo di acquisto e di esercizio di uno o anche due o più telefonini, a seconda delle dimensioni dell'azienda (così che metà della bolletta del cellulare del figlio del dentista o del droghiere per solito viene pagata dall'erario).

Si tratta quindi di individuare delle forme di sostegno all'acquisto o alla sostituzione del computer, evitando però di porsi in posizione passiva nei confronti del mercato e delle sue scelte opportunistiche tendenti ad imporre potenze ed accessori largamente sovradimensionati rispetto alle normali esigenze dell'utenza familiare (un po' come se si fabbricassero city-car in grado di toccare i duecento orari). Specie se l'intervento fosse consistente, varrebbe la pena di provare a identificare uno standard di caratteristiche minimali per la navigazione in Internet e per l'utilizzo dei più comuni programmi di videoscrittura o di calcolo, stabilendo che solo quel determinato tipo di macchine possono fruire dell'incentivazione. Ovviamente queste stesse macchine dovrebbero essere gli strumenti con cui rinnovare e incrementare il parco-hardware delle amministrazioni e delle istituzioni scolastiche.

4. Ridurre le barriere culturali, promuovere la ricerca

Sarebbe infine sbagliato sottovalutare il ruolo negativo delle barriere culturali nella diffusione di Internet. Rischiano seriamente di essere tagliati fuori da Internet non solo gli anziani, ma anche la generazione degli attuali trenta-quarantenni, almeno quelli che a scuola o sul lavoro non hanno avuto la possibilità di utilizzare il personal computer. Rischiano di essere tagliati fuori da Internet e dalla sua cultura anche una notevole parte dei ragazzi in età scolastica, se è vero che secondo una recente ricerca negli istituti di istruzione milanesi ci sono solo 3,7 personal computer per ogni 100 studenti (ma solo 1 su 100 è collegato in rete, solo 1,7 è multimediale).

Tutti gli sforzi vanno quindi fatti non solo per dotare le scuole delle apparecchiature hardware adeguate, ma anche per sviluppare la formazione scolastica ed extrascolastica, anche facendo leva su quelle iniziative privatistiche di alfabetizzazione telematica che finora sono state praticamente le uniche ad offrire al grande pubblico qualche opportunità in questo campo. Occorre fare di tutto (se possibile anche utilizzando la televisione) per introdurre le conoscenze basiche di informatica e TLC in forma trasversale nella formazione dei cittadini, in modo da consentire alle nuove (ma anche, se possibile, alle vecchie) generazioni di appropriarsi, almeno a un livello basico, degli strumenti necessari per entrare in modo consapevole e attivo nell'era digitale. Occorre puntare inoltre su progetti di ricerca che valorizzino in questo campo il ruolo delle università, alquanto sbiadito nel nostro Paese (mentre la storia della telematica - e, all'interno di questa, la storia di Internet - è tutta segnata dall'attività di ricerca delle grandi università americane).

5. Aumentare i servizi in rete delle PA

Per aumentare il valore aggiunto della rete e renderla più interessante e utile per la grande massa degli utenti (e, quindi, per aumentare la diffusione e l'utilizzo di Internet), la pubblica amministrazione può svolgere un ruolo fondamentale. Ancora troppo spesso i siti della pubblica amministrazione sono fermi alla fase del "sito vetrina", con in primo piano le foto del Sindaco con la fascia tricolore o del Ministro in pulloverino di cachemire, e ancora poco diffusi, salvo lodevoli eccezioni (vedi, ad esempio, il sito del Comune di Bologna, che tra poco consentirà di pagare le multe e di effettuare l'iscrizione alla scuola materna on-line) sono i siti in grado di offrire dei servizi che abbiano una utilità reale per il grande pubblico.

Nell'insieme, si può dire che attualmente la rete è sfruttata dalla pubblica amministrazione a meno del trenta-quaranta per cento delle sue potenzialità. Ora che si può utilizzare l'opportunità offerta dalle nuove norme sulla firma elettronica dobbiamo superare questo ritardo accelerando il passaggio dalla fase del sito-vetrina, strumento per far vedere agli altri chi siamo e che cosa vogliamo, alla fase in cui i gestori del sito si preoccupano piuttosto di capire chi sono e che cosa vogliono i loro utenti; fase in cui il sito opera come una banca di informazioni realmente utili per il cittadino. Al punto estremo di questa evoluzione si colloca la fase in cui il sito non offre solo informazioni ma anche e soprattutto applicazioni interattive e servizi.
Gli utenti (tra poco sempre più numerosi) che ormai si stanno abituando a fare degli acquisti in rete non capiscono perché in rete non possono pagare le tasse, non possono iscriversi all'Università o, una volta iscritti, scegliere il piano di studi, segnalare all'Anagrafe comunale il cambio di indirizzo, chiedere il duplicato della patente smarrita. Se è vero che le nuove procedure sulla trasmissione telematica della dichiarazione dei redditi attraverso gli intermediari ci pongono all'avanguardia tra gli altri paesi industrializzati, la nostra amministrazione finanziaria è invece ancora in ritardo per l'utilizzo di Internet come strumento di comunicazione diretta tra contribuente e amministrazione (per non parlare dei soliti USA, basterebbe ricordare che in Brasile da almeno due anni, e in Spagna da quest'anno, i contribuenti possono inviare la dichiarazione via Internet).

Anche se il sito del Ministero delle finanze già oggi offre numerosi servizi interattivi, come il controllo delle partite iva comunitarie, che consente alle imprese di risparmiare fastidiosi accessi agli uffici, o il calcolo del bollo auto attraverso la targa. Si tratta di iniziative ancora insufficienti e solo a partire dal prossimo anno sarà avviato un processo che dovrebbe consentire entro breve termine di aprire o chiudere on-line la partita IVA, inviare la dichiarazione e pagare i tributi, comunicare le variazioni di indirizzo, assumere informazioni sulle cartelle di pagamento o sui rimborsi arretrati. Questo processo di sviluppo dell'interattività, avviato nelle Finanze e in molti siti comunali, dovrebbe estendersi alla globalità delle amministrazioni, a cominciare dalla scuola (consentendo, ad esempio, allo studente disabile o malato di seguire le lezioni o inviare i compiti in rete) e dall'università, e a tutte le altre strutture come gli Interni (allo scopo, ad esempio, di svolgere on-line le pratiche per il rilascio o il rinnovo del passaporto), il Commercio con l'Estero e l'ICE (per le pratiche di import/export), l'Istat (per lo svolgimento on-line delle rilevazioni) e così via, in modo da aumentare il valore aggiunto della rete e da trasformarla da banca dati telematica a una vera e propria interfaccia globale tra gli uffici e cittadino.

E' chiaro che tutto questo richiede adeguati investimenti finanziari insieme a innovazioni organizzative in grado di consentire che le comunicazioni che arrivano attraverso il sito possano essere processate come quelle che vengono presentate agli sportelli, e - soprattutto - all'abbandono della cultura burocratica legata al vecchio assetto parcellizzato e piramidale degli uffici. E' tuttavia un percorso indispensabile se si vuole snellire i rapporti con l'amministrazione, ridurre le distanze che oggi separano lo stato dal cittadino e dare contenuti reali al passaggio verso la società telematica.
Per altro verso, occorre attrezzarsi anche sviluppando sinergie tra pubblico e privato (vedi ad esempio le iniziative in corso presso il Comune di Siena e diversi altri Comuni anche del Sud per la promozione on-line delle piccole e medie imprese locali) e incoraggiare le grandi aziende di servizi a sostenere lo sviluppo dell'attività commerciale sul web: vedi l'esempio della Telecom francese, che si propone come partner commerciale e guida al commercio elettronico per le aziende nazionali, avendo tra l'altro sviluppato un sistema evoluto di protezione per i dati e le transazioni.

6. Uscire dall'improvvisazione e dallo spontaneismo nella gestione dei siti pubblici

6.1. Per poter realizzare questi obiettivi è indispensabile sostenere, e in qualche modo guidare, il processo di evoluzione dei siti web della pubblica amministrazione, processo realizzato finora all'insegna del più totale spontaneismo. Spontaneismo nella decisione di essere o non essere in rete, spontaneismo e spesso improvvisazione nella decisione di "come" esserci e in tutte le scelte riguardanti gli aspetti tecnici e della comunicazione, spontaneismo e confusione nella scelta e nella assegnazione dei domini (diversamente dagli altri paesi in Italia non c'è alcun segno distintivo, tipo gov. o gouv. che identifichi con certezza i siti della pubblica amministrazione).

Può essere istruttivo riportare la lista degli adempimenti a cui il Ministero dell'Economia francese ha dovuto provvedere tre anni fa per poter aprire il proprio sito web:

  1. dichiarazione del direttore responsabile presso la Procura
  2. richiesta di autorizzazione alla CNIL concernente il trattamento informatico dei dati personali per l'apertura di una messaggeria
  3. pubblicazione del programma di lavoro e degli organigrammi
  4. assenso del Servizio per l'informazione della Presidenza del Consiglio
  5. comunicazione al Servizio di Documentazione francese
  6. comunicazione alla Delegazione generale per la lingua francese
  7. comunicazione alla Commissione di coordinamento della documentazione amministrativa
  8. assenso del Servizio centrale per la sicurezza dei sistemi informativi
  9. deposito presso l'Istituto nazionale per la proprietà industriale delle domande di registrazione dei loghi usati nel sito.

Questa overdose di centralizzazione burocratica risulta curiosa ai nostri occhi, ma non è detto che l'anarchismo che vige in Italia sia, per contro, la scelta più intelligente. Attualmente, infatti, sia la decisione di apertura di un sito web che la sua gestione da parte delle pubbliche amministrazioni non sono soggette ad alcuna regola. Di fatto, le autorità che hanno il compito di dirigere la funzione pubblica o di sovrintendere allo sviluppo dell'informatica nelle pubbliche amministrazioni sono state completamente inerti nei confronti del fenomeno Internet. Non hanno posto divieti o obblighi ma non hanno neanche dato sostegni. Salvo sotto l'aspetto normativo (firma digitale) il fenomeno Internet è stato semplicemente ignorato. La Scuola superiore della pubblica amministrazione non ha svolto neppure un'ora di formazione sul web; il personale che si occupa dei siti della Pa è completamente autodidatta1.

La rete è dunque nata e si è sviluppata nelle strutture pubbliche all'insegna della più totale improvvisazione, e si vede. I nostri siti non hanno nulla di omogeneo né per quanto riguarda il look, né per quanto riguarda la struttura, i contenuti, le modalità di navigazione. Ciascuno di essi nasce con una storia diversa e conservando l'imprinting dei suoi occasionali promotori (così che i siti nati per iniziativa degli uffici stampa mantengono una forte impronta di comunicazione - per non dire di promozione - istituzionale, mentre quelli istituiti su impulso del settore informatico o di quello per le relazioni con il pubblico si distinguono per una minore preoccupazione per l'immagine e un maggiore orientamento ai contenuti).
In pratica, ogni gestore di sito pubblico ha dovuto farsi sul campo le proprie esperienze, provando e riprovando, sbagliando o indovinando; e se adesso si può dire che lo sviluppo della rete nelle strutture pubbliche è, almeno dal punto di vista quantitativo, a un livello tutto sommato confrontabile con quello di altri paesi a noi vicini, questo non è certo il prodotto di una iniziativa "politica", ma il risultato di una serie di attività spesso svolte con spirito di volontariato e certamente meritorie, ma comunque sempre scoordinate tra loro.

6.2. Anche se un certo grado di spontaneismo è inevitabilmente collegato alla dimensione pioneristica e ancora in buona parte sperimentale della comunicazione telematica, non c'è dubbio che oggi è indispensabile trasformare il nostro approccio alla gestione della rete. Se si vuole che il paese si presenti con le carte in regola all'appuntamento con la società dell'informazione, dopo la fase dello sviluppo improvvisato e anarchico del sistema pubblico in rete occorre assolutamente avviare una fase di sviluppo sostenuto e guidato. Uno sviluppo sostenuto dalla formazione, da iniziative di training-on-the-job e da scambi di esperienze, seminari tecnici, pubblicazioni, oltre che da investimenti e supporti tecnologici finalizzati a mettere anche i piccoli enti in condizioni di organizzare al meglio la propria presenza in rete. Guidato da indirizzi comuni che possano dare un minimo di riconoscibilità (a cominciare dall'attribuzione dei domini) ai siti pubblici in rete.

7. Mettere la legislazione in rete

Questo coordinamento è indispensabile anche per realizzare alcuni progetti che richiedono il coinvolgimento della pubblica amministrazione nel suo insieme. Tra questi vogliamo citare i due che a nostro giudizio si possono considerare i più importanti: il progetto per la legislazione in rete e quello per il "Portale delle pubbliche amministrazioni".

Per quanto riguarda il primo progetto, le difficoltà derivano dal fatto che le due grandi Banche dati attualmente esistenti in Italia in grado di fornire l'insieme della legislazione - e cioè quelle della Cassazione e del Poligrafico dello Stato - sono entrambe a pagamento (e non sono, inoltre, nate per l'utilizzo tramite il Web). Si è invece sempre più affermata la convinzione che uno Stato che produce una media di circa 500 nuove leggi all'anno, per non parlare della miriade di decreti e altre fonti secondarie e della sterminata produzione delle circolari, ha quanto meno l'obbligo di mettere questi provvedimenti gratuitamente a disposizione del cittadino che deve osservarli. Senonchè i Ministeri non possono mettere le leggi in rete in quanto l'unico organismo che ha la disponibilità dei testi delle Gazzette ufficiali in formato digitale è il Poligrafico dello Stato, il quale li inserisce a pagamento sul suo sito. Si registra così il paradosso per cui il copyright sulle leggi non appartiene ai Ministeri che le hanno promosse o al Parlamento che le ha approvate o alla Presidenza della Repubblica che le promulga o al Ministero di Grazia e Giustizia che le custodisce, ma alla tipografia che ha il compito di stamparle.

Questo ostacolo va superato:

  • in via provvisoria, prevedendo l'obbligo per il Poligrafico di fornire, previa convenzione, i testi delle Gazzette in formato digitale all'amministrazione incaricata di provvedere al loro inserimento in rete
  • sostenendo il progetto congiunto Ministero della Giustizia-Aipa per le norme in rete, progetto che proprio in questi giorni ha cominciato ad avere una prima attuazione con l'incarico all'Istituto di documentazione giuridica del CNR di definire uno standard dei documenti in formato XML, che permetterà , attraverso un apposito motore di ricerca, di consultare la normativa nazionale presente in rete con modalità molto più snelle, trasparenti ed efficaci delle attuali.

Va sottolineato, peraltro, che la semplice pubblicazione sul Web non risolve di per sé il problema della conoscibilità delle norme da parte del cittadino. Esiste infatti un problema di come si mette in rete la legge e di come la si rende ricercabile. Questo "come" non è solo un problema tecnologico dei progettisti software ma è una questione che dipende anche da scelte di carattere più propriamente politico e che riguardano in particolare la capacità di far cooperare le singole amministrazioni al fine di fornire servizi quanto più possibile completi, sicuri e affidabili, anche dal punto di vista dell'aggiornamento (problema, questo, quanto mai delicato specie per documenti soggetti a continui interventi di carattere "chirurgico" come i Testi Unici).

8. Costruire un "Portale" delle P.A.

La necessità di orizzontarsi tra migliaia di sigle che non si sa spesso se siano pubbliche o private e l'impossibilità di effettuare una ricerca mirata sui siti pubblici determinano gravi difficoltà per chiunque desideri documentarsi sulla pubblica amministrazione o utilizzare al meglio i suoi servizi.

E' quindi urgente lavorare alla costruzione di un "Portale" delle amministrazioni in rete che consenta una agevole navigazione tra la miriade di siti di amministrazioni centrali e locali, enti pubblici, scuole, università, con ciò stesso fornendo anche una garanzia che il sito cui si accede è gestito da un organismo pubblico. Per altro verso il Portale, tramite l'utilizzo di tecnologie datawarehouse, dovrebbe consentire di effettuare una ricerca a tutto campo tra le informazioni presenti sui siti pubblici in relazione a un determinato argomento: ad esempio, interrogando sulla Giordania si potrebbero ricevere le informazioni su consolati e ambasciate e loro indirizzi, sulle regole per il visto e per i viaggi turistici, su eventuali situazioni di rischiosità dal punto di vista della sicurezza (MinEsteri) o della salute (MinSanità), oltre a informazioni su eventuali convenzioni sulle doppie imposizioni o sulle restrizioni e tariffe doganali all'import-export (Minfinanze) o su eventuali convenzioni bilaterali col Ministero di grazia e giustizia o con quello degli Interni.

Si tratta quindi di un progetto che non solo metterebbe ordine nella dispersione dei siti, ma consentirebbe di costruire una immagine e una interfaccia unitaria dello stato e delle sue articolazioni e, nello stesso tempo, di offrire un valore aggiunto reale al cittadino.

9. Uscire dalla sudditanza nel software

Pregiudiziale per uno sviluppo equilibrato della presenza delle amministrazioni pubbliche nel web è infine una scelta antimonopolistica nel settore del software. Anche quando non deriva da pratiche illecite (questione che nella fattispecie è ancora sub iudice), il potere di chi esercita un monopolio o un quasi-monopolio è sempre un fatto negativo, in quanto ostacola il progresso tecnico, favorisce la formazione di rendite e mette il consumatore nelle mani del produttore. Ancora più negativo, come abbiamo rilevato all'inizio, è il fatto che siano le stesse amministrazioni pubbliche, che per loro natura dovrebbero essere le più sensibili al rispetto dei principi della par condicio e della libera concorrenza, a favorire, con i loro comportamenti, la progressiva instaurazione di condizioni di monopolio. Questo è ciò che si verifica:

  • quando vengono prodotti programmi operativi solo su ambiente Microsoft-Windows, discriminando così gli utenti di altri sistemi operativi (comportamento seguito in passato dalla Sogei nei programmi prodotti per il Ministero delle finanze e oggi fortunatamente cessato, anche a seguito di un intervento dell'Autorità antitrust)
  • quando vengono stipulati (come è accaduto tra Pubblica istruzione e Microsoft) accordi esclusivi per l'utilizzo di applicativi nelle scuole, consentendo così che con un intervento a basso costo questa società si crei un mercato potenziale che poi verrà automaticamente a svilupparsi man mano che i giovani ormai condizionati all'uso dei programmi entreranno nel mondo produttivo
  • quando i gestori dei siti diffondono in rete testi con formati commerciali di proprietà della Microsoft, peggio ancora se nell'ultima versione, con ciò obbligando di fatto gli utenti al loro acquisto.

Ma la pubblica amministrazione non deve solo fare attenzione ad evitare comportamenti che rappresentano un vero e proprio sostegno esterno in favore della società che produce i più diffusi software e una discriminazione ai danni dei suoi (residui) concorrenti, deve anche praticare una politica attiva capace di ridurre la sudditanza nei confronti dei padroni americani del software. Riprendendo le tesi sostenute in America dalla Free software foundation e in Italia dal gruppo legato all'Associazione Alcei e le proposte autorevolmente lanciate nelle settimane scorse dal prof. Meo del Politecnico di Torino, è opportuno avviare sia nelle università - a livello di ricerca - che nelle scuole - a livello di insegnamento e di utilizzo - iniziative intese all'utilizzo e allo sviluppo del software libero, di cui l'esempio più interessante è dato dal sistema operativo Linux, che sostenuto dall'impegno spesso gratuito dei suoi sviluppatori sparpagliati in tutto il mondo si sta imponendo nel settore dei server di rete, con ritmi di incremento di oltre il 200% annuo. Ricordiamo che in Messico decine di migliaia di scuole adottano o hanno in programma di adottare Linux, mentre in Francia il Ministero dell'istruzione ha stipulato di recente una convenzione con le associazioni di utenti Linux in base alla quale il Ministero "suggerisce" alle scuole l'adozione di questo sistema e le associazioni si impegnano a fornire assistenza per la sua installazione. Risulta che anche in Italia le associazioni di utenti Linux abbiano contattato il Ministero della Pubblica istruzione per valutare la possibilità di iniziative analoghe, ma non conosciamo l'esito di tali contatti.

Il problema non è solo quello, peraltro non certo secondario (tenendo conto che la nostra bilancia commerciale registra un disavanzo annuo di 4000 miliardi per questa voce) di contribuire allo sviluppo di una industria nazionale del software. Il problema è anche di difendere la libertà dei singoli e la possibilità di una libera gestione delle scelte da parte della nostra società, oggi minacciata dalla invasiva presenza di chi ha il controllo di questo delicato settore. E' noto che attualmente Microsoft, grazie ai suoi programmi Active Setup, è in grado di scandire il disco del nostro computer e di controllare, seppure previa autorizzazione, quali programmi aggiuntivi e quali aggiornamenti abbiamo installato; modalità di controllo remoto che si prestano ad altre e incontrollabili estensioni e sulle quali è strano che i vari Garanti della privacy, divenuti oramai onnipresenti nella nostra vita sociale, non abbiano mai avuto occasione di pronunciarsi.

Come ha rilevato Alcei, "oggi i sistemi elettronici entrano in ogni aspetto della nostra vita. E' impensabile che le leve di controllo siano nelle mani di organizzazioni commerciali che ne modificano gli strumenti fondamentali come e quando vogliono, senza il nostro consenso e senza neppure permetterci di rendercene conto; introducono a loro piacimento funzioni "occulte" che non ci è consentito di verificare e che possono interferire con la nostra attività o violare la nostra privacy mentre non ce ne accorgiamo; impongono quando vogliono costose e inutili "innovazioni" che rendono incompatibili i sistemi esistenti, promuovono una falsa "educazione informatica" che assoggetta persone e imprese all'uso di sistemi inutilmente complessi e costosi".

Ed è inquietante che dal controllo planetario della tecnologia si stia passando al controllo planetario delle comunicazioni, come premessa - qualunque ipotesi a questo proposito appare tutt'altro che azzardata - al controllo progressivo dei loro contenuti.

10. Conclusioni

L'espansione e la migliore utilizzazione della rete sono sicuramente le condizioni più importanti perché il nostro paese possa sfruttare le opportunità offerte dalla società dell'informazione. Ma per questo è indispensabile una vera politica della comunicazione telematica e della rete, che rimuova gli ostacoli, preveda gli incentivi necessari e affronti tutti i possibili nodi della crescita, a cominciare da quello del free software e del contrasto all'azione negativa dei monopoli.

All'interno di questo quadro, l'obiettivo concreto dei prossimi anni dovrebbe essere quello di fare di Internet il perno di un sistema in cui le attività delle istituzioni centrali, delle comunità locali e delle aziende private si sviluppano e si integrano contemporaneamente. Le iniziative che si stanno realizzando all'estero dimostrano che molti paesi hanno saputo cogliere in pieno l'opportunità di cavalcare attraverso la rete l'onda della rivoluzione telematica: basta pensare ai corsi sul commercio elettronico organizzati dal MIT o ai programmi del Canada (un paese che ha meno della metà dei nostri abitanti) per creare diecimila reti civiche entro il prossimo anno.

Se finora si può anche ammettere che i responsabili della guida politica del nostro paese siano stati colti di sorpresa dall'esplosione del fenomeno Internet, da domani in poi non potranno esserci più scuse. O si assumono provvedimenti seri e si programmano investimenti altrettanto seri e consistenti (il che significa vedere quante risorse il bilancio può oggi mettere a disposizione e moltiplicare poi questa cifra per tre o per quattro) oppure potremo trovarci tra poco, grazie alle sinergie e ai rapporti di competitività che si creeranno a nostro sfavore nell'evoluzione del web, brutalmente espulsi dal ristretto parterre degli appartenenti alla società industriale (diventata, a nostra insaputa, la società della rete).

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(*) Direttore dell'ufficio per l'informazione del contribuente del Ministero delle finanze
Il presente documento è un contributo personale dell'autore alla discussione nel Gruppo di lavoro sulla presenza in rete delle PA, e non impegna in alcun modo l'amministrazione finanziaria.

1 Sarebbe auspicabile che l'AIPA, che aveva avuto l'importante iniziativa di costituire un gruppo di studio delle amministrazioni centrali per confrontare le rispettive esperienze si Internet, gruppo poi sciolto, riaprisse il gruppo dandogli l'incarico di elaborare indicazioni e suggerimenti utili per migliorare la presenza della PA nella rete.

Riferimenti

Sulle problematiche del web in generale cfr. Pierre Levy, Cybercultura, Feltrinelli, Milano 1999, e Franco Carlini, Lo stile del web, Einaudi, Torino 1999. Per aggiornamenti sulla diffusione di Internet v. http://gandalf.it/mercante/merca31.htm.

Sui temi legati alla legislazione in rete può essere utile consultare, oltre alla rivista telematica InterLex (http://www.interlex.com/accesso/indice.htm) il documento redatto da M. Fioroni (Senato della Repubblica) e Giancarlo Fornari (MinFinanze) per il Gruppo di lavoro Aipa su Internet, riportato in http://www.finanze.it/internetxleggi.htm

Per un esempio di attività di formazione svolta da associazioni e istituzioni private, v. http://www.liberliber.it

Sull'obbligo dell'amministrazione finanziaria di rendere i suoi software accessibili alle diverse piattaforme e non solo agli utenti Windows v. il pronunciamento dell'Antitrust in http://www.agcm.it. L'intervento del Codacons in merito alle convenzioni del Ministero della Pubblica Istruzione con la Microsoft può essere consultato in http://www.codacons.it.

Sui rischi del monopolio informatico e sulle opportunità offerte dal software libero v. le analisi riportate su http://gandalf.it/mercante e gli interventi di Alcei su http://www.alcei.it; per gli Usa il sito della Free Software Foundation http://www.gnu.org, per Linux http://www.linux.org e (da giugno) http://scuola.linux.it.

Importanti anche lo scritto "Trappola nel cyberspazio" (http://www.apogeoonline.com) e gli altri interventi svolti in materia da Roberto di Cosmo.

Per un quadro delle iniziative di supporto allo sviluppo di Internet e al commercio on line svolte dal governo americano richiamiamo infine l'intervista rilasciata a La Repubblica dal Consigliere di Clinton, Larry Irving: www.repubblica.it/online/ int.diamente/intervista/intervista.html.