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 Attualità

"Gli Stati Uniti d'America contro Microsoft Corporation"
L'atto di accusa
di Daniele Coliva* - 21.05.98

Negli ultimi giorni i mezzi di comunicazione hanno dato estremo risalto alla lite giudiziaria tra il governo degli Stati Uniti e la Microsoft, accentuando i caratteri giornalisticamente più appetibili della vicenda, in primo luogo gli interessi economici in gioco ed in particolare il fatto che Bill Gates sia l'uomo più ricco d'America.
E' interessante, tuttavia, analizzare, sia pure brevemente, il merito della questione, partendo dalla considerazione che si tratta di una causa davanti ad un'autorità giudiziaria (nella specie un giudice federale, dal momento che alla Microsoft è contestata la violazione degli artt. 1 e 2 dello Sherman Act, che è la legge antitrust fondamentale degli USA e risale al 1890; il testo della citazione può essere letto in
http://www.ljx.com/LJXfiles/microsoft/newdojsuit.html).
La differenza rispetto al nostro sistema balza immediatamente agli occhi: il Governo americano, per il tramite dell'Antitrust Division del Dipartimento di Giustizia (DOJ), cita la Microsoft davanti ad un giudice. Nel nostro ordinamento l'indagine sarebbe stata di competenza dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, i cui provvedimenti sono soggetti al sindacato del giudice amministrativo (nella specie il TAR del Lazio).

Si è detto che il punto nodale della controversia riguarda Internet Explorer, ma quali sono i termini esatti degli addebiti mossi a Microsoft?
Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i computer sa in che cosa consiste il sistema operativo come esso sia essenziale per il funzionamento della macchina. A differenza di quanto accadeva fino a pochi anni fa, la quasi totalità dei PC che rientrano nella nostra esperienza quotidiana utilizza Windows 95 come sistema operativo preinstallato all'origine dal produttore. Quest'ultimo (chiamato anche OEM, Original Equipment Manufacturer), infatti, ha stipulato con Microsoft un accordo di licenza per l'installazione e la fornitura di Windows 95 in tutti i PC venduti. E' evidente che i numeri in questa fattispecie sono elevatissimi, soprattutto se si considera il consistente turn over dell'hardware dovuto sia all'uscita di nuovi prodotti più potenti, sia alle sempre più rilevanti richieste di potenza di calcolo da parte delle nuove applicazioni (ma questo è un altro discorso).
Per Microsoft si tratta dunque di un canale di vendita formidabile, non solo in termini di fatturato, ma anche di capacità di diffusione del prodotto. L'acquirente di un PC nuovo è tendenzialmente portato ad utilizzare il software, di sistema e applicativo, allegato alla macchina.

In questo quadro commerciale, giustificato a suo tempo dalla legittima esigenza di ridurre le copie non autorizzate dei sistemi e degli ambienti operativi (quando ancora Windows non era un sistema operativo in senso tecnico), si inserisce il fenomeno Internet, ed in particolare il WWW.
Il browser diviene l'applicazione strategicamente più importante della e nella Rete e, dalle prime versioni rudimentali di Mosaic si passa nel breve volgere di tre anni (1995-1998) a prodotti estremamente sofisticati, in grado di gestire non solo testo a grafica, ma anche oggetti multimediali complessi, dalle potenzialità comunicative e commerciali enormi.
Come tutti sappiamo, Netscape fu il programma che per primo irruppe sulla scena, assicurandosi una fetta di mercato considerevole anche per i suoi meriti intrinseci. Vinta l'inerzia iniziale, dovuta a molteplici ragioni (ricordate Microsoft Network?), anche la casa di Redmond si lanciò nel perfezionamento del proprio browser, profondendo energie e risorse in notevole quantità, specialmente se si considera che Internet Explorer è distribuito gratuitamente.

Il nucleo della condotta illecita addebitata a Microsoft consiste principalmente nell'avere abusato della posizione di sostanziale monopolio quanto ai sistemi operativi per porre in essere pratiche di distribuzione del proprio prodotto in danno di quelli della concorrenza.
Secondo il governo americano, Microsoft avrebbe costretto gli OEM a preinstallare anche Internet Explorer, pena il diniego della licenza di Windows 95. In questo modo l'utente finale medio, oltre al sistema operativo, si sarebbe trovato un browser bell'e pronto, rendendo inutile l'esigenza di ricercare prodotti di terze parti.
Ma non basta. Internet Explorer (specialmente nell'ultima versione) è strettamente integrato nel sistema operativo, al punto da non potere essere rimosso senza mutilare sensibilmente lo stesso Windows 95. Dal punto di vista tecnico, quindi, viene meno la possibilità di consentire agli OEM di scegliere quale browser preinstallare.
In sintesi: l'utente finale accendendo il computer per la prima volta si ritrova un sistema operativo con un browser già pronto per l'uso e difficilmente si rivolgerà al mercato per trovare alternative.

Gli addebiti di condotta illecita mossi nei confronti di Microsoft riguardano anche il contenuto dei contratti di distribuzione tramite OEM o provider Internet. Gli accordi con questi ultimi prevedono infatti l'impegno degli ISP (Internet service provider) a distribuire e promuovere solo IE presso la loro clientela; a eliminare link a siti dai quali possano essere scaricati prodotti (sempre browser) della concorrenza; a utilizzare accorgimenti di programmazione e disegno dei siti tali da renderli più gradevoli se visti con IE piuttosto che con Netscape o altri programmi.
Infine il Governo contesta a Microsoft di imporre agli OEM di non modificare in alcun modo il desktop di Windows 95 risultante all'esito del procedimento di prima accensione. Naturalmente l'utente è libero di provvedere alla personalizzazione che più gli aggrada, ma deve in ogni caso partire sempre dalla base di partenza predisposta da Microsoft (nella citazione si fa riferimento ad un tentativo di Compaq di rimuovere l'icona di IE, prontamente rientrato dopo la minaccia di Microsoft di risolvere il contratto di licenza per Windows 95).

Dal testo del brief presentato al Giudice federale si evince in sostanza che Microsoft avrebbe utilizzato l'assoluto predominio nel campo dei sistemi operativi come "grimaldello" per alterare a proprio favore il meccanismo della concorrenza nei browser.
Nelle "conclusioni" dell'atto si chiede quindi l'intervento giudiziario repressivo dei comportamenti anticoncorrenziali, anche attraverso l'adozione di provvedimenti positivi che impongano a Microsoft la distribuzione anche di Netscape agli OEM e al pubblico, in modo che quest'ultimo possa scegliere.
Questa, per sommi capi, è la tesi dell'accusa. Microsoft sicuramente profonderà il massimo sforzo nella difesa, non le mancano certamente le risorse, e la materia non è semplice come si potrebbe pensare a prima vista.

E' però possibile svolgere alcune considerazioni sulla rilevanza di questa causa per coloro che in definitiva, anche se indirettamente, sono i destinatari ultimi dei benefici che la legislazione antitrust vuole garantire, cioè gli utenti finali. Costoro in prevalenza utilizzano il sistema operativo quasi senza accorgersene; per loro è uno strumento per far girare i programmi che sono il nocciolo essenziale dell'utilità del computer, vale a dire gli applicativi. Al pubblico (inteso in senso generale, escludendo il manipolo degli appassionati usi a "vivisezionare" il proprio PC alla ricerca del centesimo di secondo in meno o del frame in più) poco importa il monopolio o l'oligopolio, ciò che interessa massimamente è che il sistema funzioni. Ma una situazione di monopolio quasi perfetto, dal sistema operativo all'applicazione, impedisce la nascita di prodotti in grado di competere tra loro correttamente.

Nel 1995 Microsoft evitò lo splitting raggiungendo un accordo con il Dipartimento di Giustizia. Oggi la rilevanza critica di Internet (anche nel programma dell'amministrazione Clinton) ripropone la stessa questione con riferimento ai browser. Forse sarebbe opportuno ripensare anche al problema del rapporto tra il produttore di sistemi operativi e quello delle applicazioni, affinché chiunque entri in quest'ultimo mercato possa competere correttamente (denaro a parte).
Non si tratta di vendere insieme Coca Cola e Pepsi, ma di far sì che qualunque produttore di bevande possa acquistare le lattine alle medesime condizioni.

(Chi volesse ripercorrere la vicenda trova un compendio ottimamente documentato su http://www.ljx.com/LJXfiles/dojvms.html).

* Avvocato in Bologna