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Protezione dei dati personali

Perizie medico legali: nuovi scenari interpretativi e normativi

di Paolo Ricchiuto* - 29.01.04

 

La problematica dell'accesso ai dati personali cosiddetti valutativi contenuti nelle perizie medico-legali si è recentemente arricchita di nuovi punti di riferimento interpretativi e normativi.
Mi riferisco in particolare alla pronuncia del tribunale di Roma del 17 luglio 2003 (la cui motivazione per esteso è riportata in Guida al diritto n. 50/03), ed alle sostanziali modifiche apportate alla disciplina sul diritto di accesso dall'art. 8, comma 4 del codice della privacy (DLgs 196/03).

Prima di tutto ricapitoliamo i termini della questione (più ampiamente illustrati nel mio precedente intervento Privacy e perizie medico-legali):
1. secondo l'impostazione sempre seguita dal Garante, qualsiasi tipo di "rilievo, giudizio o valutazione di tipo soggettivo" deve essere considerato, ai fini della normativa sulla tutela della riservatezza, come un dato personale di colui che ne venga fatto oggetto. Conseguenza: anche le valutazioni del medico legale contenute nella perizia, rientrando nel novero concettuale di dato personale, sono suscettibili di accesso ex art. 13 L. 675/96.
2. la diametralmente opposta ricostruzione operata dalla prevalente giurisprudenza di merito può considerarsi sinteticamente fondata su due pilastri argomentativi :
a) connotato essenziale della categoria dei dati personali è la loro "oggettività", non essendo altrimenti spiegabile il riferimento dell'art 9 L. 675/96 al carattere della "esattezza" (ontologicamente incompatibile con una valutazione soggettiva).
b) la posizione assunta dal Garante, portata alle sue naturali conseguenze, produce un effetto distorsivo: se la valutazione contenuta nella perizia medico-legale è un dato personale, allora il danneggiato-interessato, nel quadro dei diritti riconosciutigli dall'art. 13 L. 675/96, ne può chiedere la rettificazione e/o la integrazione.

Come ho avuto modo di sottolineare in varie occasioni, entrambe le impostazioni appaiono perfettamente sostenibili alla luce del quadro normativo dettato dalla abrogata L. 675/96. Né le univoche pronunce del Garante, a mio modestissimo avviso, hanno mai fornito argomenti sufficientemente convincenti per poter superare le descritte argomentazioni prospettate in giurisprudenza circa i paradossali esiti cui l'orientamento dell'autorità, inevitabilmente, conduce.

E' alla luce di tutto ciò che deve esser letta la pronuncia del tribunale di Roma del 17 luglio 2003, onde verificare se la stessa offra nuove vie d'uscita all'evidenziato stallo interpretativo (sottolineando, peraltro, come la mia attenzione si concentrerà, per esigenze di brevità, esclusivamente sul tema oggetto di questo intervento, senza affrontare le interessantissime questioni procedurali trattate nella medesima pronuncia).

Si legge nelle motivazioni del provvedimento:
Nessuna norma di legge, invero, distingue o induce a distinguere tra dati personali obiettivi e dati personali non obiettivi, poiché, a ben vedere, anche i giudizi come quelli sopra cennati (le valutazioni del medico legale), suscettibili di attribuire al soggetto uno status o una qualità con immediati riflessi, anche patrimonialmente apprezzabili nella sfera personale, una volta espressi assumono una loro materiale obiettività. La possibilità di accedere a questi dati, espressione dei principi di trasparenza informativa che informano la Legge è dunque funzionale all'esercizio del diritto, che spetta sempre all'interessato, di verificare se i suoi dati personali sono lecitamente e correttamente trattati dal titolare... Sul punto, dunque, il tribunale condivide quell'orientamento della giurisprudenza di merito (tribunale di Bologna 02.07.02 n. 558) secondo cui non può dubitarsi della qualità di dato personale dei giudizi valutativi - in quel caso costituiti dalle note di qualifica del datore di lavoro - poiché tali informazioni riferite al soggetto interessato comprendono ogni notizia, informazione o elemento che abbia un'efficacia informativa tale da fornire un contributo aggiuntivo di conoscenza rispetto alla persona.

Siamo, dunque, di fronte ad una chiara scelta di campo, che si pone in una perfetta linea di continuità con l'orientamento del Garante (e con il citato, ed invero isolato precedente, del tribunale di Bologna 2 luglio 2002).
Ciò evidenziato, la domanda da porsi è la seguente: questa pronuncia contiene degli elementi nuovi, che consentano di disinnescare gli effetti. collaterali che a tale interpretazione conseguono? Ritengo proprio di no.

Una volta sottolineato come anche la valutazione medico-legale rientri a pieno titolo nella nozione di dato personale, il tribunale si limita infatti ad affermare:
L'interessato ha il diritto di ottenere l'aggiornamento, la rettifica o la modificazione dei dati obiettivi utilizzati per esprimere il giudizio medico-legale, poiché egli può opporsi al trattamento dei suoi dati incompleto o non corretto che conduca a giudizi palesemente errati.

Ora, tale assunto, se da un lato coglie limpidamente la divaricazione tra dato obiettivo e dato subiettivo, dall'altro aggrava la pesantezza del vero dilemma: se la valutazione è un dato personale, l'interessato può chiederne la rettificazione? Ovvero (invertendo i termini del quesito), esiste normativamente un qualche appiglio che, assunta la tesi della qualificabilità della valutazione come dato personale, consenta di evitare tale kafkiana incongruenza?
Il provvedimento in commento nulla deduce sul punto: siamo quindi, ancora una volta, di fronte a quella sorta di cul de sac esegetico, dal quale evidentemente, non è proprio possibile uscire!

Ritengo sia proprio in considerazione di ciò che il legislatore ha ritenuto di intervenire (forse anche in virtù della influenza esercitata da Garante sui lavori preparatori).
Nel quadro delle varie integrazioni contenute nel codice della privacy (DLgs 196/03) in vigore dal 1. gennaio di quest'anno, va infatti segnalata la rilevantissima portata, ai fini della soluzione del problema in esame, dell'art. 8 comma 4, a norma del quale
L'esercizio dei diritti di cui all'art. 7, quando non riguarda dati di carattere oggettivo, può avere luogo salvo che concerna la rettificazione o l'integrazione di dati personali di tipo valutativo, relativi a giudizi, opinioni o ad altri apprezzamenti di tipo soggettivo, nonché l'indicazione di condotte da tenersi o di decisioni in via di assunzione da parte del titolare del trattamento.

L'intera questione trova pertanto dei risolutivi punti di riferimento:
1. viene consacrata, seppur in via incidentale ed indirettamente, la inquadrabilità dei dati cd. di carattere soggettivo nell'alveo della categoria dei dati personali. Trova quindi una conferma normativa l'orientamento interpretativo del Garante, da ultimo ribadito dal tribunale di Roma;
2. ciò che più conta, viene eretto una sorta di sbarramento che, inibendo il diritto di rettificazione e di integrazione con riguardo ai dati personali valutativi, disinnesca a monte la distorsione cui il principio sub a) di fatto portava sulla scorta della previgente L. 675/96.

Alla luce di tutto ciò, completato il quadro legislativo con il fondamentale tassello mancante, la questione del diritto di accesso alle perizie medico legali assume connotati completamente nuovi, non più affidati a possibili divaricazioni interpretative (connotati che il Collegio capitolino sembra aver utilizzato come strumenti ermeneutici, nonostante il fatto che al momento della pubblicazione del provvedimento, il codice della privacy, seppur già emanato, non fosse ancora entrato in vigore!).

La partita tra danneggiati-interessati e compagnie sembra quindi sempre più difficile da giocare per queste ultime, e ciò anche in virtù dei più stringenti limiti al cosiddetto diritto al differimento, derivanti:
a) dal consolidato orientamento del Garante (vedi i provvedimenti citati in Privacy e perizie medico-legali), da ultimo confermato nella pronuncia del tribunale di Roma (ove, con riferimento a tale specifico profilo, si legge: invero la norma invocata dalla ricorrente - per l'appunto l'art. 14 L. 675/96 - impedisce l'esercizio dei diritti limitatamente al periodo durante il quale potrebbe derivarne pregiudizio per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria ma, al fine di evitare che questa norma costituisca un espediente per impedire sistematicamente l'esercizio del diritto di accesso ai dati, è evidentemente necessario che la sussistenza del pregiudizio allegato sia concreta ed attuale e non può limitarsi, come nel caso di specie, alla possibilità che il danneggiato possa utilizzare a proprio vantaggio la perizia nella sede processuale").
b) dalla nuova formulazione dell' art. 8, comma 2 lett.e) del L.DLgs 196/03, ove il diritto al differimento (precedentemente riconosciuto dall'art. 14 della 675/96 in ipotesi di pregiudizio per lo svolgimento di indagini difensive o per l'esercizio dei diritti di cui all'art. 12 lett. h) è stato ristretto in termini esplicitamente più angusti (anticipati anche sintatticamente dal tribunale di Roma), essendo oggi subordinato alla esistenza di un "pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento di indagini difensive o per l'esercizio del diritto in sede giudiziaria.
 

* Avvocato in Roma

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