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Protezione dei dati personali

Cosa c'entra la privacy col Comma 22?

di Marco Maglio* - 25.07.05

 
Sapete cos'è il Comma 22? Se pensate ad una legge siete fuori strada. Comma 22 è il titolo di un libro che quando fu pubblicato, nel 1961, divenne un caso letterario: era una irriverente critica al militarismo, fatta narrando le avventure di un gruppo di aviatori statunitensi impegnati nei bombardamenti in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Pochi ricordano il nome del suo autore (era Joseph Heller) ma quasi tutti hanno presente cosa prevede in quel libro il regolamento militare per disciplinare le richieste di congedo. La regola base è la seguente: "Articolo 12, Comma 1 - L'unico motivo valido per chiedere il congedo dal fronte è la pazzia". Sembra tutto chiaro e logico. Ma la regola è contraddetta appunto dal famigerato Comma 22 che suona pressappoco così: "Articolo 12, Comma 22 - Chiunque chieda il congedo dal fronte non è pazzo". Insomma, il significato è semplice; non chiedete di essere congedati: è inutile!

Penso spesso a questo genere di paradossi e mi chiedo se le norme con le quali ho a che fare nella mia attività quotidiana di giurista non nascondano insidie di questo tipo. Ultimamente ho l'impressione di aver trovato anche io un Comma 22 nella normativa in materia di tutela dei dati personali.

Mi riferisco alla situazione surreale che si crea mettendo insieme due aspetti essenziali di questa normativa, con la quale tutti, imprese e consumatori, istituzioni e cittadini, abbiamo a che fare. Quali sono questi due aspetti paradossali? È presto detto: il primo aspetto da considerare è il principio fondamentale sul quale questa legge si basa: per poter contattare una persona con un messaggio commerciale a lei indirizzato è necessario disporre del suo preventivo consenso. Questa volontà di essere contattato deve essere espressa (quindi non si può desumere da comportamenti concludenti) e deve essere informata, cioè deve essere stata formulata solo dopo aver ricevuto indicazioni precise su alcuni elementi elencati dalla legge: l'identità del soggetto che effettua il contatto; le finalità del messaggio; le modalità di utilizzo dei dati personali ed i diritti che il destinatario può esercitare per integrare, correggere, modificare o far cancellare le informazioni di cui il mittente del messaggio dispone. In estrema sintesi, se la persona non ha chiesto espressamente di essere contattata, non è legittimo inviarle messaggi promozionali.

La regola è rigorosa, alle imprese non piace ma ed ha una sua logica e fino a poco tempo fa era temperata da un'importante eccezione che la rendeva accettabile ai soggetti economici: esisteva infatti la possibilità di contattare liberamente le persone i cui dati di recapito erano riportati in liste pubbliche, quali ad esempio gli elenchi telefonici o le liste elettorali. Anche in assenza del loro consenso preventivo si potevano utilizzare questi dati di recapito per chiedere alle persone se volevano ricevere offerte personalizzate. In caso di rifiuto e di richiesta di cancellare il dato, ovviamente il mittente era tenuto a non disturbare ulteriormente la persona.

Ma ecco sopraggiungere il secondo aspetto della questione che interviene per rendere surreale la situazione, creando un paradossale effetto "Comma 22": la nuova disciplina introdotta dalla normativa italiana prevede che l'elenco telefonico e le liste elettorali non possono più essere utilizzati liberamente per fini di comunicazione commerciale indirizzata. Quindi, in definitiva, proprio come nel regolamento militare di Heller, "per contattare direttamente qualcuno occorre il suo preventivo consenso, ma non si può contattare qualcuno per chiedere il suo consenso"! Un vero capolavoro di logica giuridica, la cui sintesi è semplicemente questa: la comunicazione commerciale diretta non richiesta dal destinatario del messaggio è vietata.

Quando racconto questa situazione a colleghi ed imprese straniere la reazione è sempre la stessa: sorridono. Sono tutti divertiti dal fatto che in Italia non ci si preoccupi di tutelare quello che all'estero viene definito il "diritto al primo contatto commerciale". È facile capire dalla reazione dei miei interlocutori che questo paradosso normativo non è un fatto comune ma è solo una scelta del nostro legislatore che non tiene conto di un dato di fatto banale ma essenziale: il messaggio pubblicitario, salve rarissime eccezioni, non è mai richiesto dal destinatario, a meno che quest'ultimo non sia stato messo in condizioni di scegliere se ricevere o rifiutare, in base ai suoi interessi, un'informazione che gli viene comunque offerta. E, se vogliamo sintetizzare una situazione in realtà molto complessa, il vero problema risiede proprio in questa falsa equazione che sembra aver ispirato il nostro legislatore: pubblicità non sollecitata uguale a pubblicità indesiderata. Ma siamo sicuri che sia proprio così? La storia dello sviluppo economico dimostra che l'equazione non solo è errata, ma è anche pericolosa perché mina alla radice uno degli strumenti più importanti per la nascita di nuove aziende e per favorirne la libera concorrenza: la comunicazione diretta con i potenziali clienti. Stiamo attenti al Comma 22. In tempi di crisi economica può costare molto caro.
 

* Avvocato in Milano - Professore di diritto privato dei consumi e del marketing

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